venerdì 27 dicembre 2013
FREAK ANTONI & GLI HEAVY METAL SKIANTOS - BOUNTY - THIENE (VI) - 20/12/2013
Neanche un mese dopo Paul Collins Beat, torno al Bounty di Thiene per vedermi Freak Antoni, l'oramai ex anima degli Skiantos che da un paio d'anni a questa parte è attivo solamente a titolo individuale con svariati progetti musicali.
In questo caso la presentazione della serata mi informa che una band accompagnerà Freak sul palco ed eseguirà con lui i classici degli Skiantos in versione heavy metal.
Poco male, penso: l'heavy metal mi fa cagare, ma alla fine sarà un modo come un altro per dare quel tocco di specialità alla serata; alla fine constaterò che la resa sonora sarà piuttosto simile al suono tipico di casa Skiantos, per cui nessun problema.
Prima di "Freak Antoni & gli Heavy Metal Skiantos" salgono sul palco cinque cialtroni che piazzano un cd con basi dance nell'impianto del locale e fingono di suonare con strumenti di plastica, cercando la provocazione spiccia con testi zeppi di riferimenti sessuali che dopo due secondi mi stancano.
Probabilmente per loro è solo un divertimento e nulla più, però sono io a non divertirmi, così preferisco trascorrere il tempo del loro set al bar del piano di sopra.
Terminata la squallida esibizione di cui prima, tocca a Freak Antoni.
Noto che ai cori c'è Ariel dei Pay (gruppo punk rock lombardo, sinceramente perso di vista) e che i musici sembrano tutti belli preparati tecnicamente (cosa che comunque di solito non m'interessa o perlomeno non è la discriminante che mi fa apprezzare o meno un concerto, anzi).
In quarantacinque minuti di live sciorinano tutto il repertorio classico degli Skiantos, intrattendendo la cinquantina di presenti con qualche classica battuta riciclata negli anni, che comunque un sorriso lo strappano sempre.
Durante il concerto mi pongo in solitaria alcune considerazioni sugli Skiantos, perlomeno per quello che ho avuto modo di vedere negli anni: la band bolognese portò sicuramente una certa novità nell'ambito rock tricolore (in qualche modo diedero il là ai fermenti musicali bolognesi negli anni d'oro tra '70 e '80) e una certa intelligenza ed arguzia nel modo di proporsi, a suo modo avanguardistica e concettualmente interessante.
Il pubblico tante volte l'ha interpretata come demenza nuda e pura, e d'altra parte gli stessi Skiantos hanno forse preferito restare incastrati nello stereotipo di band divertente che portava a loro tanti concerti a spasso per l'Italia.
Solo che vedere gente che ruba il microfono a Freak Antoni per gridare "merda" o altre idiozie, ecco mi sembra vada a travisare un po' lo spirito di partenza, tutto qua.
martedì 26 novembre 2013
PAUL COLLINS BEAT - BOUNTY - THIENE (VI) - 23/11/2013
Il primo disco dei Beat di Paul Collins è sicuramente uno dei capolavori di quel sottobosco chiamato power pop; arriva direttamente dal 1979, quando il power pop, alla fine della fiera, non era altro che una sfaccettatura dell'intricato mondo new wave, da intendersi come summa di generi dallo spirito nuovo o perlomeno di rivisitazioni frizzantine di suoni passati.
Il power pop dei Beat, nello specifico, era (è) composto da melodie perfette, chitarre elettriche ma non troppo e componente "fun" sempre bella in vista.
Tematiche leggere, ragazze, amori, gioventù.
Quando scopro che si esibiranno al Bounty di Thiene (Vi), ovvio che mi organizzi per andare.
Prima dei Beat vanno di scena Miss Chain & the Broken Heels, glorie power pop per metà locali, che oramai da anni calcano con i palchi con ottimi riscontri portando in giro una buona mistura di melodie sixties ed elettricità.
Poi, a mezzanotte inoltrata, vanno di scena i Beat: attaccano con "U.s.a", "Let me into your life" e piano piano sparano fuori tutto il meglio del repertorio.
La band macina che è un piacere (sempre presente il rischio fuori tempo massimo con le band di culto, ma non direi sia questo il caso), il pubblico sembra preso bene e si diverte quanto basta.
I vertici della serata sembrano essere "Walking out of love" e "R'n'R Girl", due perle pop che dovrebbero mandarle in rotazione pesante su quelle radio che fanno solo musica di merda.
Sempre bello vedere i vecchi campioni del passato, che non pensavi avresti mai visto dal vivo: molte volte hanno un sapore, una classe, una storia dietro che merita sempre di essere ascoltata.
mercoledì 2 ottobre 2013
SELECTER – LABORATORIO CRASH – BOLOGNA – 27/09/2013
Dopo l’ottima esibizione al Festival Onda d’Urto di Brescia,
2012, ricapita l’occasione di godersi i Selecter dal vivo e non me la lascio
sfuggire.
Il Laboratorio Crash è un centro occupato che sorge in una
zona artigianale della periferia bolognese.
Da una prima occhiata sembra bello ampio, e mentre mi
ambiento mi accolgono i New Colour, nuova band bolognese orientata al suono
soul/Motown, molto piacevole da ascoltare; il sassofonista, poi, sembra uscito
da un raduno mod italiano del ’83, quindi decisamente pollice alto.
Dopo i New Colour tocca ai Radio Babylon, gruppo ska punk
maceratese che intrattiene mezzoretta con la loro volenterosa proposta; io però
comincio ad accorgermi che il problema del locale è che la gente ci fuma
dentro; ok che ci sono le finestre aperte, però, mi accorgerò dopo, questo non
basterà per far si che la serata sembri ambientata in un club rock pre- divieto
di fumo.
I Selecter comunque salgono sul palco con il centro che è
bello costipato: Pauline Black mi sembra in forma, e anche il resto della banda
non scherza: tutti eleganti e precisi, come scuola Two Tone insegna.
Partono con “Time Hard” e “They Make me mad”, classiconi
legati al periodo iniziale della band.
Dell’ultimo album “String Theory”, uscito quest’anno,
propongono live cinque canzoni, che raccolgono la loro sufficienza, anche se
mia morosa dice di no.
Nel frattempo un tizio vicino a me si accende un sigaro, che
va ad aggiungersi alle cinquecento sigarette già accese in sala: oramai sembra
di stare in una camera a gas, ad ogni modo mi entusiasmo se c’è da farlo, tipo
quando i Selecter piazzano “Missing Words”, “On my Radio” e “Too Much
Pressure”.
Ripenso al festival di Onda d’Urto e concludo che era una
lusso vederseli all’aria aperta rispetto a stasera: comunque loro meritano
sempre, decisamente all’altezza della situazione con un suono classico che non
teme lo scorrere del tempo.
lunedì 12 agosto 2013
I MELT - ANGURIARA FARA - FARA VICENTINO (VI) - 09/08/2013
Bel concerto quello dei Melt al festival “Anguriara Fara” di
Fara Vicentino, zona collinare posizionata tra Thiene e Marostica.
Sembra che di giorno si possa godere davvero di un bel
panorama verso la pianura sottostante; ad ogni modo mi accontento di
osservare i Melt suonare per poco meno
di un oretta, passando in rassegna praticamente tutto l’ultimo album “Il nostro
cuore a pezzi”, aggiungendo qualcosa dal penultimo “L’intonarumori”.
Indie Rock Punk italiano, chiamiamolo così se proprio
dobbiamo darne un nome, anche se poi una volta che ci si perde nell’ascolto le
definizioni stilistiche lasciano il tempo che trovano, in quanto il cantato in
italiano attira una buona fetta di attenzione.
Bello che i Melt cantino in italiano, e senza dire cose
stupide o scontate peraltro: un gruppo, che alla fine della fiera, è sempre rimasto
una sorta di “tesoro veneto”, che gli appassionati locali conoscono bene,
mentre nelle altre regioni decisamente meno.
E si che i Melt sono in giro da vent’anni, e tutto sommato i
loro concerti in giro li hanno sempre fatti.
E si che magari in questi vent’anni, gruppi infinitamente
meno dotati di loro hanno ottenuto più successi di pubblico (ammesso che questo
significhi davvero qualcosa).
Ad ogni modo è buona cosa sapere che in qualche paesino
veneto potrebbero suonare per una cinquantina di minuti un set di ottime
canzoni.
mercoledì 17 luglio 2013
CJ RAMONE - OLTRASUONI FESTIVAL - DRO' (TN) - 12/07/2013
Non sono tanti quelli che possono bearsi di far parte della
famiglia Ramones e sappiamo tutti che Joey, Johnny e Dee Dee non ci sono più:
Cj Ramone è uno della famiglia.
Certo, entrò nella band nell’ultimo periodo, giusto per
piazzare un paio di buoni album autografi in studio (più Acid Eaters), però ho
sempre pensato che la sua parte la fece bene, mettendoci energia, fedeltà alla
linea e cantando anche qualche buon pezzo.
La data di Drò si preannuncia quindi imperdibile per
qualsiasi appassionato fan ramonico.
Ad aprire la serata ci sono i Manges, band spezzina che chi segue punk rock dovrebbe conoscere quantomeno bene, vista la militanza ventennale dei
nostri.
In mezzoretta sparano parecchi proiettili,
concentrandosi principalmente nei brani usciti negli anni 2000, con un paio di
chicche direttamente dal decennio precedente.
Da segnalare una cover di “Murder in the Brady House”, pezzo
minore dei primi Screeching Weasel.
Pubblico che si scalda per bene ed è pronto all’entrata di
Cj e band.
Inizia subito con “Judy is a punk”, “Blitzkrieg Bop” e
“Cretin Hop”, roba che suona da sempre da Dio.
Si concede di piazzare qua e là qualche pezzo del suo album
uscito nel 2012, “Reconquista”, buone canzoni di matrice (ovviamente)
ramonesiana.
Da segnalare che il chitarrista Johnny “Two Bags”,
direttamente dai Social Distortion, sembra non sapere diverse canzoni, forse non
ha studiato bene, in alcuni pezzi partono a tempo basso e batteria e lui si
attacca dopo seguendo con lo sguardo quello che fa Cj.
Va beh dai, la cosa mi suscita anche un pò di
simpatia: Cj vedo che ci mette l’anima, mi sembra onesto in quello che fa e questo
basta.
Magari avere avuto la possibilità di vedere i Ramones dal
vivo, ad essere nati dieci anni prima.
mercoledì 10 luglio 2013
EX CCCP/CSI - SHERWOOD FESTIVAL - PADOVA - 05/07/2013
Purtroppo il fatto di vedere una band in un contesto
completamente astratto rispetto all’epoca e alle pulsioni originarie ha
condizionato non poco il mio sentimento verso il live degli ex Cccp/Csi allo
Sherwood Festival.
Intendiamoci, i dischi dei Cccp (soprattutto i primi lavori)
suonano ancora come dinamite pura: l’unica via italiana al punk? Probabile.
Noia, provincia, alienazione: dentro c’è tutto. Supportato
da un immagine visiva ed ideologica che non lasciava scampo per originalità ma
anche per profondità di visione.
I Csi, invece, non li ho mai ascoltati se non a spizzichi e
bocconi, vedendoli come una maturazione dello spirito Cccp, certamente resa
necessaria dall’evolversi delle cose, ma non in grado di attrarmi come la
realtà precedente.
Purtroppo però il tempo passa per tutti ed un operazione
come quella di riproporre le vecchie canzoni targate, appunto, Cccp/Csi è una
mossa che va incontro ad un grosso rischio revivalistico e proprio in questo
ostacolo cade in maniera evidente.
Certo, uno può pensare che comunque è bello sentirle suonare
dal vivo, però non basta; i Cccp mi hanno sempre trasmesso un qualcosa in più
di un semplice concerto in cui rinverdire la memoria del passato.
Poi consideri che manca alla rimpatriata Giovanni Lindo
Ferretti, cioè il fulcro del gruppo (insieme a Zamboni, certo, però comunque
una figura imprescindibile per poter capire il tutto) e allora inizia dalla più
evidente il conteggio delle cose che non vanno.
Perché la Baraldi è ok, ha grinta, ha voce, tutto quello che
vuoi, però non è Ferretti.
Perché Giorgio Canali deve cantare “Live in Pankow” e
“Valium Tavor Serenase” e a momenti neanche si ricorda il testo.
Perché il cantante della Banda Bardò che c’azzecca con la
freddezza provinciale da nord Italia dei Cccp?
Dai ragazzi, chiamano un hippie a cantare “Battagliero”, c’è
un limite a tutto.
Perché Nada (si, quella) che elargisce una sorta di profezia
apocalittica in “Trafitto” mi sembra un po’ fuori luogo.
Perché sono tutti là con il leggio, porca miseria, manco
fossimo al concerto di fine anno della filarmonica.
Tante cose, insomma.
Le canzoni su disco rimangono, per fortuna; insieme alle
immagini d’epoca, ai libri, alle interviste, a tutto quello che può aiutare a
non perdere un esperienza incredibile
come quella dei Cccp (Csi, ripeto, non ne parlo per scarsa conoscenza), che
però con un concerto “da cover band” come quello visto a Padova c’entra assai
poco.
martedì 2 luglio 2013
GUITAR WOLF - TRATTORIA ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 27/06/2013
Mi ha lasciato un po’ perplesso l’esibizione dei giappi
Guitar Wolf all’Altroquando di Zero Branco.
Geni o bluff? Premesso che parlo da semplice appassionato a
certi suoni, devo dire che a due/tre giorni dal concerto il dilemma non si è
sciolto e probabilmente non troverà risposta.
Ma cominciamo con ordine: aprono la serata i Rocky Horror Tv
Shock, quintetto veneto a cui il fatto di abitare in Padania non deve aver
fatto granchè bene. Una ventina di minuti di punk settantasettino annoiato e
arrabbiato al punto giusto, melodie moleste e facce scazzate come quelle che
vedi in certe copertine direttamente dal 77 minore inglese o americano.
Bello così, promossi.
Nel frattempo, mentre i Rocky Horror stanno completando il
loro set si scorge arrivare nel parcheggio il pulmino con dentro i Guitar Wolf.
Smontano la roba, un tizio la monta e dopo un po’ è giunto
il loro momento.
L’ingresso sul palco è da urlo: camminano in fila
orizzontale, vestiti di tutto punto con giubba in pelle, occhiali da sole e tenendo gli strumenti in
mano; mettici un po’ di nebbia finta dietro e diventa la scena perfetta di un
film di serie z giapponese.
Inizia il set e qua iniziano ad insinuarsi i primi dubbi di
cui prima scrivevo, nel senso che i tre sputano fuori un punk/noise con qualche
giretto rock’n’roll che però non mi entusiasma granchè.
I finali non si distinguono, gli stacchi interni alle
canzoni mi sembrano macchinosi, le canzoni in definitiva mi sembrano tutte
uguali.
Hai presente quando a 16 anni fai ascoltare i Ramones a tua
mamma? Lei dirà: “Ma sono tutte uguali!”, tu però sai che non è così, sai che
“Judy is a punk” non è “Glad to see you go”, perdio.
Il problema con i Guitar Wolf è che le canzoni sono
veramente tutte uguali: praticamente il concerto è un brusio rumorista di mezzora,
da cui alla fine ne esci anche un po’ sfiancato.
Probabilmente avranno successo in quegli ambienti alternativi
avanguardistici che tirano nei posti cool del mondo, tipo a New York, però a me
manca la sostanza: li preferirei più quadrati, più granitici, meno noise.
E’un problema mio, certo: ad ogni modo il palco lo tengono
molto bene, non si risparmiano, non fai in tempo a distrarti un attimo che il
cantante/chitarrista è già la che colpisce palline da tennis con la chitarra.
Per intorpidire maggiormente le acque potrei dire che se
tornassero a suonare in zona andrei comunque a vederli nuovamente: è un esperienza
tutto sommato da vivere.
mercoledì 12 giugno 2013
BUZZCOCKS – SOUNDVITO – SAN VITO DI LEGNAGO (VR ) – 08/06/2013
I Buzzcocks nella Bassa Veronese: bello.
Una zona che mi piace, distese di campi e risaie, strade
larghe tre metri, un paesetto ogni tanto che ti chiedi dove vanno i ragazzi al
sabato sera se non andare al bar di ritrovo.
E’ proprio nella piazza di uno di questi paesetti che si
incontrano nelle vicinanze di Legnago (San Vito) che si sono esibiti i
Buzzcocks.
Favoloso: ti giri a sinistra e c’è la chiesa e il mini
centro del paese, mentre di fronte hai una delle band più significative del
punk rock tutto, ma oserei dire anche di quella cosa chiamata rock.
L’occasione è di quelle grosse ed organizziamo una
macchinata di cinque elementi.
L’attesa scorre via liscia annaffiata da diverse birre e
qualche discussione sul calciomercato che verrà.
A mezzanotte finalmente i quattro salgono sul palco per un
set che personalmente mi aspetto esplosivo, visto l’affetto musicale che provo
verso i mancuniani.
La prima volta li vidi dieci anni giusti fa alla Gabbia di
Bassano del Grappa: ubriachissimi, con Pete Shelley che ogni 3 x 2 si girava a
fare l’occhiolino a due tardone a lato del palco e con bottiglie di spumante
sopra gli ampli.
Questa volta mi sembrano più sul pezzo e macinano che è un
piacere: “Boredom”, “Fast cars” e “I don’t mind” il trittico iniziale che non
lascia scampo.
Volumi altissimi, energia che tra il pubblico (almeno per
chi è coinvolto) si potrebbe tagliare a fette.
Dell’ultimo album “Flat Pack Philosophy”, uscito oramai nel
2006, non eseguono neanche un brano, privilegiando una scaletta che risulta
essere praticamente un best of dell’intera produzione; evidentemente i
Buzzcocks hanno capito che dopo trentacinque anni dalla fondazione possono
permettersi di suonare in giro senza dipendere dal meccanismo “album – tour di
supporto”, anche se comunque un nuovo album verrebbe senz’altro accolto con
gioia da chi li segue come il sottoscritto.
Da segnalare un capitombolo che vede coinvolto il
chitarrista Steve Diggle che ad un certo punto inciampa su un filo cadendo alla
grande per terra e suscitando un applauso di viva simpatia da parte dei
presenti.
A metà spezzano con le lunghe suite quasi meccaniche di “Moving
away from the pulsbeat” e “Nothing’s left”, in cui ne approfitto per fare circa
un litro di piscio in mezzo ad un campo.
Uno sguardo ai quattro: Pete Shelley ha addosso una camicia
a maniche corte (già vista in qualche foto abbastanza recente), che nella
grafica sembra richiamare dei concetti di grafica postmodernista a cui i
Buzzcocks dedicarono parecchia attenzione nella prima fase di carriera
(1976/1981) per quanto riguarda le copertine dei dischi e le grafiche in
generale: la voce sembra ancora quella dei tempi d’oro e questo basta.
Steve Diggle è il mod del gruppo: vestito bene, pulito, elegante,
Union Jack nell’amplificatore con sopra disegnato il simbolo della pace.
Gli altri due (bassista e batterista) mi sembrano belli in
forma, fanno il loro e anche visivamente contribuiscono alla buona riuscita
dell’insieme.
Al termine della prima fase la doppietta “Promises” – “What
do i get” ti lascia senza fiato.
Dopo una breve pausa, il finale è affidato a “Harmony in my
head”, “Ever fallen in love” e “Oh shit”, roba da restarci sotto.
Giusto dieci anni fa avevo il Ciao e sul casco avevo scritto
con l’adesivo “Oh shit” in omaggio ai grandi Buzzcocks.
Il tempo passa veloce, però se sai che ci sono in giro
canzoni come quelle dei Buzzcocks e soprattutto hai modo di vederli ancora
calcare il palco, non puoi che tirare una conclusione positiva.
sabato 18 maggio 2013
DIAFRAMMA – MACELLO – PADOVA – 11/05/2013
Sempre bello aver la possibilità di assistere ad un concerto
dei Diaframma, come è bello sapere che in giro c'è uno come Federico Fiumani,
un artista che in trent’anni di carriera ha composto memorabili pagine di rock
tricolore.
Rock Italiano: ecco cosa fanno i Diaframma. Rock Italiano
della miglior specie, di quello che dovrebbe avere ampi riconoscimenti in tutto
il Paese, se solo ci fosse un po' di giustizia musicale.
E comunque i Diaframma il loro seguito ce l’hanno sempre:
una nicchia, certo, ma fedele e appassionata al verbo, perché quando lo scopri
e lo apprezzi poi è difficile staccarsene.
Al Macello di Padova, in un sabato sera di maggio, eravamo
poco più di un centinaio: comunque pronti a tirare fuori dieci carte per il
concerto, e attenti a quello che veniva fuori dagli amplificatori e dalle
casse.
In un set di circa cinquanta minuti passano in rassegna
tutti i momenti migliori della band fiorentina: Siberia, Gennaio, Tre Volte
Lacrime, Labbra Blu.
Testi nella maggior parte dei casi evocativi, personali,
accompagnati da una base rock punk in cui la scena se la prende tutta il suono
della chitarra di Federico Fiumani: un suono bellissimo, di marmo, d’impatto.
Frasi a volte urlate, con la voce che quasi neanche ci
arriva, qualche errore tecnico: chissenefrega, non m’importa nulla a me.
Spirito punk che in questo caso vuol dire far le cose
artigianalmente e umanamente, non meccanicamente, sennò chiamiamo i robot a
farle.
Alla fine del concerto un tizio chiama a sé Fiumani, che si
sporge dal palco per ascoltarlo, poi riferisce:
“Mi hanno detto che è il compleanno di una ragazza, che vorrebbe
riascoltare Siberia e Gennaio”, già eseguite precedentemente; senza problema
alcuno attacca con l’arpeggio di Siberia e poi con il riff di Gennaio.
Tutto è personale nei Diaframma: le canzoni, l’attitudine,
il suono.
E nell’appiattito mondo musicale c'è sempre bisogno di un
gruppo così.
mercoledì 8 maggio 2013
GIUDA - MAXIMUM FESTIVAL - TRATTORIA ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 03/05/2013
A distanza di tre giorni dai Dr. Explosion, torno al Maximum
Festival per vedermi i Giuda.
Sono curioso di vederli, nell’ambiente ne parlano bene un
po’ tutti: Luca Frazzi su Rumore li spinge già da un annetto a questa parte, e
non posso negare che non mi dispiace per niente un certo riferimento
visivo/stilistico che la band ha dalla sua parte: un gruppo contemporaneo che
si rifà a quei suoni che spopolavano tra i cosiddetti boot boys inglesi nella
metà dei 70’s: Slade, Sweet, Gary Glitter e compagnia cantante.
Cinque euro di ingresso (prezzo onesto) e due gruppi spalla
per far passare le due orette che portano all’esibizione dei Giuda intorno alla
mezzanotte.
Il quintetto romano suona sostanzialmente un rock’n’roll
riffato bello compatto e quadrato, con voce inserita bene e rafforzata a
puntino dall’aiuto vocale dei chitarristi e del bassista.
Zero parole e quaranta minuti di musica che non fa
prigionieri.
Una canzone come “ Teenage Rebel ” è talmente costruita bene
che sembra quasi essere una cover di una hit proveniente dal sottobosco
musicale a cui si rifanno.
“Number Ten” parla di calcio, del fantasista dai piedi buoni
che ogni squadra dovrebbe avere nell’undici titolare.
Sicuramente, ad occhio, tra il pubblico c’è parecchia gente
che sputa merda sul calcio in nome del proprio integralismo alternativo, quelli
che tifano la Nazionale solo quando arriva in finale in qualche competizione:
ecco, allora mi fa ancora più piacere ascoltare “Numero Dieci”.
venerdì 3 maggio 2013
DR. EXPLOSION - MAXIMUM FESTIVAL - ZERO BRANCO (TV) - 30/04/2013
Ogni tanto mi capita di andare ai concerti da solo; oddio, in
percentuale sono di più quelli che ho visto e vedo in compagnia, però ogni
tanto succede che, per vari motivi, prendo la macchina in solitaria e vado al
concertino che mi sono segnato da tempo in agenda.
Questa alla Trattoria Altroquando (ho già avuto modo di tesserne
le lodi qualche tempo fa) è la prima serata del Maximum Festival, iniziativa
lodevole messa in piedi dalla Go Down Records, oramai conosciutissima etichetta
del trevigiano con in carnet diverse band.
L’idea del festival è quella di far suonare i gruppi dell’etichetta,
piazzando di solito un gruppo esterno di punta.
Arrivo giusto per beccarmi l’inizio della prima band in
scaletta, i veneti Supertempo, che si rivelano essere una piacevole sorpresa.
Sostanzialmente trattasi di punk rock melodico, veloce e
lineare, con dei bei giri di basso a sostegno; in certe occasioni mi sembrano
parecchio indebitati con certe cose degli Hard Ons, anche se forse mancano i
pezzi bomba dei cangurotti.
Ad ogni modo un bel set, frizzante e piacevole.
Dopo i Supertempo, salgono i Bluesevil, tre ragazzi con un
accento non veneto (scoprirò poi essere mezzi romagnoli).
Capisco subito che sarà una mezzora lunga per me: i tre,
infatti, suonano una specie di hard rock blues con assoli di chitarra lunghi
dieci minuti, una cosa che mi fa stracciare le palle in maniera inaudita.
Dei tizi grandi e grossi davanti a me, che sembrano usciti
dal classico bar di provincia, fanno si con la testa e dimostrano di
apprezzare, probabilmente memori del cd dei Guns’n’Roses che tengono in
macchina, ma io non la reggo sta roba qua.
E’ che sono da solo, allora mi prende male farmi mezzora in
solitudine con cotanta colonna sonora; per fortuna mi perdo a guardare un
ragazzo e una ragazza, avranno sedici anni a testa, che incuranti di tutti e
tutto saltano, ballano maldestramente, fanno mosse di qualche disciplina
asiatica del cazzo, addirittura si rotolano per terra durante una pausa tra un
pezzo e l’altro.
Dopo un po’ che li guardo interessato, mi accorgo che ci
sono altri ragazzi intorno a me tutti presi dalla scena dei due, e noto che sghignazzano
tra di loro.
In breve comincio a ridere di gusto anch’io, da solo, una
cosa che non mi fermo più.
Per fortuna che il gruppo finisce e salgono gli spagnoli Dr.
Explosion.
Non li conosco, o meglio non li conoscevo fino a quando è
uscito il programma del Maximum e allora sono andato a vedermi un paio di
video.
Roba interessante, la loro.
Purtroppo io sono ancora fermo ad ascoltare i gruppi inglesi
e magari americani, però difficile che ascolti qualcosa di extra anglosassone (apparte
ovviamente i gruppi italiani); e si che in passato ogni tanto i Pekinska Patka
o i Los Nikis gli ascoltavo volentieri, ma anche adesso non avrei problemi,
solo che poi la musica che conta nella vita è altra.
Comunque i tre spagnoli macinano che è un piacere con il
loro beat/garage/r’n’r senza troppe
pippe mentali, e inoltre, punto che molte volte risulta non pervenuto nelle
band italiane sotterranee, sanno tenere bene il palco, o meglio, il cantante chitarrista
sa tenerlo.
Tipetto simpatico, una sorta di Edwyn Collins periodo Orange
Juice, con il suo mix di italiano e spagnolo parla alla pubblico di dracula e
pompini, sposta le transenne e viene a suonare in mezzo al pubblico.
Il gran finale vede tutta la band sulla pista del pubblico,
il batterista con il timpano e basta che suona un boogie, con chitarra e basso
che gli stanno dietro ed emanano una specie di surf primitivo.
Il pubblico preso bene, coinvolto e soddisfatto, può tornare
a casa felice.
venerdì 26 aprile 2013
NIKKI CORVETTE & THE ROMEOS - REVOLUTION - MOLVENA (VI) - 24/04/2013
In un Italia sempre più allo sbando, con migliaia di ragazzini che sembrano aver perso mano per le passioni pure, come può essere la
musica e quello che ci gira attorno, per fortuna c’è ancora chi riesce ad
organizzare serate di livello non distanti da casa mia.
Io ogni tanto ci provo ad organizzare qualcosa: far suonare
un gruppo,metterci dietro due dj con i vinili.
Insomma, premiare un certo modo di fare e vedere le cose.
Se non c’è futuro neanche nella vita “regolare”, con molti
che non sanno cosa faranno da qua a tre mesi, perché non investire tempo
nelle cose che ti piacciono?
E’ chiaro, mi sembra, che il modello “metti la testa a posto”
ne esca ridimensionato da questi anni 2000: lavoro sicuro/famiglia, con le vere passioni adolescenziali spesso sacrificate da molti sull’altare di questa
presupposta “normalità”, sembra una strada che non porta più da nessuna parte.
Io invece so che le passioni sono importanti, sono una cosa
seria e vanno rispettate.
La serata di cui scrivo è organizzata presso il locale
Revolution di Molvena.
Mai stato prima di mercoledì, forse perché ci fanno sempre
serate di merda con cover band, o forse sono io che mi sono perso qualche
passaggio.
Comunque ci suona Nikki Corvette, meteora del punk a stelle e striscie fine anni’70, una scena pericolosa con dentro dei tipetti mica da ridere, dove
lei invece suonava con le Corvettes un bubblepunk da fumetto adolescenziale.
Tre ragazze pecorelle in mano ai lupi che ciondolavano nei
bassifondi delle città.
Non durarono molto le Corvette, e poco si sa della fine che
fecero finita l’esperienza musicale.
A pensarci mi vedo bene Nikki Corvette a gestire la tabaccheria
all’angolo, oppure fare la barista in bar da schifo o a lavorare in un
panificio.
Ad ogni modo è stata fuori dal giro per parecchio tempo
anche la brava Nikki, ed è rientrata giusto qualche anno fa con qualche
progetto sporadico.
In questo tour europeo, che ha in quella di Molvena la
seconda data, è accompagnata da una backing band italiana, i Romeos.
Hervè dei Peawees, Franz Barcella (che ricordo bene come
penna acuminata di Bam, oramai un decennio fa) e il fratello di Franz.
Noto con piacere che la band ha un banchetto merchandising:
capita molto spesso, infatti, ad un tradizionalista come me, di non trovare uno
straccio di ricordo da portare a casa con i gruppi originali degli anni ’70 (mi
vengono in mente i Selecter).
Nikki Corvette & The Romeos sono in giro ufficialmente a
promuovere il loro primo singolo insieme, un
7” con due canzoni, che scoprirò essere davvero pregevoli una volta
tornato a casa ed avergli appoggiato la puntina sopra.
Dopo due gruppi spalla, i Diplomatics (punk’n’roll derivativo)
e i Dancers (sorta di indie kids che sembrano aver studiato bene sugli album
dei Gaunt), la star della serata sale sul palco intorno a mezzanotte e mezzo.
Quaranta minuti di power pop e teen punk come se piovesse, i
cui picchi sono rappresentati da “Backseat Love” e “Girls Like Me”.
Bella la cover dei Buzzcocks, “What do i get?”,che il
pubblico sembra apprezzare particolarmente.
Tutto sommato un bel set, frizzante, con Nikki Corvette che sembra non aver smarrito di molto la vocina adolescenziale di trent’anni fa, a
discapito della forma fisica, quella sì, purtroppo, barattata con il diavolo in
cambio di un posto di gloria (seppur in economica) nell’ottovolante del rock’n’roll.
mercoledì 27 febbraio 2013
BRUCE FOXTON “FROM THE JAM” – DEPOSITO GIORDANI – PORDENONE – VENERDI 22 FEBBRAIO 2013
Paul Weller, Bruce Foxton e Rick Buckler erano i tre nomi che costituivano i Jam, band che segnò in maniera indelebile il proprio tempo tra la fine degli anni ’70 e i primi ’80, ponendosi come un nome immarcescibile nella gloriosa tradizione di suoni di stampo britannico.
Who, Kinks, Small Faces i padri, Jam ed altri (penso ai
Madness) nel mezzo e il britpop degli anni ’90 in seguito.
Una carrellata di nomi le cui carriere andrebbero studiate
tra i banchi di scuola, magari con una bella gita a Londra come corollario.
Dopo la fine dei Jam nel 1982, la storia ha dimostrato come
sia stato Paul Weller quello che se l’è cavata meglio, almeno per quanto
riguarda il crescente successo di pubblico, tra Style Council e una carriera
solista tuttora attiva.
Bruce Foxton, che dei Jam era il bassista, rilasciò un album
solista nel 1984 (con una produzione forse troppo legata ai suoni del periodo e
di conseguenza invecchiata male), per poi confluire negli Stiff Little Fingers
come onesto musicista, abbandonando ogni velleità solistica.
Come capita poi a molte seconde linee di band del passato, Foxton ha deciso di monetizzare un minimo quanto creato
con i Jam, mettendo in piedi i “From The Jam” (con Rick Buckler alla batteria,
ora non più in formazione), con in quali porta in giro le canzoni della sua
vecchia band.
Poi all’improvviso una scossa: ad ottobre 2012 il buon Bruce
pubblica un album a proprio nome, “Back in the Room”, decisamente ben riuscito,
che suona praticamente come suonerebbero i Jam nel presente.
E questo, a mio parere, non può essere che un bene.
Comunque, arriva venerdì 22 febbraio e mi dirigo come
programmato in quel di Pordenone.
Ingresso a 15 euro (non poco ma attutito da un locale bello,
pulito, riscaldato e da uno show che spero sia memorabile).
Alle 22.40 circa iniziano i Kickstart, nome storico
dell’underground pordenonese, con dentro gente che suona dai tempi del Great
Complotto, storico movimento cittadino fine anni ‘70/anni ’80, una fucina di
idee e creatività senza paragoni, almeno in Italia.
I Kickstart fanno un buon punk ’77 figlio dei Buzzcocks
quanto dei Damned, per certi versi vicino ai Cute Lepers, per agganciarci ad
una band contemporanea; mezzoretta di show, canzoni tirate e melodiche, suoni perfetti, e alle 23.30 è già
pronto Bruce Foxton accompagnato da un chitarrista/cantante e da un batterista.
Partono subito
alla grande con “Down in the tube station at midnight”, seguita da “This is the
Modern World” e “David Watts” dei Kinks, coverizzata dai Jam in “All Mod Cons”.
Il pubblico inizialmente sta un po’ sulle sue, non so perché,
tant’è che lo stesso Bruce Foxton si sente in dovere di ricordare a tutti che
sarebbe anche venerdì sera.
Piano piano l’ambiente si scalderà, anche se nel complesso
sarà un concerto molto tranquillo quanto a partecipazione; ad ogni modo l’ex
Jam fa sfilare, in ventidue canzoni di scaletta, tutto il meglio del repertorio
di casa Jam, aggiungendoci un paio di ottimi pezzi tratti dal suo ultimo lavoro.
“Going
Underground”, “Pretty Green”, “Strange Town”, “In the city”, “Town Called
Malice”.
Io adoro i Jam: i suoni, le parole, le melodie. E’chiaro che
trovarmi di fronte il bassista di quella band che mi sciorina tutti i classici
non mi lascia indifferente.
E’ una bella botta di vita, quelle che vorresti ce ne
fossero almeno una volta al mese, e che sei contento ti arrivino dalla musica.
Puoi ritenerti fortunato, ti ritrovi a pensare che in un
certo senso hai seminato bene se poi quelle stesse canzoni che hai ascoltato
mille volte su disco, dal vivo riescono a darti una carica che durerà per un
bel po’, almeno fino al prossimo concerto del gruppo di cui conosci a memoria
tutte le canzoni.
mercoledì 20 febbraio 2013
BOB MANTON - PURPLE HEARTS SCORCHERS
Sicuramente l'operazione commerciale si sarà rivelata un disastro, ma almeno ora posso sapere (io e probabilmente altri dieci pazzi in tutto il mondo) quali fossero la canzoni preferite da Bob.
mercoledì 30 gennaio 2013
BRAVI RAGAZZI (primi Melt) - CSA ARCADIA - SCHIO (VI) - 26/01/2013
Si dice sempre che il miglior alleato di un’attività sia il
passaparola, sistema che presuppone la volontà di consigliare ad un qualcuno
interno alla propria rete sociale di usufruire di un servizio in cui ci si è
trovati molto bene.
Attività nobile il passaparola: le motivazioni devono essere
forti se decido di spendermi, senza nessun ritorno, per promuovere un qualcosa.
Ecco, con i Melt dei primi due album, con il sottoscritto e
molta altra gente è andata proprio così.
Eravamo troppo giovani per vivere in diretta l’epoca di
“Bravi Ragazzi” e “Sempre più distanti”, e arrivammo giusto con tre/quattro
anni di ritardo, quando la band aveva preso un’altra strada sonora e di line
up.
Però quei primi due album ci segnarono, ci folgorarono.
Si creava un giro di passaggi, animati solamente dal piacere
di dare un qualcosa che indirettamente parlasse un po’ di te all’altro, che
rendeva alla perfezione il passaparola di cui sopra: “ti faccio una cassetta”, “ti
giro un cd”.
“Bravi Ragazzi” è del 1997: punk rock lanciato e melodico,
testi memorabili, canzoni belle dalla prima all’ultima.
“Sempre più Distanti”, il seguito datato 1998, è, se
possibile, un passo in avanti in direzione di un punk’n’roll eseguito alla perfezione e dai connotati più
maturi; sicuramente una delle vette per quanto riguarda i dischi usciti in
Italia legati al giro punk rock, e peccato per chi non lo conosce.
Eh si, perché i Melt hanno sempre goduto di un grande
seguito nella zona vicentina e veneta in generale, però non è dato sapersi
quanto siano conosciuti, ad esempio, in Lombardia o in Piemonte, ma penso non
molto.
Folgorati sulla via dei Melt, quindi.
“Bravi Ragazzi” lo ascoltavo in cassetta, con il walkman,
nei primi anni zero; il walkman rendeva il tutto ancora più grezzo e sporco,
chitarre lancinanti, certe parole che non riuscivo a decifrare.
Quando ebbi l’occasione di ascoltarlo in cd rimasi di
pietra a scoprire che in realtà la
registrazione era molto più pulita di quanto ascoltato da me; infatti resto
totalmente legato a quella cassettina doppiata.
“Sempre più distanti”, invece, aveva certi testi talmente
cupi che non c’è niente di meglio per descrivere come ti senti a vent’anni.
Anche qua parole che non si capivano, “Giorno su giorno” che
aveva una stranissima seconda melodia parallela alla principale, da cui ogni
tanto emergevano parole che sembravano essere “qualcosa”, “invece”.
All’Arcadia di Schio (bel posto e prezzi onesti) c’erano
tutti i ragazzi della zona a cui i Melt degli esordi hanno dato qualcosa, e il
locale straripava nel senso vero del termine.
La serata è strutturata in questo modo: Vince alla chitarra/voce
e Gian alla batteria ovviamente fissi, accompagnati a turno da vari bassisti e
secondi chitarristi.
Partono con “Resterai solo” e puntuale scatta un entusiasmo
che si trascinerà lungo tutta la serata.
Suonano tutto “Bravi Ragazzi” e gran parte di “Sempre più
Distanti”.
Concerti così, pure botte di vita, dovrebbero essercene ogni
settimana, o almeno ogni mese: qualche partito del cazzo che ora si sta
scaldando per la tornata elettorale dovrebbe metterlo per iscritto nel
programma.
giovedì 17 gennaio 2013
SKA.J - GARAGE CLUB - SAN MARTINO DI LUPARI (PD) - 11/01/2013
Il Garage Club è un posto intrappolato in una tipica zona industriale veneta, quelle che dal venerdi sera al lunedi mattina sono deserte, quelle che se fossimo a Napoli ci organizzerebbero corse clandestine di auto.
Zone spettrali, con le prostitute che battono dal tramonto all'alba.
Il locale vero e proprio è un magazzino adibito a "locale rock", come ce ne sono diversi sparsi nel Veneto.
Oramai si può dire perfettamente compiuto il decentramento dei locali notturni in zone squallide e tetre, con i cittadini del centro che reclamano il loro diritto di stare tranquilli (di solito se vuoi stare tranquillo prendi casa in campagna, almeno un tempo funzionava così, ma tant'è).
Con questi presupposti, è facile che l'11 gennaio la zona appaia davvero dura, vuoi per la scenografia industriale, vuoi per il freddo gelido; questo per spiegare che un gruppo come gli Ska-J probabilmente si apprezzerebbero maggiormente in condizioni ambientali diverse, ad un festival all'aperto per esempio, con una bella birra ghiacciata in mano e vecchio ska nell'aria a farti compagnia.
Loro comunque suonano che è un piacere, tra cover di classici ska e brani autografi.
Il poco pubblico presente inizialmente sembra abbastanza sulle sue, per poi lasciarsi andare in balli cretini lungo il concerto.
A proposito, ma come ballano lo ska questi qua?! Saltellando, facendo piroette, liberando i sensi.
Cazzo, è una cosa seria: secondo me dovrebbbe essere ballato da fermi, ondeggiando sul posto, con stile, come gli skinheads a Londra nel '69 con i dischi della Trojan, della Treasure Isle e della Pama.
A Woodstock non si ballava ska, ricordatevelo.
Concludendo, gli Ska-J in estate dovrebbero suonare ogni sera, come le orchestre di liscio.
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