Purtroppo il fatto di vedere una band in un contesto
completamente astratto rispetto all’epoca e alle pulsioni originarie ha
condizionato non poco il mio sentimento verso il live degli ex Cccp/Csi allo
Sherwood Festival.
Intendiamoci, i dischi dei Cccp (soprattutto i primi lavori)
suonano ancora come dinamite pura: l’unica via italiana al punk? Probabile.
Noia, provincia, alienazione: dentro c’è tutto. Supportato
da un immagine visiva ed ideologica che non lasciava scampo per originalità ma
anche per profondità di visione.
I Csi, invece, non li ho mai ascoltati se non a spizzichi e
bocconi, vedendoli come una maturazione dello spirito Cccp, certamente resa
necessaria dall’evolversi delle cose, ma non in grado di attrarmi come la
realtà precedente.
Purtroppo però il tempo passa per tutti ed un operazione
come quella di riproporre le vecchie canzoni targate, appunto, Cccp/Csi è una
mossa che va incontro ad un grosso rischio revivalistico e proprio in questo
ostacolo cade in maniera evidente.
Certo, uno può pensare che comunque è bello sentirle suonare
dal vivo, però non basta; i Cccp mi hanno sempre trasmesso un qualcosa in più
di un semplice concerto in cui rinverdire la memoria del passato.
Poi consideri che manca alla rimpatriata Giovanni Lindo
Ferretti, cioè il fulcro del gruppo (insieme a Zamboni, certo, però comunque
una figura imprescindibile per poter capire il tutto) e allora inizia dalla più
evidente il conteggio delle cose che non vanno.
Perché la Baraldi è ok, ha grinta, ha voce, tutto quello che
vuoi, però non è Ferretti.
Perché Giorgio Canali deve cantare “Live in Pankow” e
“Valium Tavor Serenase” e a momenti neanche si ricorda il testo.
Perché il cantante della Banda Bardò che c’azzecca con la
freddezza provinciale da nord Italia dei Cccp?
Dai ragazzi, chiamano un hippie a cantare “Battagliero”, c’è
un limite a tutto.
Perché Nada (si, quella) che elargisce una sorta di profezia
apocalittica in “Trafitto” mi sembra un po’ fuori luogo.
Perché sono tutti là con il leggio, porca miseria, manco
fossimo al concerto di fine anno della filarmonica.
Tante cose, insomma.
Le canzoni su disco rimangono, per fortuna; insieme alle
immagini d’epoca, ai libri, alle interviste, a tutto quello che può aiutare a
non perdere un esperienza incredibile
come quella dei Cccp (Csi, ripeto, non ne parlo per scarsa conoscenza), che
però con un concerto “da cover band” come quello visto a Padova c’entra assai
poco.
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