mercoledì 12 giugno 2013

BUZZCOCKS – SOUNDVITO – SAN VITO DI LEGNAGO (VR ) – 08/06/2013



I Buzzcocks nella Bassa Veronese: bello.
Una zona che mi piace, distese di campi e risaie, strade larghe tre metri, un paesetto ogni tanto che ti chiedi dove vanno i ragazzi al sabato sera se non andare al bar di ritrovo.
E’ proprio nella piazza di uno di questi paesetti che si incontrano nelle vicinanze di Legnago (San Vito) che si sono esibiti i Buzzcocks.
Favoloso: ti giri a sinistra e c’è la chiesa e il mini centro del paese, mentre di fronte hai una delle band più significative del punk rock tutto, ma oserei dire anche di quella cosa chiamata rock.
L’occasione è di quelle grosse ed organizziamo una macchinata di cinque elementi.
L’attesa scorre via liscia annaffiata da diverse birre e qualche discussione sul calciomercato che verrà.
A mezzanotte finalmente i quattro salgono sul palco per un set che personalmente mi aspetto esplosivo, visto l’affetto musicale che provo verso i mancuniani.
La prima volta li vidi dieci anni giusti fa alla Gabbia di Bassano del Grappa: ubriachissimi, con Pete Shelley che ogni 3 x 2 si girava a fare l’occhiolino a due tardone a lato del palco e con bottiglie di spumante sopra gli ampli.
Questa volta mi sembrano più sul pezzo e macinano che è un piacere: “Boredom”, “Fast cars” e “I don’t mind” il trittico iniziale che non lascia scampo.
Volumi altissimi, energia che tra il pubblico (almeno per chi è coinvolto) si potrebbe tagliare a fette.
Dell’ultimo album “Flat Pack Philosophy”, uscito oramai nel 2006, non eseguono neanche un brano, privilegiando una scaletta che risulta essere praticamente un best of dell’intera produzione; evidentemente i Buzzcocks hanno capito che dopo trentacinque anni dalla fondazione possono permettersi di suonare in giro senza dipendere dal meccanismo “album – tour di supporto”, anche se comunque un nuovo album verrebbe senz’altro accolto con gioia da chi li segue come il sottoscritto.
Da segnalare un capitombolo che vede coinvolto il chitarrista Steve Diggle che ad un certo punto inciampa su un filo cadendo alla grande per terra e suscitando un applauso di viva simpatia da parte dei presenti.
A metà spezzano con le lunghe suite quasi meccaniche di “Moving away from the pulsbeat” e “Nothing’s left”, in cui ne approfitto per fare circa un litro di piscio in mezzo ad un campo.
Uno sguardo ai quattro: Pete Shelley ha addosso una camicia a maniche corte (già vista in qualche foto abbastanza recente), che nella grafica sembra richiamare dei concetti di grafica postmodernista a cui i Buzzcocks dedicarono parecchia attenzione nella prima fase di carriera (1976/1981) per quanto riguarda le copertine dei dischi e le grafiche in generale: la voce sembra ancora quella dei tempi d’oro e questo basta.
Steve Diggle è il mod del gruppo: vestito bene, pulito, elegante, Union Jack nell’amplificatore con sopra disegnato il simbolo della pace.
Gli altri due (bassista e batterista) mi sembrano belli in forma, fanno il loro e anche visivamente contribuiscono alla buona riuscita dell’insieme.
Al termine della prima fase la doppietta “Promises” – “What do i get” ti lascia senza fiato.
Dopo una breve pausa, il finale è affidato a “Harmony in my head”, “Ever fallen in love” e “Oh shit”, roba da restarci sotto.
Giusto dieci anni fa avevo il Ciao e sul casco avevo scritto con l’adesivo “Oh shit” in omaggio ai grandi Buzzcocks.
Il tempo passa veloce, però se sai che ci sono in giro canzoni come quelle dei Buzzcocks e soprattutto hai modo di vederli ancora calcare il palco, non puoi che tirare una conclusione positiva.