A distanza di tre giorni dai Dr. Explosion, torno al Maximum
Festival per vedermi i Giuda.
Sono curioso di vederli, nell’ambiente ne parlano bene un
po’ tutti: Luca Frazzi su Rumore li spinge già da un annetto a questa parte, e
non posso negare che non mi dispiace per niente un certo riferimento
visivo/stilistico che la band ha dalla sua parte: un gruppo contemporaneo che
si rifà a quei suoni che spopolavano tra i cosiddetti boot boys inglesi nella
metà dei 70’s: Slade, Sweet, Gary Glitter e compagnia cantante.
Cinque euro di ingresso (prezzo onesto) e due gruppi spalla
per far passare le due orette che portano all’esibizione dei Giuda intorno alla
mezzanotte.
Il quintetto romano suona sostanzialmente un rock’n’roll
riffato bello compatto e quadrato, con voce inserita bene e rafforzata a
puntino dall’aiuto vocale dei chitarristi e del bassista.
Zero parole e quaranta minuti di musica che non fa
prigionieri.
Una canzone come “ Teenage Rebel ” è talmente costruita bene
che sembra quasi essere una cover di una hit proveniente dal sottobosco
musicale a cui si rifanno.
“Number Ten” parla di calcio, del fantasista dai piedi buoni
che ogni squadra dovrebbe avere nell’undici titolare.
Sicuramente, ad occhio, tra il pubblico c’è parecchia gente
che sputa merda sul calcio in nome del proprio integralismo alternativo, quelli
che tifano la Nazionale solo quando arriva in finale in qualche competizione:
ecco, allora mi fa ancora più piacere ascoltare “Numero Dieci”.
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