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venerdì 30 settembre 2022

BUZZCOCKS - SONICS IN THE SOUL


Non so cosa abbia spinto Steve Diggle a continuare con il nome Buzzcocks dopo la morte di Pete Shelley: lo stesso Steve ha dichiarato che questa fosse una richiesta di Pete poco prima di morire, boh, chi lo sa. Chiariamoci: a me Steve Diggle sta molto simpatico, i Buzzcocks sono uno dei miei gruppi della vita, l'immagine e il suono art modernista, tutto è stato grandioso nei Buzzcocks, non meno che essenziale. E Steve Diggle c'è dall'inizio della storia, non dimentichiamolo. Uno può dire che non aveva il peso specifico di un Shelley o addirittura di un Devoto (fondamentale all'inizio ma durato un anno), ma sono d'accordo fino ad un certo punto: oltre ad un buon contribuito nella prima parte di vita dei Buzzcocks, Diggle è stato oltremodo fondamentale nella seconda parte di carriera della band mancuniana dal 1989 in poi. E' stato lui a spingere per riformarsi e i dischi anni '90 e duemila erano equamente divisi Shelley / Diggle. Oltre a questo ha fatto anche qualche disco solista, ben riuscito direi. Negli anni '80 invece Diggle aveva i Flag of Convenience, particolari, molto Manchester sound, non così conosciuti e con degli ottimi pezzi. Ecco, io forse al netto di tutto questo disco l'avrei fatto uscire a nome Flag of Convenience. E' un piacere avere tra le mani un nuovo dei Buzzcocks, ovvio, però ti trovi a fare i conti con una legacy davvero enorme e in qualche modo ingombrante in cui devi mantenere degli standard particolari e molto alti. Ho letto qualche recensione impietosa in giro ma questo disco è ottimo nei canoni del Diggle pensiero, molto chitarroso, dai toni abbastanza oscuri nella sua parte centrale e con qualche influsso psichedelico. "Senses out of control" è classic Buzzcocks, "Bad dreams" si richiama alla scuola riff "Fiction Romance", "Just gotta let it go" è ottimo britpop stile fratelli Gallagher. La spazialità del suono Buzzcocks è rivisitata all'occorrenza, vedi la riuscita "Experimental farm". Registrato a Tottenham nel novembre 2021, c'era una foto che circolava di Steve Diggle fuori dallo studio di registrazione in un parcheggio di carico/scarico, sigaretta in bocca, fumo che esce dalla bocca, freddo, lui vestito di nero: mi sono fatto delle fantasie su quella foto. Poi ragazzi, ovviamente al disco manca la componente fondamentale di Pete Shelley, le melodie cristalline, quella voce particolare. Senza tirare in ballo i Buzzcocks del 1978, ma la componente Shelley era garantita anche nei dischi post reunion.
Il discorso è che i due si compensavano e completavano, c'era una potente alchimia, per questo dico che forse questo doveva uscire sotto un'altro moniker. Bisognava forse aspettare un po' dopo la morte di Pete Shelley, far passare del tempo, capire se continuare come Buzzcocks sarebbe stata la scelta corretta. Ok, mi viene da pensare che è tutto relativo, che "Finchè c'è Steve Diggle godiamocelo ancora un disco dei Buzzcocks",che un giorno non ci saranno più. Ma può essere considerato anche un discorso fatalista e troppo semplicistico, bisogna valutare la complessità del caso. Ad ogni modo è un gran bel disco.

venerdì 31 dicembre 2021

BAND AID 2020




Inaspettato quanto graditissimo ritorno, i Band Aid pubblicano un nuovo disco a distanza di trent'anni dall'ultima uscita. Band leccese attiva dal 1980 al 1985, due LP e un EP (lo splendido "A Tour in Italy") al tempo con Italian Records, il trasferimento a Bologna, menzionati in "Un Weekend Postmoderno" di Tondelli: pura epica underground wave tricolore 80s di culto.
Questo nuovo disco, dicevo: molto bello, ben riuscito. Di base un jazz rock interamente strumentale, con passaggi no wave e mood mediterraneo, a volte movimentato a volte di tranquillità. Siamo dalle parti dei Lounge Lizards (con cui tra l'altro condivisero la partecipazione al festval Electra 1981 a Bologna). 
Aggiungerei che non c'è nulla da invidiare ad un nome di peso attuale come quello dei Calibro 35, che si muovono su coordinate meno mediterranee ma con alcuni punti cinematici di contatto.  

mercoledì 6 gennaio 2021

MOLCHAT DOMA - MONUMENT


Cold Wave / Synth Pop da oltre la Cortina di Ferro, suonata come se fossimo nel 1983, questo è "Monument" dei bielorussi Molchat Doma. Un gran bel disco triste e plumbeo, perfetto per l'ennesimo lockdown, quando esci a passeggiare la sera della vigilia di Natale e per strada ci sei solo tu. Ah già, ma ormai ci abbiamo fatto l'abitudine a queste tristi scene. Si potrebbe coniare un nuovo modo di dire: "Sei triste come un pezzo dei Molchat Doma", oppure "Sei brutto come uno dei Molchat Doma", dato che i tre son brutti, non so perchè siano sponsorizzati Fred Perry visto che non è che elevino stilisticamente il marchio. Ad ogni modo questo è un gran bel disco. Curioso ovviamente il fatto che arrivi da un posto che qualche anno fa nessuno avrebbe calcolato in termini musicali: più che altro sono proposte che difficilmente varcano i confini nazionali; la popolarità europea di questo gruppo rimanda anch'essa ai primi anni '80 quando esisteva una proposta europea globale, vedi il successo di Righeira, Falco, Nina Hagen, Telex.

martedì 29 dicembre 2020

THE QUEERS - SAVE THE WORLD



E' stato un ottimo anno il 2020 per il punk rock vecchia scuola, con i nuovi dischi di Screeching Weasel, Manges e Queers (in ordine cronologico di uscita).
Una scena che forse, anzi sicuramente, non ha avuto sufficiente ricambio ad alta quota, negli ultimi quindici anni ha avuto più bassi che alti e si basa ancora sui numi tutelari. Alt, diciamo la verità: non si basa proprio più su nulla, solo che se capita un anno così mi piace credere esista ancora. 
I Queers era da ben dieci anni che non buttavano fuori un disco nuovo e questo "Save the World" lo trovo fresco e ben riuscito.
Ok, è una sorta di "give the people what they want" ma chissenfrega, i quindici pezzi vanno giù che un piacere. Essenziali, diretti, melodici, testi strambi, tutto al posto giusto. Forse la sparo grossa, ma ricorda un po' "Love Songs" come struttura e concept. E' una forma d'arte questo pop punk scuola Lookout? Si, per me si. E' una bolla di bubblegum con tutto un mondo dentro, i Ramones, i Beach Boys, i coretti, le tematiche. E qua stiamo parlando della massima espressione di tutto questo, i Queers.
Un gran bel ricordo che ho è il loro concerto alla Gabbia di Bassano nel 2002, era appena uscito "Pleasent Screams", il locale era imballato, un entusiasmo pazzesco. Poi li rividi altre volte ma a quello della Gabbia ogni tanto ci penso ancora. In Italia han sempre avuto gran seguito ed erano (sono tuttora credo, quantomeno dai trentenni in su) molto amati. Appena possibile mi piacerebbe rivederli live. 

venerdì 4 dicembre 2020

WORKING MEN'S CLUB - S/T



Todmorden sta sopra ai Monte Pennini a cinquanta minuti da Manchester, verso nord: da lì vengono i giovani Working Men's Club e direi che l'influenza della vecchia scena Manchester si sente tutta.

Per dare due coordinate di massima calcolate i Fall sopra ad una base spinta New Order / Section 25, con qualche svisata in direzione Happy Mondays. Davvero un buon disco: cupo, teso, in qualche frangente opprimente.

Roba che si fa apprezzare lungo la Strada Statale Postumia come colonna sonora tra una zona industriale desolata e un capannone vuoto, ma pure (ovviamente) richiama alla memoria qualche flash del Northern Quarter di Manchester.  

Io ho preso il cd, praticamente è senza booklet e con un adesivo appiccicato sulla plastica della confezione. Tipo qualcosa che gira sottobanco, una specie di bootleg con un mezzo richiamo alla prima House / Techno dove conta il contenuto e non il contorno. Effettivamente è ben presente un atmosfera synth techno in tutto il disco.

"Valleys", il pezzo d'apertura, è dancefloor underground, mi ricorda certe sere al Vinile di Rosà, discorsi che adesso si possono solo immaginare perchè chissà quando si potrà davvero rivivere quelle situazioni. 

"Angel", l'ultima traccia, forse dura leggermente troppo, però ha un riff ipnotico che sembra uscire dal primo dei New Order, "Movement". 

  

venerdì 9 ottobre 2020

THE MANGES - PUNK ROCK ADDIO



"Punk Rock Addio" è una specie di saga nera su eroi finiti, tossici, solitari, gente problematica, sottoculture. Qualcuno diceva "essential punk for dark times": ecco, direi che la definizione calza. 

E' un disco che di questi tempi suona particolarmente bene, soprattutto a causa del periodo storico oggettivo in corso: dirò di più, sembrerebbe scritto appositamente a colonna sonora del periodo stesso, nonostante fosse già stato registrato a marzo.

Il suono che lo sostiene è punk rock Ramones / Riverdales al 100%, tranne "Tootsie Rolls" che è in stile Giuda, credo un divertissement, non so se magari indotto dal fatto che l'album sia stato registrato dal loro chitarrista, Moretti.

"Paninaro" è un bignami pop subculturale, "Ice Capades" era come come volevo chiamare la mia band, "Chinese Dragons" è Dee Dee Ramone 1991 New York, fuori dal gruppo e a spasso per New York.

E' un disco breve, finisce in fretta e ne vorresti ancora, che poi è un po' quell'effetto che danno i Ramones.

Molto bella la confezione digipack, il booklet, i disegni: un lavoro che esprime cura e passione do it yourself. 

giovedì 14 maggio 2020

KLASSE KRIMINALE - VICO DEI RAGAZZI



Dei Klasse Kriminale mi piace una certa modernità linguistica, testi flash per immagini mentali, una formula ben presente nel rap, raccontare per metafore, parlare di situazioni ultrapersonali (con tanto di nomi di amici, situazioni locali) che però diventano in qualche modo universali.
Questo è un punto che mi piace: è poesia di strada. Sotto c'è una base tra punk'n'roll e glam boot boys velocizzato, un genere che ha ripreso vigore in certi ambienti sottoculturali dopo l'exploit dei Giuda, maggiormente legati alla versione original di quel suono.
Un mix che, secondo me, li colloca su una buona posizione nella pretesa retorica di essere la voce dei ragazzi. Ovvio che solo una piccolissima parte dei ragazzi di adesso si avvicineranno forse a questo disco, ma la formula ci sarebbe, eccome. Mi piace battere il tasto sul discorso dei testi, in alcuni casi strepitosi: associazioni mentali tipo "Fratelli Gilli sul palco coi Ramones", "Franchino andò a Reading coi ragazzi" in "Prole Rock", oppure "Fabio dei Dalton ieri mi ha detto non ci pensare scrivi un pezzo su questo": roba del genere credo possa uscire solo dai Klasse Kriminale.

mercoledì 3 ottobre 2018

GLEN MATLOCK - GOOD TO GO

A conclusione della recensione dell'Ep "Sexy Beast", uscito poco più di un anno fa, avevo scritto che sarebbe stato molto interessante poter ascoltare qualcosa sulla lunga distanza, nello specifico un album, che si muovesse entro le stesse coordinate sonore, ed eccomi accontentato.
Aspettative ben riposte? Beh, direi proprio di si: "Good to Go" è un gran bel disco, riuscitissimo, sicuramente tra i miei preferiti del 2018.
Canzoni molto semplici nella struttura, ottime melodie e poco spazio a sperimentalismi di sorta: classicismo, tradizionalismo, roba duratura forgiata dal tempo. Questo concetto, se vogliamo, è un aspetto fondamentale nella storiografia di Matlock che già nei Pistols aveva dato problemi per via dei suoi gusti considerati "classici" o della sua visione non così progressista come poteva essere quella di Johnny Rotten; in realtà i Pistols erano una band dal suono classico, non erano i Pil, e Glen Matlock compose gran parte della musica.
Ecco, questo è un buon approccio per avvicinarsi all'ascolto di "Good to Go": dentro ci sono certi richiami ai Kinks primi anni '70 ("Won't Put the Brakes on Me"), rock'n'roll torbido ("Wanderlust") e anche un pezzo che starebbe benissimo cantato da Joey Ramone ("Piece of Work").
Dovessi scegliere la preferita, direi "Strange Kinda Taste", un bell'impasto di Kinks /Small Faces /Power Pop che nel lettore in macchina gira che è un piacere.
La formazione che accompagna Glen Matlock è la stessa dell'Ep, Slim Jim Phantom, Stray Cats, alla batteria e Earl Slick, carriera di ultralivello, alla chitarra: questo incastro risulta fondamentale nella buona riuscita dell'album, lo stile di entrambi si nota, non passa assolutamente sottotraccia.
In realtà la domanda che mi faccio da qualche giorno è questa: sarà questo album apprezzato in giro? Avrà il giusto riconoscimento? Boh, mistero.
Sarebbe bello se la band intraprendesse un bel tour in formazione completa, invece so che Glen gira spesso solo con l'acustica. Vedremo. Nel frattempo me lo riascolto un altra volta.




lunedì 22 maggio 2017

SENZABENZA - POP FROM HELL



I Senzabenza ritornano con un nuovo album dopo ben quattordici anni e lo fanno in grande stile.
"Pop from Hell" è cool a partire dalla splendida copertina con Topolino (con tanto di apparecchio dentale) disegnata da Manuel Manges; poi dentro ci sono quindici canzoni una più bella dell'altra.
La band di Latina, storicamente, non si è mai limitata a svolgere il compitino, e pur avendo solide basi nel suono "punk rock" ha sempre percorso delle varianti concettualmente e musicalmente affini.
Fondamentalmente "Pop from Hell" è un disco power pop: ci sono le chitarre e ci sono delle melodie perfette. C'è punk rock, beat, garage, brit pop ("Chinese Takeaway") e un pezzo che sembra uscito dai migliori Stranglers ("Do you wanna bring me down").
Insomma, un gran bel disco che, se ce n'era il bisogno, testimonia come i Senzabenza siano una delle cose migliori di sempre collocabili nell'ambito della musica indipendente italiana in senso lato.
Quindi che non si pensi solo ai Marlene Kuntz, ai Csi o agli Afterhours quando si guarda agli anni '90 italiani: si guardi anche un po' più in là, ai Senzabenza, a quella compilation che si chiamava "Flower Punk Rock" e al riscontro internazionale di alcune tra queste band (Senzabenza stessi, Manges).

giovedì 26 gennaio 2017

STEVE DIGGLE - INNER SPACE TIMES



Intanto c'è da dire che è vergognoso che Steve Diggle debba ricorrere al crowfounding per poter registrare un album.
Ho capito tutta la pippa sul fatto che questo sia il nuovo diy e un modo nuovo (?) per fare le proprie cose in libertà, ma a me sa da fine dell'impero.
Nel 1977 c'era la corsa da parte delle etichette discografiche per accapparrarsi i gruppi disponibili sulla piazza, c'erano sia i colossi che le nuove indie come Rough Trade o Beggars Banquet: adesso cos'è rimasto? Che uno come Steve Diggle, dopo quarant'anni di onorata carriera, deve ricorrere al finanziamento preventivo da parte degli ascoltatori per poter registrare un album.
Vuol dire che il sistema è proprio morto: sarebbe stato bello se questo disco fosse uscito su Rough Trade, invece dell'ultima nuova band che tra un anno avrà già cambiato genere e fra tre non esisterà più, ma tant'è.
Uno può dire: alt, se ci pensi il primo singolo dei Buzzcocks era autoprodotto. Verissimo, rispondo, ma ci sono dei distinguo da fare: innanzitutto era il loro debutto e poi evidentemente gli aprì le porte per poter registrare i successivi con la Ua Records.
Senza i successivi dischi non avremmo avuto tutto il percorso post "Spiral Scratch" dei Buzzcocks.
Comunque questo disco è meraviglioso.
Quando uno come me che ama i Buzzcocks acquista il disco di un loro membro sa che dovrebbe andare abbastanza sul sicuro.
Eppure devo ammettere che avevo qualche titubanza: il titolo, "Inner Space Times", mi lasciava presagire sconosciuti scenari psichedelici; inoltre, una volta arrivatomi il disco, la foto interna del libretto in cui Steve è in posa con una chitarra acustica alimentava qualche dubbio a proposito.
E' bastato mettere il cd nel lettore perchè questi dubbi venissero spazzati via.
Le canzoni sono tutte ottime, ognuna con una propria particolarità: il punk rock di "Bang Apocalypse" arricchito dai fiati, il power pop di "Kaleidoscope Girl", i Ramones 80's di "Holding On", l'acusticheggiante "Way Too Far" che richiama gli episodi migliori dei Rem e la splendida "The Weathermen Say" che starebbe bene su "Definitely Maybe" degli Oasis, che con il buon Steve Diggle condividono la città natale.
Mi piacerebbe se anche Paul Weller facesse un disco così ogni tanto, semplice ma genuino, di qualità.