sabato 28 luglio 2012

NICK HORNBY - TUTTA UN'ALTRA MUSICA


Un libro piacevole e scorrevole, questo libro dello scrittore londinese tradotto e pubblicato oramai nel 2009.
Leggevo nel web di analogie con "Alta Fedeltà", e qualcosa potrebbe anche rientrare nella similitudine.
La passione per la musica (anche se qui è una passione monotematica verso un preciso autore) e il rapporto con le donne.
Nel complesso comunque "Alta Fedeltà" rimane una sorta di pietra miliare, anche se con quest'ultima lettura Hornby si riscatta dall'ultima prova che avevo avuto modo di leggere, quel "Non buttiamoci giù" che non mi convinse fino in fondo.
Su "Tutta un'altra musica" la storia si svolge per buona parte su due diverse collocazioni geografiche, Stati Uniti ed Inghilterra, per poi completarsi in quest'ultima.
Si parla, tra le righe, del ruolo che vanno ad assumere le nuove tecnologie nell'ambito dei rapporti umani, visto che è proprio grazie ad internet e alla sua capacità di connessione tra le persone che la storia ha modo di svilupparsi come si scoprirà sfogliando il libro.

sabato 21 luglio 2012

STONE ROSES - MILANO - IPPODROMO DEL GALOPPO - 17/07/2012


Nella serie di reunion a cui si ha assistito nel corso di questo decennio e poco più dall’inizio del nuovo secolo, quella degli Stone Roses è apparsa oggettivamente come una delle più inaspettate (visto che solamente nell’estate del 2011 il chitarrista John Squire rilasciava dichiarazioni che non prospettavano certamente l’annuncio dell’effettiva riunificazione esternato solamente pochi mesi dopo) e soggettivamente come una delle reunion più gradite, se non la più gradita per il sottoscritto.
Oddio, il rischio che una band del calibro dei Roses corre in questi casi è che presentarsi palesemente fuori forma o, peggio, fuori tempo massimo, come accade a qualche band che ritorna sulle scene, potrebbe essere una parentesi evitabilissima per quello che di buono la band in questione ha costruito durante la propria carriera, ma fortunatamente questo non si è rivelato essere il caso dei mancuniani.
La storia degli Stone Roses appare decisamente curiosa: un album, omonimo, stratosferico nell’anno di grazia 1989, summa ed anticipazione di quello che sara poi noto come Britpop nel corso dei 90’s, una pausa discografica, dovuta a problemi di carattere contrattuale, durata ben cinque anni, e la pubblicazione di un secondo album, “Second Coming”, da molti bollato come poco riuscito e sicuramente inferiore al debutto (si poteva forse fare meglio?) ma pieno zeppo di buone canzoni anch’esso.
Stop.
Lo scioglimento del 1996 metteva la parola fine ad una delle esperienze più influenti della scena britrock tutta, però quello che la band aveva prodotto bastava sicuramente per inserirla di diritto nel club esclusivo delle cose più riuscite a livello musicale.
Il 17 luglio era insomma un giorno che aspettavo da tempo: a marzo, il primo giorno della prevendita, avevo già il mio bel biglietto in tasca per paura di un utopico “tutto esaurito” che ora mi rendo conto aver ingenuamente presupposto solamente nella mia mente; certo, gente ce né all’Ippodromo di Milano, ma siamo molto lontani dai numeri record registrati a Manchester nelle prime due date di questo tour.
Poco prima delle 22.00 i quattro di Manchester salgono sul palco e senza tante parole attaccano con l’intro strumentale di “I wanna be adored”, che è solo la prima tra le ottime cose prodotte dal gruppo che mi sarà dato modo di sentire nel corso dell’esibizione.
Durante il concerto, infatti, mi ritrovo diverse volte a pensare tra me e me che razza di repertorio si può permettere una band come gli Stone Roses; praticamente tutta roba ad alto, se non altissimo, livello di qualità.
Non c’è nulla fuori posto: dalle melodie pure di canzoni come “Sally Cinnamon” o “This is the One”, al groove dance virato Madchester di “Fools Gold” si tratta di un’ora che scorre via liscia che è un piacere.
Da segnalare il “mood” molto tranquillo della band sul palco che si amalgama bene al tiro “pigro” e sognante di molti pezzi della band.
La conclusione affidata a “I am the resurrection” è il perfetto sigillo sulla serata.
Ora, probabilmente vedere un gruppo nel proprio naturale contesto storico, come poteva essere assistere ad un concerto degli Stone Roses a fine anni ’80, resterà sempre di maggior rilievo che non assistere ad un concerto della stessa 20 anni dopo; però c’è da dire che l’ottima esibizione fa si che si esca tutti ben contenti dall’Ippodromo , e che forse bisognava “essere fatti di pietra” (cit.) per non apprezzare quanto visto.

martedì 17 luglio 2012

HANG THE DJ!


Sabato 21 luglio, io (A. Shepherd)e Paul DeRoma siamo a mettere su un pò di musica (rigorosamente in vinile!) presso il Barracuda di Villa d'Asolo (Tv).
Passate per due birrette estive!

domenica 8 luglio 2012

SOCO ROCK - DEROZER - BARRACUDAS - 6&7 /07/2012


Già l'anno scorso al Socorock di Grisignano di Zocco, cittadina di provincia a metà strada tra Padova e Vicenza, ebbi modo di vedermi un bel concerto con Tv Smith degli Adverts (supportato da Dave Rave dei Teenage Head)e quest'anno le cose non sono state da meno, anzi, se possibile, sono migliorate.
Venerdi 6 luglio c'è la prima data post reunion dei Derozer in terra vicentina dopo un bel pò di anni, mentre al sabato tocca ai grandissimi Barracudas, gruppo tra i miei preferiti, una di quelle band che ti chiedi se avrai mai l'occasione di vedere dal vivo in questa vita.
Insomma, si trattava di due date che già da un bel pò di tempo facevano bella mostra di sè sulla mia agenda.
Alcune considerazioni e sensazioni (positive, ci mancherebbe) sul ritorno in pista dei Derozer le avevo già espresse a maggio dopo averli visti al New Age di Roncade (Tv), prima data veneta del nuovo tour.
Continuo a ripetere che la pausa non può che essere stata positiva per la band vicentina: nel 2008 sembravano stanchi e forse neanche l'appoggio dei ragazzi sotto il palco era più lo stesso, con i ventenni di allora che magari stavano passando a qualcos'altro, oppure li avevano già visti dal vivo 4/5 volte.
Il tempo invece ha dimostrato come la mancanza di un gruppo come i Derozer si facesse sentire, e anche parecchio.
Innanzitutto sono sempre un punto di riferimento (l'unico?) all'interno di una scena che dalla loro pausa non è cresciuta di nulla, facendo anzi molto passi indietro.
Basti pensare ai Duracel, posti in apertura.
Se questo è il futuro, ragazzi, meglio mettersi le mani nei capelli.
Gente che vorebbe assomigliare ai Derozer, ma che però vuole anche far sentire sui testi che ha studiato e fatto l'Università; non si spiegherebbero altrimenti certi concetti contorti che vogliono far trasparire con certe canzoni.
Qualche melodia buona c'è, ma la distanza con i Derozer, anche solo del 1994 è un'oceano.
I Derozer si sono sempre contraddistinti per fare le cose semplici e fatte bene.
Cose per tutti, con testi da strada (se mi si passa il termine).
Il motivo del loro enorme successo nel nord Italia è sicuramente da attribuire anche a questo, oltre che a tutti gli sbattimenti organizzativi con cui negli anni si sono fatti conoscere da praticamente ogni ragazzo italiano che ascolta punk rock.
E la gente vuole bene ai Derozer, perchè vede assonanza tra quello che fanno e quello che sono o che almeno sembra arrivare al pubblico.
A Grisignano, venerdi c'erano 1.000 persone per vederli, e i numeri non sono un'opinione.
Che dire sulla perfomance? Al New Age il locale era contenuto, cosicchè tutti cantavano e l'atmosfera era decisamente calda.
Il festival si tiene all'aperto, su un'enorme palco e come spesso capita nei festival è un'altra cosa rispetto ad un concerto in un locale, anche se per questo non diminuisce il fascino di trovarsi su un campo, con il gruppo che vuoi sentire e un'ottima birra Pedavena in mano che ti disseta.
La scaletta ricalca quella già sentita al New Age, con la doppietta "Cuore Brucia" e "Mondo Perfetto" posta in apertura, e poi via via tocca tutte le fasi della band berica.
Sarei curioso di ascoltare un nuovo lavoro loro, sono sicuro che tirerebbero fuori cose buone dal cilindro.
Il sabato è il giorno dei Barracudas.
E' con grande rammarico che devo obiettivamente parlare di un concerto deludente.
Poteva essere il concerto dell'estate per alcuni (noi 50 sfigati che li ascoltiamo) e gli ingredienti c'erano tutti: band di culto, che chi conosce solitamente ama, ampia presenza in scaletta di canzoni dal mood decisamente "estivo" e leggero con il loro mix di power pop/r'n'r riscontrabile negli esordi della band.
Poteva esserlo, ma non lo è stato.
Troppe cose non hanno funzionato: la presenza scenica della band, il suono ed una scaletta francamente mal combinata.
Dispiace dirlo per quello che rappresentano per il sottoscritto (lo ripeto, stiamo parlando di un gruppo decisamente tra i miei top 5 di tutti i tempi) ma i Barracudas di Grisignano hanno dato l'impressione di non essere neanche una band.
Erano cinque uomini in ferie in Italia che per l'occasione hanno suonato qualcosa.
Può capitare una serata storta, ma francamente credo poco a questa teoria: credo, purtroppo, che bisogna prepararsi per suonare, a qualunque livello tu sia.
Preparare una scaletta che tenga in considerazione ciò per cui la gente ti conosce, suonare compatti, avere un minimo di presenza scenica, insomma cercare di fare le cose fatte bene.
Partono con "Grammar of Misery" e fin qui niente di male, anzi si tratta di un gran bel pezzo, è che piano piano affondano, anzi sprofondano nei pezzi minori e con poca verve della loro discografia.
Di "Drop Out" suonano "I can't pretend", "Violent Times", "Codeine", "Somebody" e "1965 again".
Troppo poco.
Praticamente tralasciano tutti i pezzi "leggeri" di cui prima come "Campus Tramp", "His Last Summer", ma anche "Surfers are back" per non parlare di "Summer Fun", la loro Blitzkrieg Bop.
Questa si dice che avrebbero dovuta suonarla nei bis, ma peccato che i bis non ci siano stati.

martedì 3 luglio 2012

EUROVISIONI


La calma piatta del salone del ristorante fu squarciata dalle grida di alcuni bambini, provenienti dalla piccola saletta tv distante una trentina di metri.
Il messaggio da decifrare era chiaro: l’Italia aveva fatto goal.
Chi, non era dato a sapersi.
Italia – Irlanda , lunedì 18 giugno, ultima partita del girone C e decisiva per le sorti degli Azzurri.
Un girone stregato per il sottoscritto: si parte con Italia – Spagna e lavoro, si prosegue con la Croazia e sono in treno e si conclude con l’Irlanda e sono una cena.
In compenso non mi faccio sfuggire qualsiasi altra partita che capiti a tiro; ho così modo di considerare come l’Olanda sia inguardabile, la Grecia passi il girone immeritatamente e l’Irlanda risulti quasi romantica nel suo gioco fisico e anti-tecnico, quasi un omaggio a certo calcio pioneristico primo ‘900.
Delle partite italiane del girone, non potendole seguire, mi restano impresse le istantanee in cui scopro che qualcuno ha fatto goal: con la Spagna il boato arriva da una bar di un paesino dove sto facendo delle consegne (una cosa simile mi capitò con la prima rete di Milito al Bayern in finale Coppa Campioni, con le grida provenire da un palazzo popolare); con la Croazia dei ragazzi esultarono vicino al binario da cui sarebbe partito il treno. Sembrava ascoltassero la radiolina, una scena bellissima, peccato ascoltassero uno di quegli aggeggi tecnologici infernali di ultima generazione dai quali terrò per sempre la distanza.
Con la Croazia vennero in mio aiuto i bambini del ristorante.
Il cameriere, mentre serviva abbondanti piatti di pesce, non nascose il suo entusiasmo per le grida e cercò di capire quantomeno chi avesse segnato.
Quando uno dei clienti seduti in tavolo gli chiese se avesse notizia sul risultato della Spagna il coperchio cadde e si scoprii che il cameriere era uno dei classici italiani che durante l’anno se ne sbattono del calcio e poi per Europei e Mondiali sono in prima fila con la faccia pitturata, dato che non sapeva che la Spagna non doveva pareggiare 2-2.
Gli stessi stronzi che quando Monti dice che “bisognerebbe sospendere i campionati per due-tre anni” sono d’accordo.
Io in inverno le domeniche a guardarmi il posticipo domenicale Parma – Atalanta, mentre questi vengono fuori solo quando sentono puzza di maxischermi nei bar e partecipazione popolare.
Poi arrivò l’ora dell’Inghilterra: una specie di derby del cuore per il sottoscritto.
A Londra ci sono stato diverse volte, sempre molto soddisfatto del viaggio che andavo a fare e sempre apprezzandone i contenuti.
L’Italia mi ha dato una patria, una famiglia, una lingua, una cucina, una terra.
L’Inghilterra mi dato molta musica, qualche buon libro da leggere, diversi stili sub culturali, insomma una serie di elementi che hanno il loro peso nell’economia della mia vita, anche se rimango orgoglioso di venire da dove vengo.
E’una partita che mi piacerebbe vedere al Bar Italia, a Soho, Londra: un bar in stile italiano come ce ne sono in ogni paese qui da noi (i classici “Bar Nazionale” dei nostri paesi), dallo stile decisamente sixties, però la vanno tutti matti per questo posto.
Io alla domenica sera lavoro, però dovrei staccare alle 20 e 30.
Bene, penso: riuscirò a guardarmi tutta la partita senza problemi, e sarà la prima volta di questo Europeo.
Alle 20 e 30 ho una consegna di minimo 15 minuti.
Impreco, dentro di me.
Alle 20 e 45 ritorno e salta fuori che ne ho un’altra di altri 15 minuti.
Trattengo la mia incazzatura, esco per accingermi a farla e questa volta impreco a voce alta, fortunatamente non troppo, altrimenti mi troverei senza lavoro.
Alle 21.00 finalmente torno a casa, gustandomi un bel match dominato in maniera imbarazzante dalla nostra Nazionale, che però, nonostante questo, non riesce a buttarla dentro e rischia di tornare a casa, dato che i rigori travalicano l’andamento della partita e fanno sempre storia a sé.
Dopo il rigore decisivo di Diamanti vedo Pirlo che corre esultante come a Berlino ’06.
Ci pensa Buffon, nell’intervista dopopartita a farci tornare tutti un po’ con i piedi per terra, affermando, che siamo solo in semifinale, mica abbiamo vinto niente. Giusto.
I giorni che precedono e posticipano la semifinale con la Germania sono un autentico merdaio: tutta Italia si riscopre appassionata di calcio, tipica malformazione da grandi eventi sportivi; io però se la nazionale di basket va in finale non è che mi metto a rompere i coglioni con il fatto che sia un grande fan di basket.
Semplicemente non me ne importerebbe nulla come ho sempre fatto, lasciando vivere gioie e delusioni a coloro che le vivono tutto l’anno.
Evidentemente il mio ragionamento resta sempre un ragionamento “d’elitè”, ma capisco che ad essere ”d’elite” nell’epoca dei social network si corra il rischio che il lettore non sappia neanche cosa significhi questa parola.
Il Tg5, nei giorni pre e post la semifinale diventa l’emblema intero dell’idiozia che pervade il Paese.
La prima notizia è dedicata allo spread e alla crisi (immancabile), poi venti minuti di calcio con la Nazionale e verso la fine “un collegamento da Mirandola per sapere come stanno i terremotati”.
Il calcio come strumento per tenere buona la gente, per non farla pensare a quelli che sono i veri problemi, per non farla pensare ai banchieri che decretano la nascita e la fine di una crisi finanziaria come se la gente normale potesse farci qualcosa per cambiare la situazione.
Per me è troppo e noto con piacere che ogni anno che passa divento sempre più rompicoglioni e intransigente con le mie idee.
La finale va come va, e dieci minuti dopo il fischio finale già ci sono polemiche televisive sul poco spazio dato ai giovani italiani nel nostro campionato rispetto al Barcellona.
Noi non cambieremo mai.