giovedì 2 novembre 2017

MADNESS - GRAN TEATRO GEOX - PADOVA - 29/10/2017

Ho aspettato qualche giorno prima di buttare giù qualche riga sul concerto dei Madness e mi ha detto bene, nel senso che certe sensazioni vissute in diretta si sono successivamente un po' smorzate, o quantomeno ho voluto collocarle in un quadro generale.
Quali sensazioni? Beh, semplicemente l'esibizione al Geox non mi aveva pienamente convinto. Atmosfera tutto sommato floscia per gran parte del concerto e suoni provenienti dal palco non in linea con la ricchezza sonora di cui i Madness possono disporre.
Strano, a proposito dell'ultimo punto, che questo accada al Geox, location rinomata per la qualità sonora che avevo già avuto modo di testare in diverse occasioni.
Questo mi va bene che accada al concerto amatoriale sotto casa ma non in un posto dove paghi i tuoi bei 40 euro d'ingresso, ma tant'è.
Dicevo che queste sensazioni si sono un po' smorzate nei giorni successivi, perché comunque poi mi è rimasto un ricordo tutto sommato positivo della serata.
Perché dai, sentire dal vivo certe canzoni è sempre bello e perchè è roba di qualità estrema, curata nei particolari e quintessenzialmente londinese.
Da amante dei Kinks è molto facile vedere nei Madness una prosecuzione di quel discorso, soprattutto nell'immaginario, ma questo non lo scopriamo certo adesso.
Probabilmente, quindi la verità sta nel mezzo: nulla da dire sulla classe della band, in questo caso però penalizzata dai suoni.
In quest'ottica la partenza con il cavallo di battaglia "One Step Beyond" è stata un mezzo passo falso. L'avessero fatta per ultima, dopo che il pubblico si era ben scaldato con la doppietta "House of Fun/ Baggy Trousers" sarebbe stata tutta un altra storia.
Belli i pezzi dell'ultimo album, "Can't Touch Us Now", l'ho ascoltato parecchio nell'ultimo anno.
Pubblico prevalentemente di stampo sottoculturale; in realtà loro in Italia sarebbero abbastanza conosciuti anche dal pubblico generalista, che li ballava nelle discoteche dello Stivale nei primissimi '80. In Inghilterra dire Madness è come dire Lucio Battisti da noi.
In apertura ottimi i Giuda, orgoglio italiano, oramai una garanzia.

martedì 24 ottobre 2017

PROTEX - FREAKOUT CLUB - BOLOGNA - 20/10/2017

Dopo una giornata di lavoro trascorsa in trasferta a Verona, arriva sera, salgo in macchina e imbocco la Brennero direzione Modena/Bologna.
Cena di gran classe in autogrill e intorno alle 22.00 arrivo comodo al Freakout Club.
L'impatto non è dei migliori: tetra location sotto il cavalcavia di via Stalingrado, graffiti in giro, capannello di alternativi della peggior specie che mi squadrano e addirittura il tipo dell'entrata che si assicura che io sia lì per i Protex.
Adesso, ok tutto, capisco il terzo mondo sottoculturale in cui si trova l'Italia, però questa gente mi ha veramente rotto i coglioni. Che poi suonano i Protex, non gli Exploited e neanche i Punkreas.
E io ho un parka blu, pullover, camicia, jeans e un paio di wallabee, cioè son vestito normalmente, non mi sembra di esagerare.
Ancora una volta questi ambienti si dimostrano di una grettezza unica, chiusi nel loro piccolo mondo alternativo che, sostanzialmente, ha distrutto ogni possibilità di sviluppo in senso lato del mondo sottoculturale.
Per quanto mi riguarda sempre guardia alta verso questi individui, verso la loro ignoranza non giustificata e il loro pressapochismo.
Poi al cesso altro sguardo incattivito di uno skinhead a cui rispondo mostrando i denti.
Che poi il tipo è il cantante del gruppo spalla, tali Zona Popolare, autori di un Oi gutturale, con qualche buona base di stampo punk'n'roll.
In realtà sembrano la cover band dei Nabat. Anzi, in realtà sembrano una specie di progetto sostenuto da una associazione che si occupa del reintegro in società dei ragazzi socialmente disadattati.
Interessante come cosa, ben vengano questi progetti sostenuti dal Comune. Togliamo i ragazzi dalla strada e mettiamoli in sala prove a suonare la musica della strada!
Alle 23.00 salgono i Protex, gente ce ne sarebbe anche, solo che la gran parte preferisce restare fuori a fumare. E qua i conti tornano col concetto che esplicavo poc'anzi circa il sostanziale disinteressamento di questi verso la musica.
Il concerto ce lo vediamo in venticinque persone, con i Protex che probabilmente si saranno chiesti in che razza di manicomio son capitati.
Forse sarebbe stato meglio farli in un bel pub.
Loro comunque danno un ora di lezione magistrale a suon di power pop suonato come Dio comanda.
Mi è sempre piaciuta la scena nord irlandese di fine settanta, loro, gli Undertones, i Moondogs, gli Starjets.
Roba gioiosa, innocente, giovane. Composta e suonata mentre la loro terra aveva ben altri problemi a cui pensare.
Nei Protex c'è il rock'n'roll e ci sono grandi melodie malinconiche, il tutto sostenuto da ritmi medi. Ogni tanto mi perdo ad osservare il batterista, è uno spettacolo, molto sincopato e poco lineare, sostiene tutto il sound.
I pezzi super sono: "I can't cope", "A place in your heart", "Don't ring me up", "I can only dream", "Strange Obsessions".Dai, stiamo parlando dei vertici del genere tutto. Roba per palati sopraffini. E il tipo prima mi chiede se sono venuto per i Protex. Ma nasconditi va e chiedimi anche scusa dell'affronto che hai osato farmi, che i Protex saranno sempre dalla mia parte, non certo dalla tua.
Ne suonano parecchie anche dall'album appena uscito, "Tightrope", gran bel disco.
"Even if I wanted to" è un lentone straordinario, prendetevi tre minuti e ascoltatela nel web, fatevi sto favore.
Io, ad esempio, ho comprato il cd e mi son fatto l'ora e mezza del viaggio di ritorno che l'avrò ascoltata dieci volte. Poi ogni tanto spegnevo la radio e cantavo da me "A place in your heart".



sabato 14 ottobre 2017

999 - DUBLIN CASTLE - LONDON - 29/09/2017


Mi sparo un bel corso di aggiornamento a Londra composto da musica, football, shopping, pub e club.
Siamo in tre, arriviamo il venerdì ad orario pranzo e dopo il pomeriggio passato a zonzo, alla sera ci dividiamo per qualche ora: i miei due soci vanno al derby di Londra ovest Qpr - Fulham, io vado a vedere i 999 a Camden.
Nel 2016, qua a Londra, mi sono beccato Members e Lurkers in due serate differenti, quest'anno i 999: senz'altro cose di cui andare fieri!
Poi un conto è vederti il gruppo '77 da Londra in tour, che ne so, a Vicenza, in un contesto totalmente avulso da qualsiasi pretesa storico/temporale, un altro paio di maniche è vederseli a Londra.
Capito che siamo nel 2017 e non nel 1977, ma per me ha comunque il suo fascino vedermeli giocare in casa.
Il concerto si tiene al Dublin Castle, il pub dove iniziarono i Madness (spacciandosi come gruppo jazz) e dove, gira voce, potevi trovare frequentemente Amy Winehouse; sopra il bancone campeggiano diversi bei poster dei Nutty Boys.
La sala preposta al live, come da tradizione inglese, è separata rispetto alla zona pub.
Accedendovi mi rendo conto come sia strapiena e faccia un caldo tropicale; la maschera allo strappo-biglietti, capito che sono italiano, mi accoglie con un caloroso "Cassano!" che suscita in me una mezza risata.
Stan suonando i gruppi spalla, dentro si muore e allora preferisco stare al pub ad osservare la fauna e farmi un paio di pinte con pacchetto di patatine a corredo.
Il pubblico è composto da vecchi punk rocker dallo stile pulito, diversi skinheads, parecchie ragazze e qualche tipico coglionazzo "da Camden", quelli che di lavoro reggono i cartelli del negozio di tatuaggi.
Ce n'è uno parecchio ridicolo, con i capelli lunghi ma pettinati all'insù e divisi in una specie di due corna di color rosso. Ovviamente chiodo con borchie a profusione. Cazzo c'entra questa gente col '77 non l'ho mai capito, roba stereotipata condizionata dai mass media, pura spazzatura. Infatti poi verrò a sapere che il tizio è italiano, da Genova, e un po' c'era da aspettarselo.
E' l'ora dei 999 e prendo posto in sala. Nick Cash, cantante e chitarrista, sale sul palco passando in mezzo alla gente e allora ne approfitto per mettergli una mano sulla spalla e fargli un "Hey Nick!" a cui risponde salutando sorridendo.
Attaccano con "Black flowers for the bride", "Inside out" e "Hit me", tre discrete cannonate.
Sempre avuto un proprio stile particolare i 999, '77 molto vicino al power pop ("The biggest prize in sport" è un gran disco power pop), e dal vivo lo ripropongono in maniera sgraziata ed energica senza tanti conformismi.
Ogni tanto Nick Cash tossisce mentre canta, piccoli particolari che me li rendono ancora più simpatici.
Una tipa davanti a me mi sculetta addosso praticamente tutto il concerto, sia ben chiaro che non ho nulla contro e la lascio fare.
Dev'essere una molto appassionata perché sa anche "Really like you", che è si un gran bel pezzo, ma è su "Takeover" del 1998, non propriamente il disco più famoso dei nostri.
L'ultimo è "Death in Soho" del 2007, chissà se ne faranno mai un altro. Con queste band, ormai, siamo in un circuito totalmente slegato dal discorso "album/tour", è solo pura celebrazione e ci sta.
La sequenza finale della scaletta è monstre, con "Emergency", "Nasty Nasty" e "Homicide". Scusa tanto.
I bis ancora meglio, con "My Street Stinks" e "I'm Alive".
Esco bello soddisfatto e al pub trovo i soci post partita, la tipa di prima esce e mi canta "I'm alive", è venerdì, siamo a Londra e tra poco prendiamo e andiamo in un club ad Islington ad una serata britpop. Meglio di così!

martedì 12 settembre 2017

PAUL WELLER @ ESTRAGON - BOLOGNA - 10/09/2017



Il sabato sera vado a letto ad un orario indecente; domenica sono atteso a pranzo dai miei e praticamente non riesco a proferire parola, quando lo faccio emetto un suono gutturale modello "uomo delle caverne". Vedo di ripigliarmi un attimo in qualche modo e verso le 17.00 parto in solitaria verso Bologna, arrivando bello comodo a destinazione un ora e mezza dopo.
L'Estragon si trova all'interno del famoso Arena Parco Nord, luogo con un certo perché nell'agiografia concertistica italiana.
Panino con salamella, birra da mezzo che mi fa tornare su tutta la stanchezza, sigaretta d'ordinanza ed entro nel locale, una tensostruttura spersa nell'immensità asfaltata del Parco Nord.
Non son neanche le otto, non ho un cazzo da fare e mi piazzo addosso ad una transenna ad osservare l'ambiente e la fauna che inizia a popolarlo.
Vengo colpito dalla totale mancanza di stile di gran parte dei presenti, barbe, scarpe indecenti, t shirt sformate, abbinamenti improbabili e tagli di capelli improponibili.
Povera pigra Italia.
Non dico che ad un concerto di Paul Weller ci debba essere solo gente di un certo tipo, però insomma, immagino che se tu sia qui in una data sold out significa che un po' ti piace, e magari ti piace anche perché c'è una certa affinità di visione aldilà del mero discorso musicale.
Insomma, resto molto sorpreso da tutto questo.
A Pordenone due anni fa (concerto annullato causa pioggia) c'era molta meno gente e addirittura con una proporzione maggiore di elementi sottoculturali.
Il gruppo spalla, tali "Siberia", non c'entra proprio nulla, fanno una specie di cantautorato rock italiano colto e pesante. Si beccano anche degli applausi quando il caro vecchio lancio di frutta e verdura sarebbe stato maggiormente consono.
Inizia a fare anche un gran caldo e non c'è neanche una ventola che muove l'aria, però la cameriera mi fa gli occhi dolci e mi torna il buonumore.
Alle nove puntuali il grande Paul Weller guadagna la scena.
Prima volta che lo vedo, in un certo senso sono emozionato.
Parte con "I'm where I should be" tratta dal penultimo (ottimo) "Saturns Pattern", seguita da "Nova" dall'ultimissimo "A Kind Revolution".
A me i dischi di Paul Weller solista piacciono, trovo che ha fatto gran belle cose. Ovvio che poi se devo scegliere dico Jam tutta la vita, Style Council appena sotto e carriera solista al terzo posto, esattamente come la cronologia della sua carriera.
Messa così sembra ci sia stato un progressivo peggioramento della proposta, ma secondo me non è vero, lui fa sempre robe di qualità che meritano attenzione.
Poi, per dire, "Sonic Kicks" del 2012 non mi ha convinto in toto, però ci sta, anche la dentro un tre/quattro pezzi super c'erano comunque.
Degli Style Council ne ha fatte tre: "My ever changing moods", "Have you ever had it so blue" e "Shout to the top", roba sopraffina, perle.
L'acustica è ottima e si sta anche abbastanza larghi tutto sommato.
Vabbè la scaletta completa si trova agevolmente su internet, non voglio fare pezzo per pezzo.
Basti dire che comunque due ore abbondanti di concerto scivolano giù che è un piacere, con intensità e qualità.
Dei Jam fa "Monday" in acustico, versione ninna nanna, "Start" e una "Town called malice" da brividi come terzo bis, quando ormai gran parte del pubblico era confluito all'esterno, tra cui il sottoscritto. Sento QUEL giro di basso e torno dentro a gran velocità.
All'esterno mi compro anche una t-shirt abusiva giusto per non farmi mancare nulla, faccio una gran tirata fino a casa e all'1.30 son già sotto le coperte.


lunedì 17 luglio 2017

DEROZER @ FERROCK - VICENZA - 14/07/2017




Per i Derozer posso dire di provare un certo affetto. Sicuramente arriva dal fatto che nei primi anni 2000 facevo le superiori a Vicenza, ascoltavo punk rock ('77 e Lookout! Records, mica cazzi) e loro, al tempo, erano la band di punta della città.
Questo sentimento è tutto sommato rimasto in me pur ascoltando tante altre cose, magari anche di culto e più approfonditamente rispetto allo spettatore medio della band vicentina, ma questo non significa che non nutra un bel po' di rispetto nei loro confronti.
Dico questa cosa della spettatore medio perchè è chiaro che una buona parte del pubblico dei Derozer magari conosce loro, i Punkreas e altre due tre robette scrause di serie c ma non è veramente appassionata al genere.
Però mica si può fare colpa ai Derozer di questo.
Certo, l'unica macchia della serata di Vicenza è la mancanza al basso di Mendez, uno che in sede live ti garantiva un 50% in più di riuscita dell'esibizione e questo è un gran peccato.
Rispetto ai tempi d'oro dove erano un fantastico baraccone punk tenuto in piedi in qualche maniera da Seby, dal rientro del 2012 e soprattutto dal 2016 i Derozer si sono dati una bella ripulita. Hanno capito che quello che avevano tra le mani era comunque un bel business e faceva comodo, ma è giustissimo così, ci mancherebbe.
Tutti avremmo fatto uguale. Poi i Derozer la loro carriera se la sono costruiti loro, passo dopo passo, mica gli è piovuta dal cielo.
Adesso è già da qualche anno che ne stanno raccogliendo i frutti e son contento per loro.
A Vicenza l'entrata costava 1 euro, giocavano in casa, ovvio che il Ferrock fosse pieno e ci fosse una bella atmosfera.
Ti bevi qualche birra, canti le canzoni, fai due ghignate: meglio di così!

lunedì 22 maggio 2017

SENZABENZA - POP FROM HELL



I Senzabenza ritornano con un nuovo album dopo ben quattordici anni e lo fanno in grande stile.
"Pop from Hell" è cool a partire dalla splendida copertina con Topolino (con tanto di apparecchio dentale) disegnata da Manuel Manges; poi dentro ci sono quindici canzoni una più bella dell'altra.
La band di Latina, storicamente, non si è mai limitata a svolgere il compitino, e pur avendo solide basi nel suono "punk rock" ha sempre percorso delle varianti concettualmente e musicalmente affini.
Fondamentalmente "Pop from Hell" è un disco power pop: ci sono le chitarre e ci sono delle melodie perfette. C'è punk rock, beat, garage, brit pop ("Chinese Takeaway") e un pezzo che sembra uscito dai migliori Stranglers ("Do you wanna bring me down").
Insomma, un gran bel disco che, se ce n'era il bisogno, testimonia come i Senzabenza siano una delle cose migliori di sempre collocabili nell'ambito della musica indipendente italiana in senso lato.
Quindi che non si pensi solo ai Marlene Kuntz, ai Csi o agli Afterhours quando si guarda agli anni '90 italiani: si guardi anche un po' più in là, ai Senzabenza, a quella compilation che si chiamava "Flower Punk Rock" e al riscontro internazionale di alcune tra queste band (Senzabenza stessi, Manges).

giovedì 4 maggio 2017

DENIZ TEK @ VINILE - ROSA' - 28/04/2017



Deniz Tek al Vinile, a quindici km da casa mia, e vuoi che non vada a vederlo?
Cazzo, ci fossero ogni weekend sti concertini che non caga nessuno. Mi piacciono sempre un sacco.
Zero moda, zero hype, solo cuore.
Infatti dentro al Vinile saremo in cinquanta e tocca anche sorbirsi due gruppi spalla che non c'entrano una sega, quindi ci si butta a pesce sui beveraggi della casa.
Poi inizia Deniz Tek: fa un sacco di pezzi del suo nuovo album che sta portando in tour, niente di malaccio, e ci mette dentro qualcosa dei Radio Birdman che quello ci sta sempre.
Roba come "Love Kills", "Snake", "Breaks my Heart", tutto materiale da 10 e lode.
A dire il vero se ne facesse anche qualcun'altra non è che ci offendiamo, anzi.
Però vabbè, i Birdman veri e propri li avevo già visti due anni fa e per stasera va bene così.
Poi a fine concerto ci facciamo anche una foto assieme, lui ha due occhi di ghiaccio, mette un pò di soggezione, come tutti quelli provenienti dal '77 per quanto mi riguarda.
Gente che c'ha la scritto in faccia, mica palle.

lunedì 6 marzo 2017

GIUDA @ BENICIO LIVE GIGS - GIAVERA DEL MONTELLO (TV) - 04/03/2017



La cosa che mi ha colpito di più durante il concerto dei Giuda è stata la "pulizia" del suono: mi è successo gran poche volte di udire un suono così perfetto a concerti legati in qualche modo al mondo rock/punk.
Questo mi ha fatto capire quanta poca importanza si da solitamente a questo aspetto che invece è ultra fondamentale per una buona riuscita dell'esibizione.
Non sono mai stato un audiofilo, è un mondo che non conosco anche se un po' mi affascina.
I Giuda hanno dimostrato cosa vuol dire dove può arrivare la passione, la costanza, l'impegno: sono sostanzialmente una garage band di quartiere, amici che si conoscono da una vita, che si impegnano quotidianamente per portare avanti il loro sogno.
E allora vai di prove mattutine, esperimenti con gli ampli per trovare il suono maggiormente adatto, prove di mini mosse coreografiche da realizzarsi durante il live (e funzionano!).
Beh, il concerto è stato perfetto.
Sono tra i migliori in Italia, in Europa e nel Mondo.
Mi ha fatto piacere vedere tanta gente che quando gli parlavi della commistione tra football/musica/sottoculture ti rideva in faccia e adesso è la che sbava per loro.

giovedì 26 gennaio 2017

STEVE DIGGLE - INNER SPACE TIMES



Intanto c'è da dire che è vergognoso che Steve Diggle debba ricorrere al crowfounding per poter registrare un album.
Ho capito tutta la pippa sul fatto che questo sia il nuovo diy e un modo nuovo (?) per fare le proprie cose in libertà, ma a me sa da fine dell'impero.
Nel 1977 c'era la corsa da parte delle etichette discografiche per accapparrarsi i gruppi disponibili sulla piazza, c'erano sia i colossi che le nuove indie come Rough Trade o Beggars Banquet: adesso cos'è rimasto? Che uno come Steve Diggle, dopo quarant'anni di onorata carriera, deve ricorrere al finanziamento preventivo da parte degli ascoltatori per poter registrare un album.
Vuol dire che il sistema è proprio morto: sarebbe stato bello se questo disco fosse uscito su Rough Trade, invece dell'ultima nuova band che tra un anno avrà già cambiato genere e fra tre non esisterà più, ma tant'è.
Uno può dire: alt, se ci pensi il primo singolo dei Buzzcocks era autoprodotto. Verissimo, rispondo, ma ci sono dei distinguo da fare: innanzitutto era il loro debutto e poi evidentemente gli aprì le porte per poter registrare i successivi con la Ua Records.
Senza i successivi dischi non avremmo avuto tutto il percorso post "Spiral Scratch" dei Buzzcocks.
Comunque questo disco è meraviglioso.
Quando uno come me che ama i Buzzcocks acquista il disco di un loro membro sa che dovrebbe andare abbastanza sul sicuro.
Eppure devo ammettere che avevo qualche titubanza: il titolo, "Inner Space Times", mi lasciava presagire sconosciuti scenari psichedelici; inoltre, una volta arrivatomi il disco, la foto interna del libretto in cui Steve è in posa con una chitarra acustica alimentava qualche dubbio a proposito.
E' bastato mettere il cd nel lettore perchè questi dubbi venissero spazzati via.
Le canzoni sono tutte ottime, ognuna con una propria particolarità: il punk rock di "Bang Apocalypse" arricchito dai fiati, il power pop di "Kaleidoscope Girl", i Ramones 80's di "Holding On", l'acusticheggiante "Way Too Far" che richiama gli episodi migliori dei Rem e la splendida "The Weathermen Say" che starebbe bene su "Definitely Maybe" degli Oasis, che con il buon Steve Diggle condividono la città natale.
Mi piacerebbe se anche Paul Weller facesse un disco così ogni tanto, semplice ma genuino, di qualità.


giovedì 12 gennaio 2017

MARKY RAMONE - PUNK ROCK BLITZKRIEG




La lettura di "Punk Rock Blitzkrieg", autobiografia di Marky Ramone, si è rivelata un bel viaggio letterario che mi ha tenuto compagnia durante le lunghe giornate di ferie natalizie di fine 2016.
Devo confessare che, nel corso degli anni, ho cambiato svariate volte opinione su di lui: da neofita lo consideravo un grande a prescindere in quanto uno dei Ramones, tempo dopo un mezzo furbacchione perché mi sembrava volesse mangiare un po' troppo sopra il vecchio nome, pur non essendo Joey, Johnny o Dee Dee.
Una sintesi finale che mi accompagna da un paio d'anni è quella di farsi meno paranoie in merito, e se c'è l'occasione di un concerto in zona ci vado con gioia, perché alla fine sentire quelle canzoni suonate da uno dei pochi che può annoverarsi l'onore di essere stato nei Ramones non è cosa da poco.
Il libro percorre approfonditamente tutta la vita del nostro, dall'infanzia tutto sommato tranquilla in quel di Brooklyn alla scoperta della passione per il rock e la batteria.
L'esperienza hard rock con i Dust nei primi anni '70 e quella fondamentale con i Voidoids di Richard Hell, gruppo fondamentale della scena newyorkese sono il prodromo alla chiamata alle armi ramonica che arriva per mano di Johnny, che in un incontro apposito al Max's Kansas City gli elenca le varie regole per poter far parte della band.
Ovviamente interessantissimo il racconto delle varie esperienze con i Ramones, le pagine scorrono veloci, c'è sempre voglia di leggerne ancora ed ancora, praticamente è lo stesso effetto che la loro musica ha in me.
Mi ha fatto inoltre molto piacere leggere di album come "Pleasant Dreams" e "Subterranean Jungle", sono dischi che mi sono sempre piaciuti, mi affascina quel periodo duro per la band di inizio anni '80.
Mi ha colpito una certa maturità spirituale in Marky dopo la disintossicazione da alcool avvenuta a metà anni '80, lo stesso problema che aveva portato al suo allontanamento dai Ramones.
Insomma, mi è piaciuto tutto di questo libro.