mercoledì 2 ottobre 2013

SELECTER – LABORATORIO CRASH – BOLOGNA – 27/09/2013



Dopo l’ottima esibizione al Festival Onda d’Urto di Brescia, 2012, ricapita l’occasione di godersi i Selecter dal vivo e non me la lascio sfuggire.
Il Laboratorio Crash è un centro occupato che sorge in una zona artigianale della periferia bolognese.
Da una prima occhiata sembra bello ampio, e mentre mi ambiento mi accolgono i New Colour, nuova band bolognese orientata al suono soul/Motown, molto piacevole da ascoltare; il sassofonista, poi, sembra uscito da un raduno mod italiano del ’83, quindi decisamente pollice alto.
Dopo i New Colour tocca ai Radio Babylon, gruppo ska punk maceratese che intrattiene mezzoretta con la loro volenterosa proposta; io però comincio ad accorgermi che il problema del locale è che la gente ci fuma dentro; ok che ci sono le finestre aperte, però, mi accorgerò dopo, questo non basterà per far si che la serata sembri ambientata in un club rock pre- divieto di fumo.
I Selecter comunque salgono sul palco con il centro che è bello costipato: Pauline Black mi sembra in forma, e anche il resto della banda non scherza: tutti eleganti e precisi, come scuola Two Tone insegna.
Partono con “Time Hard” e “They Make me mad”, classiconi legati al periodo iniziale della band.
Dell’ultimo album “String Theory”, uscito quest’anno, propongono live cinque canzoni, che raccolgono la loro sufficienza, anche se mia morosa dice di no.
Nel frattempo un tizio vicino a me si accende un sigaro, che va ad aggiungersi alle cinquecento sigarette già accese in sala: oramai sembra di stare in una camera a gas, ad ogni modo mi entusiasmo se c’è da farlo, tipo quando i Selecter piazzano “Missing Words”, “On my Radio” e “Too Much Pressure”.
Ripenso al festival di Onda d’Urto e concludo che era una lusso vederseli all’aria aperta rispetto a stasera: comunque loro meritano sempre, decisamente all’altezza della situazione con un suono classico che non teme lo scorrere del tempo.


lunedì 12 agosto 2013

I MELT - ANGURIARA FARA - FARA VICENTINO (VI) - 09/08/2013



Bel concerto quello dei Melt al festival “Anguriara Fara” di Fara Vicentino, zona collinare posizionata tra Thiene e Marostica.
Sembra che di giorno si possa godere davvero di un bel panorama verso la pianura sottostante; ad ogni modo mi accontento di osservare i Melt  suonare per poco meno di un oretta, passando in rassegna praticamente tutto l’ultimo album “Il nostro cuore a pezzi”, aggiungendo qualcosa dal penultimo “L’intonarumori”.
Indie Rock Punk italiano, chiamiamolo così se proprio dobbiamo darne un nome, anche se poi una volta che ci si perde nell’ascolto le definizioni stilistiche lasciano il tempo che trovano, in quanto il cantato in italiano attira una buona fetta di attenzione.
Bello che i Melt cantino in italiano, e senza dire cose stupide o scontate peraltro: un gruppo, che alla fine della fiera, è sempre rimasto una sorta di “tesoro veneto”, che gli appassionati locali conoscono bene, mentre nelle altre regioni decisamente meno.
E si che i Melt sono in giro da vent’anni, e tutto sommato i loro concerti in giro li hanno sempre fatti.
E si che magari in questi vent’anni, gruppi infinitamente meno dotati di loro hanno ottenuto più successi di pubblico (ammesso che questo significhi davvero qualcosa).
Ad ogni modo è buona cosa sapere che in qualche paesino veneto potrebbero suonare per una cinquantina di minuti un set di ottime canzoni.

mercoledì 17 luglio 2013

CJ RAMONE - OLTRASUONI FESTIVAL - DRO' (TN) - 12/07/2013



Non sono tanti quelli che possono bearsi di far parte della famiglia Ramones e sappiamo tutti che Joey, Johnny e Dee Dee non ci sono più: Cj Ramone è uno della famiglia.
Certo, entrò nella band nell’ultimo periodo, giusto per piazzare un paio di buoni album autografi in studio (più Acid Eaters), però ho sempre pensato che la sua parte la fece bene, mettendoci energia, fedeltà alla linea e cantando anche qualche buon pezzo.
La data di Drò si preannuncia quindi imperdibile per qualsiasi appassionato fan ramonico.
Ad aprire la serata ci sono i Manges, band spezzina che chi segue punk rock dovrebbe conoscere quantomeno bene, vista la militanza ventennale dei nostri.
In mezzoretta sparano parecchi proiettili, concentrandosi principalmente nei brani usciti negli anni 2000, con un paio di chicche direttamente dal decennio precedente.
Da segnalare una cover di “Murder in the Brady House”, pezzo minore dei primi Screeching Weasel.
Pubblico che si scalda per bene ed è pronto all’entrata di Cj e band.
Inizia subito con “Judy is a punk”, “Blitzkrieg Bop” e “Cretin Hop”, roba che suona da sempre da Dio.
Si concede di piazzare qua e là qualche pezzo del suo album uscito nel 2012, “Reconquista”, buone canzoni di matrice (ovviamente) ramonesiana.
Da segnalare che il chitarrista Johnny “Two Bags”, direttamente dai Social Distortion, sembra non sapere diverse canzoni, forse non ha studiato bene, in alcuni pezzi partono a tempo basso e batteria e lui si attacca dopo seguendo con lo sguardo quello che fa Cj.
Va beh dai, la cosa mi suscita anche un pò di simpatia: Cj vedo che ci mette l’anima, mi sembra onesto in quello che fa e questo basta.
Magari avere avuto la possibilità di vedere i Ramones dal vivo, ad essere nati dieci anni prima.

mercoledì 10 luglio 2013

EX CCCP/CSI - SHERWOOD FESTIVAL - PADOVA - 05/07/2013



Purtroppo il fatto di vedere una band in un contesto completamente astratto rispetto all’epoca e alle pulsioni originarie ha condizionato non poco il mio sentimento verso il live degli ex Cccp/Csi allo Sherwood Festival.
Intendiamoci, i dischi dei Cccp (soprattutto i primi lavori) suonano ancora come dinamite pura: l’unica via italiana al punk? Probabile.
Noia, provincia, alienazione: dentro c’è tutto. Supportato da un immagine visiva ed ideologica che non lasciava scampo per originalità ma anche per profondità di visione.
I Csi, invece, non li ho mai ascoltati se non a spizzichi e bocconi, vedendoli come una maturazione dello spirito Cccp, certamente resa necessaria dall’evolversi delle cose, ma non in grado di attrarmi come la realtà precedente.
Purtroppo però il tempo passa per tutti ed un operazione come quella di riproporre le vecchie canzoni targate, appunto, Cccp/Csi è una mossa che va incontro ad un grosso rischio revivalistico e proprio in questo ostacolo cade in maniera evidente.
Certo, uno può pensare che comunque è bello sentirle suonare dal vivo, però non basta; i Cccp mi hanno sempre trasmesso un qualcosa in più di un semplice concerto in cui rinverdire la memoria del passato.
Poi consideri che manca alla rimpatriata Giovanni Lindo Ferretti, cioè il fulcro del gruppo (insieme a Zamboni, certo, però comunque una figura imprescindibile per poter capire il tutto) e allora inizia dalla più evidente il conteggio delle cose che non vanno.
Perché la Baraldi è ok, ha grinta, ha voce, tutto quello che vuoi, però non è Ferretti.
Perché Giorgio Canali deve cantare “Live in Pankow” e “Valium Tavor Serenase” e a momenti neanche si ricorda il testo.
Perché il cantante della Banda Bardò che c’azzecca con la freddezza provinciale da nord Italia dei Cccp?
Dai ragazzi, chiamano un hippie a cantare “Battagliero”, c’è un limite a tutto.
Perché Nada (si, quella) che elargisce una sorta di profezia apocalittica in “Trafitto” mi sembra un po’ fuori luogo.
Perché sono tutti là con il leggio, porca miseria, manco fossimo al concerto di fine anno della filarmonica.
Tante cose, insomma.
Le canzoni su disco rimangono, per fortuna; insieme alle immagini d’epoca, ai libri, alle interviste, a tutto quello che può aiutare a non perdere un  esperienza incredibile come quella dei Cccp (Csi, ripeto, non ne parlo per scarsa conoscenza), che però con un concerto “da cover band” come quello visto a Padova c’entra assai poco. 

martedì 2 luglio 2013

GUITAR WOLF - TRATTORIA ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 27/06/2013




Mi ha lasciato un po’ perplesso l’esibizione dei giappi Guitar Wolf all’Altroquando di Zero Branco.
Geni o bluff? Premesso che parlo da semplice appassionato a certi suoni, devo dire che a due/tre giorni dal concerto il dilemma non si è sciolto e probabilmente non troverà risposta.
Ma cominciamo con ordine: aprono la serata i Rocky Horror Tv Shock, quintetto veneto a cui il fatto di abitare in Padania non deve aver fatto granchè bene. Una ventina di minuti di punk settantasettino annoiato e arrabbiato al punto giusto, melodie moleste e facce scazzate come quelle che vedi in certe copertine direttamente dal 77 minore inglese o americano.
Bello così, promossi.
Nel frattempo, mentre i Rocky Horror stanno completando il loro set si scorge arrivare nel parcheggio il pulmino con dentro i Guitar Wolf.
Smontano la roba, un tizio la monta e dopo un po’ è giunto il loro momento.
L’ingresso sul palco è da urlo: camminano in fila orizzontale, vestiti di tutto punto con giubba in pelle,  occhiali da sole e tenendo gli strumenti in mano; mettici un po’ di nebbia finta dietro e diventa la scena perfetta di un film di serie z giapponese.
Inizia il set e qua iniziano ad insinuarsi i primi dubbi di cui prima scrivevo, nel senso che i tre sputano fuori un punk/noise con qualche giretto rock’n’roll che però non mi entusiasma granchè.
I finali non si distinguono, gli stacchi interni alle canzoni mi sembrano macchinosi, le canzoni in definitiva mi sembrano tutte uguali.
Hai presente quando a 16 anni fai ascoltare i Ramones a tua mamma? Lei dirà: “Ma sono tutte uguali!”, tu però sai che non è così, sai che “Judy is a punk” non è “Glad to see you go”, perdio.
Il problema con i Guitar Wolf è che le canzoni sono veramente tutte uguali: praticamente il concerto è un brusio rumorista di mezzora, da cui alla fine ne esci anche un po’ sfiancato.
Probabilmente avranno successo in quegli ambienti alternativi avanguardistici che tirano nei posti cool del mondo, tipo a New York, però a me manca la sostanza: li preferirei più quadrati, più granitici, meno noise.
E’un problema mio, certo: ad ogni modo il palco lo tengono molto bene, non si risparmiano, non fai in tempo a distrarti un attimo che il cantante/chitarrista è già la che colpisce palline da tennis con la chitarra.
Per intorpidire maggiormente le acque potrei dire che se tornassero a suonare in zona andrei comunque a vederli nuovamente: è un esperienza tutto sommato da vivere.


mercoledì 12 giugno 2013

BUZZCOCKS – SOUNDVITO – SAN VITO DI LEGNAGO (VR ) – 08/06/2013



I Buzzcocks nella Bassa Veronese: bello.
Una zona che mi piace, distese di campi e risaie, strade larghe tre metri, un paesetto ogni tanto che ti chiedi dove vanno i ragazzi al sabato sera se non andare al bar di ritrovo.
E’ proprio nella piazza di uno di questi paesetti che si incontrano nelle vicinanze di Legnago (San Vito) che si sono esibiti i Buzzcocks.
Favoloso: ti giri a sinistra e c’è la chiesa e il mini centro del paese, mentre di fronte hai una delle band più significative del punk rock tutto, ma oserei dire anche di quella cosa chiamata rock.
L’occasione è di quelle grosse ed organizziamo una macchinata di cinque elementi.
L’attesa scorre via liscia annaffiata da diverse birre e qualche discussione sul calciomercato che verrà.
A mezzanotte finalmente i quattro salgono sul palco per un set che personalmente mi aspetto esplosivo, visto l’affetto musicale che provo verso i mancuniani.
La prima volta li vidi dieci anni giusti fa alla Gabbia di Bassano del Grappa: ubriachissimi, con Pete Shelley che ogni 3 x 2 si girava a fare l’occhiolino a due tardone a lato del palco e con bottiglie di spumante sopra gli ampli.
Questa volta mi sembrano più sul pezzo e macinano che è un piacere: “Boredom”, “Fast cars” e “I don’t mind” il trittico iniziale che non lascia scampo.
Volumi altissimi, energia che tra il pubblico (almeno per chi è coinvolto) si potrebbe tagliare a fette.
Dell’ultimo album “Flat Pack Philosophy”, uscito oramai nel 2006, non eseguono neanche un brano, privilegiando una scaletta che risulta essere praticamente un best of dell’intera produzione; evidentemente i Buzzcocks hanno capito che dopo trentacinque anni dalla fondazione possono permettersi di suonare in giro senza dipendere dal meccanismo “album – tour di supporto”, anche se comunque un nuovo album verrebbe senz’altro accolto con gioia da chi li segue come il sottoscritto.
Da segnalare un capitombolo che vede coinvolto il chitarrista Steve Diggle che ad un certo punto inciampa su un filo cadendo alla grande per terra e suscitando un applauso di viva simpatia da parte dei presenti.
A metà spezzano con le lunghe suite quasi meccaniche di “Moving away from the pulsbeat” e “Nothing’s left”, in cui ne approfitto per fare circa un litro di piscio in mezzo ad un campo.
Uno sguardo ai quattro: Pete Shelley ha addosso una camicia a maniche corte (già vista in qualche foto abbastanza recente), che nella grafica sembra richiamare dei concetti di grafica postmodernista a cui i Buzzcocks dedicarono parecchia attenzione nella prima fase di carriera (1976/1981) per quanto riguarda le copertine dei dischi e le grafiche in generale: la voce sembra ancora quella dei tempi d’oro e questo basta.
Steve Diggle è il mod del gruppo: vestito bene, pulito, elegante, Union Jack nell’amplificatore con sopra disegnato il simbolo della pace.
Gli altri due (bassista e batterista) mi sembrano belli in forma, fanno il loro e anche visivamente contribuiscono alla buona riuscita dell’insieme.
Al termine della prima fase la doppietta “Promises” – “What do i get” ti lascia senza fiato.
Dopo una breve pausa, il finale è affidato a “Harmony in my head”, “Ever fallen in love” e “Oh shit”, roba da restarci sotto.
Giusto dieci anni fa avevo il Ciao e sul casco avevo scritto con l’adesivo “Oh shit” in omaggio ai grandi Buzzcocks.
Il tempo passa veloce, però se sai che ci sono in giro canzoni come quelle dei Buzzcocks e soprattutto hai modo di vederli ancora calcare il palco, non puoi che tirare una conclusione positiva.

sabato 18 maggio 2013

DIAFRAMMA – MACELLO – PADOVA – 11/05/2013



Sempre bello aver la possibilità di assistere ad un concerto dei Diaframma, come è bello sapere che in giro c'è uno come Federico Fiumani, un artista che in trent’anni di carriera ha composto memorabili pagine di rock tricolore.
Rock Italiano: ecco cosa fanno i Diaframma. Rock Italiano della miglior specie, di quello che dovrebbe avere ampi riconoscimenti in tutto il Paese, se solo ci fosse un po' di giustizia musicale.
E comunque i Diaframma il loro seguito ce l’hanno sempre: una nicchia, certo, ma fedele e appassionata al verbo, perché quando lo scopri e lo apprezzi poi è difficile staccarsene.
Al Macello di Padova, in un sabato sera di maggio, eravamo poco più di un centinaio: comunque pronti a tirare fuori dieci carte per il concerto, e attenti a quello che veniva fuori dagli amplificatori e dalle casse.
In un set di circa cinquanta minuti passano in rassegna tutti i momenti migliori della band fiorentina: Siberia, Gennaio, Tre Volte Lacrime, Labbra Blu.
Testi nella maggior parte dei casi evocativi, personali, accompagnati da una base rock punk in cui la scena se la prende tutta il suono della chitarra di Federico Fiumani: un suono bellissimo, di marmo, d’impatto.
Frasi a volte urlate, con la voce che quasi neanche ci arriva, qualche errore tecnico: chissenefrega, non m’importa nulla a me.
Spirito punk che in questo caso vuol dire far le cose artigianalmente e umanamente, non meccanicamente, sennò chiamiamo i robot a farle.
Alla fine del concerto un tizio chiama a sé Fiumani, che si sporge dal palco per ascoltarlo, poi riferisce:  “Mi hanno detto che è il compleanno di una ragazza, che vorrebbe riascoltare Siberia e Gennaio”, già eseguite precedentemente; senza problema alcuno attacca con l’arpeggio di Siberia e poi con il riff di Gennaio.
Tutto è personale nei Diaframma: le canzoni, l’attitudine, il suono.
E nell’appiattito mondo musicale c'è sempre bisogno di un gruppo così.