martedì 26 novembre 2013
PAUL COLLINS BEAT - BOUNTY - THIENE (VI) - 23/11/2013
Il primo disco dei Beat di Paul Collins è sicuramente uno dei capolavori di quel sottobosco chiamato power pop; arriva direttamente dal 1979, quando il power pop, alla fine della fiera, non era altro che una sfaccettatura dell'intricato mondo new wave, da intendersi come summa di generi dallo spirito nuovo o perlomeno di rivisitazioni frizzantine di suoni passati.
Il power pop dei Beat, nello specifico, era (è) composto da melodie perfette, chitarre elettriche ma non troppo e componente "fun" sempre bella in vista.
Tematiche leggere, ragazze, amori, gioventù.
Quando scopro che si esibiranno al Bounty di Thiene (Vi), ovvio che mi organizzi per andare.
Prima dei Beat vanno di scena Miss Chain & the Broken Heels, glorie power pop per metà locali, che oramai da anni calcano con i palchi con ottimi riscontri portando in giro una buona mistura di melodie sixties ed elettricità.
Poi, a mezzanotte inoltrata, vanno di scena i Beat: attaccano con "U.s.a", "Let me into your life" e piano piano sparano fuori tutto il meglio del repertorio.
La band macina che è un piacere (sempre presente il rischio fuori tempo massimo con le band di culto, ma non direi sia questo il caso), il pubblico sembra preso bene e si diverte quanto basta.
I vertici della serata sembrano essere "Walking out of love" e "R'n'R Girl", due perle pop che dovrebbero mandarle in rotazione pesante su quelle radio che fanno solo musica di merda.
Sempre bello vedere i vecchi campioni del passato, che non pensavi avresti mai visto dal vivo: molte volte hanno un sapore, una classe, una storia dietro che merita sempre di essere ascoltata.
mercoledì 2 ottobre 2013
SELECTER – LABORATORIO CRASH – BOLOGNA – 27/09/2013
Dopo l’ottima esibizione al Festival Onda d’Urto di Brescia,
2012, ricapita l’occasione di godersi i Selecter dal vivo e non me la lascio
sfuggire.
Il Laboratorio Crash è un centro occupato che sorge in una
zona artigianale della periferia bolognese.
Da una prima occhiata sembra bello ampio, e mentre mi
ambiento mi accolgono i New Colour, nuova band bolognese orientata al suono
soul/Motown, molto piacevole da ascoltare; il sassofonista, poi, sembra uscito
da un raduno mod italiano del ’83, quindi decisamente pollice alto.
Dopo i New Colour tocca ai Radio Babylon, gruppo ska punk
maceratese che intrattiene mezzoretta con la loro volenterosa proposta; io però
comincio ad accorgermi che il problema del locale è che la gente ci fuma
dentro; ok che ci sono le finestre aperte, però, mi accorgerò dopo, questo non
basterà per far si che la serata sembri ambientata in un club rock pre- divieto
di fumo.
I Selecter comunque salgono sul palco con il centro che è
bello costipato: Pauline Black mi sembra in forma, e anche il resto della banda
non scherza: tutti eleganti e precisi, come scuola Two Tone insegna.
Partono con “Time Hard” e “They Make me mad”, classiconi
legati al periodo iniziale della band.
Dell’ultimo album “String Theory”, uscito quest’anno,
propongono live cinque canzoni, che raccolgono la loro sufficienza, anche se
mia morosa dice di no.
Nel frattempo un tizio vicino a me si accende un sigaro, che
va ad aggiungersi alle cinquecento sigarette già accese in sala: oramai sembra
di stare in una camera a gas, ad ogni modo mi entusiasmo se c’è da farlo, tipo
quando i Selecter piazzano “Missing Words”, “On my Radio” e “Too Much
Pressure”.
Ripenso al festival di Onda d’Urto e concludo che era una
lusso vederseli all’aria aperta rispetto a stasera: comunque loro meritano
sempre, decisamente all’altezza della situazione con un suono classico che non
teme lo scorrere del tempo.
lunedì 12 agosto 2013
I MELT - ANGURIARA FARA - FARA VICENTINO (VI) - 09/08/2013
Bel concerto quello dei Melt al festival “Anguriara Fara” di
Fara Vicentino, zona collinare posizionata tra Thiene e Marostica.
Sembra che di giorno si possa godere davvero di un bel
panorama verso la pianura sottostante; ad ogni modo mi accontento di
osservare i Melt suonare per poco meno
di un oretta, passando in rassegna praticamente tutto l’ultimo album “Il nostro
cuore a pezzi”, aggiungendo qualcosa dal penultimo “L’intonarumori”.
Indie Rock Punk italiano, chiamiamolo così se proprio
dobbiamo darne un nome, anche se poi una volta che ci si perde nell’ascolto le
definizioni stilistiche lasciano il tempo che trovano, in quanto il cantato in
italiano attira una buona fetta di attenzione.
Bello che i Melt cantino in italiano, e senza dire cose
stupide o scontate peraltro: un gruppo, che alla fine della fiera, è sempre rimasto
una sorta di “tesoro veneto”, che gli appassionati locali conoscono bene,
mentre nelle altre regioni decisamente meno.
E si che i Melt sono in giro da vent’anni, e tutto sommato i
loro concerti in giro li hanno sempre fatti.
E si che magari in questi vent’anni, gruppi infinitamente
meno dotati di loro hanno ottenuto più successi di pubblico (ammesso che questo
significhi davvero qualcosa).
Ad ogni modo è buona cosa sapere che in qualche paesino
veneto potrebbero suonare per una cinquantina di minuti un set di ottime
canzoni.
mercoledì 17 luglio 2013
CJ RAMONE - OLTRASUONI FESTIVAL - DRO' (TN) - 12/07/2013
Non sono tanti quelli che possono bearsi di far parte della
famiglia Ramones e sappiamo tutti che Joey, Johnny e Dee Dee non ci sono più:
Cj Ramone è uno della famiglia.
Certo, entrò nella band nell’ultimo periodo, giusto per
piazzare un paio di buoni album autografi in studio (più Acid Eaters), però ho
sempre pensato che la sua parte la fece bene, mettendoci energia, fedeltà alla
linea e cantando anche qualche buon pezzo.
La data di Drò si preannuncia quindi imperdibile per
qualsiasi appassionato fan ramonico.
Ad aprire la serata ci sono i Manges, band spezzina che chi segue punk rock dovrebbe conoscere quantomeno bene, vista la militanza ventennale dei
nostri.
In mezzoretta sparano parecchi proiettili,
concentrandosi principalmente nei brani usciti negli anni 2000, con un paio di
chicche direttamente dal decennio precedente.
Da segnalare una cover di “Murder in the Brady House”, pezzo
minore dei primi Screeching Weasel.
Pubblico che si scalda per bene ed è pronto all’entrata di
Cj e band.
Inizia subito con “Judy is a punk”, “Blitzkrieg Bop” e
“Cretin Hop”, roba che suona da sempre da Dio.
Si concede di piazzare qua e là qualche pezzo del suo album
uscito nel 2012, “Reconquista”, buone canzoni di matrice (ovviamente)
ramonesiana.
Da segnalare che il chitarrista Johnny “Two Bags”,
direttamente dai Social Distortion, sembra non sapere diverse canzoni, forse non
ha studiato bene, in alcuni pezzi partono a tempo basso e batteria e lui si
attacca dopo seguendo con lo sguardo quello che fa Cj.
Va beh dai, la cosa mi suscita anche un pò di
simpatia: Cj vedo che ci mette l’anima, mi sembra onesto in quello che fa e questo
basta.
Magari avere avuto la possibilità di vedere i Ramones dal
vivo, ad essere nati dieci anni prima.
mercoledì 10 luglio 2013
EX CCCP/CSI - SHERWOOD FESTIVAL - PADOVA - 05/07/2013
Purtroppo il fatto di vedere una band in un contesto
completamente astratto rispetto all’epoca e alle pulsioni originarie ha
condizionato non poco il mio sentimento verso il live degli ex Cccp/Csi allo
Sherwood Festival.
Intendiamoci, i dischi dei Cccp (soprattutto i primi lavori)
suonano ancora come dinamite pura: l’unica via italiana al punk? Probabile.
Noia, provincia, alienazione: dentro c’è tutto. Supportato
da un immagine visiva ed ideologica che non lasciava scampo per originalità ma
anche per profondità di visione.
I Csi, invece, non li ho mai ascoltati se non a spizzichi e
bocconi, vedendoli come una maturazione dello spirito Cccp, certamente resa
necessaria dall’evolversi delle cose, ma non in grado di attrarmi come la
realtà precedente.
Purtroppo però il tempo passa per tutti ed un operazione
come quella di riproporre le vecchie canzoni targate, appunto, Cccp/Csi è una
mossa che va incontro ad un grosso rischio revivalistico e proprio in questo
ostacolo cade in maniera evidente.
Certo, uno può pensare che comunque è bello sentirle suonare
dal vivo, però non basta; i Cccp mi hanno sempre trasmesso un qualcosa in più
di un semplice concerto in cui rinverdire la memoria del passato.
Poi consideri che manca alla rimpatriata Giovanni Lindo
Ferretti, cioè il fulcro del gruppo (insieme a Zamboni, certo, però comunque
una figura imprescindibile per poter capire il tutto) e allora inizia dalla più
evidente il conteggio delle cose che non vanno.
Perché la Baraldi è ok, ha grinta, ha voce, tutto quello che
vuoi, però non è Ferretti.
Perché Giorgio Canali deve cantare “Live in Pankow” e
“Valium Tavor Serenase” e a momenti neanche si ricorda il testo.
Perché il cantante della Banda Bardò che c’azzecca con la
freddezza provinciale da nord Italia dei Cccp?
Dai ragazzi, chiamano un hippie a cantare “Battagliero”, c’è
un limite a tutto.
Perché Nada (si, quella) che elargisce una sorta di profezia
apocalittica in “Trafitto” mi sembra un po’ fuori luogo.
Perché sono tutti là con il leggio, porca miseria, manco
fossimo al concerto di fine anno della filarmonica.
Tante cose, insomma.
Le canzoni su disco rimangono, per fortuna; insieme alle
immagini d’epoca, ai libri, alle interviste, a tutto quello che può aiutare a
non perdere un esperienza incredibile
come quella dei Cccp (Csi, ripeto, non ne parlo per scarsa conoscenza), che
però con un concerto “da cover band” come quello visto a Padova c’entra assai
poco.
martedì 2 luglio 2013
GUITAR WOLF - TRATTORIA ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 27/06/2013
Mi ha lasciato un po’ perplesso l’esibizione dei giappi
Guitar Wolf all’Altroquando di Zero Branco.
Geni o bluff? Premesso che parlo da semplice appassionato a
certi suoni, devo dire che a due/tre giorni dal concerto il dilemma non si è
sciolto e probabilmente non troverà risposta.
Ma cominciamo con ordine: aprono la serata i Rocky Horror Tv
Shock, quintetto veneto a cui il fatto di abitare in Padania non deve aver
fatto granchè bene. Una ventina di minuti di punk settantasettino annoiato e
arrabbiato al punto giusto, melodie moleste e facce scazzate come quelle che
vedi in certe copertine direttamente dal 77 minore inglese o americano.
Bello così, promossi.
Nel frattempo, mentre i Rocky Horror stanno completando il
loro set si scorge arrivare nel parcheggio il pulmino con dentro i Guitar Wolf.
Smontano la roba, un tizio la monta e dopo un po’ è giunto
il loro momento.
L’ingresso sul palco è da urlo: camminano in fila
orizzontale, vestiti di tutto punto con giubba in pelle, occhiali da sole e tenendo gli strumenti in
mano; mettici un po’ di nebbia finta dietro e diventa la scena perfetta di un
film di serie z giapponese.
Inizia il set e qua iniziano ad insinuarsi i primi dubbi di
cui prima scrivevo, nel senso che i tre sputano fuori un punk/noise con qualche
giretto rock’n’roll che però non mi entusiasma granchè.
I finali non si distinguono, gli stacchi interni alle
canzoni mi sembrano macchinosi, le canzoni in definitiva mi sembrano tutte
uguali.
Hai presente quando a 16 anni fai ascoltare i Ramones a tua
mamma? Lei dirà: “Ma sono tutte uguali!”, tu però sai che non è così, sai che
“Judy is a punk” non è “Glad to see you go”, perdio.
Il problema con i Guitar Wolf è che le canzoni sono
veramente tutte uguali: praticamente il concerto è un brusio rumorista di mezzora,
da cui alla fine ne esci anche un po’ sfiancato.
Probabilmente avranno successo in quegli ambienti alternativi
avanguardistici che tirano nei posti cool del mondo, tipo a New York, però a me
manca la sostanza: li preferirei più quadrati, più granitici, meno noise.
E’un problema mio, certo: ad ogni modo il palco lo tengono
molto bene, non si risparmiano, non fai in tempo a distrarti un attimo che il
cantante/chitarrista è già la che colpisce palline da tennis con la chitarra.
Per intorpidire maggiormente le acque potrei dire che se
tornassero a suonare in zona andrei comunque a vederli nuovamente: è un esperienza
tutto sommato da vivere.
mercoledì 12 giugno 2013
BUZZCOCKS – SOUNDVITO – SAN VITO DI LEGNAGO (VR ) – 08/06/2013
I Buzzcocks nella Bassa Veronese: bello.
Una zona che mi piace, distese di campi e risaie, strade
larghe tre metri, un paesetto ogni tanto che ti chiedi dove vanno i ragazzi al
sabato sera se non andare al bar di ritrovo.
E’ proprio nella piazza di uno di questi paesetti che si
incontrano nelle vicinanze di Legnago (San Vito) che si sono esibiti i
Buzzcocks.
Favoloso: ti giri a sinistra e c’è la chiesa e il mini
centro del paese, mentre di fronte hai una delle band più significative del
punk rock tutto, ma oserei dire anche di quella cosa chiamata rock.
L’occasione è di quelle grosse ed organizziamo una
macchinata di cinque elementi.
L’attesa scorre via liscia annaffiata da diverse birre e
qualche discussione sul calciomercato che verrà.
A mezzanotte finalmente i quattro salgono sul palco per un
set che personalmente mi aspetto esplosivo, visto l’affetto musicale che provo
verso i mancuniani.
La prima volta li vidi dieci anni giusti fa alla Gabbia di
Bassano del Grappa: ubriachissimi, con Pete Shelley che ogni 3 x 2 si girava a
fare l’occhiolino a due tardone a lato del palco e con bottiglie di spumante
sopra gli ampli.
Questa volta mi sembrano più sul pezzo e macinano che è un
piacere: “Boredom”, “Fast cars” e “I don’t mind” il trittico iniziale che non
lascia scampo.
Volumi altissimi, energia che tra il pubblico (almeno per
chi è coinvolto) si potrebbe tagliare a fette.
Dell’ultimo album “Flat Pack Philosophy”, uscito oramai nel
2006, non eseguono neanche un brano, privilegiando una scaletta che risulta
essere praticamente un best of dell’intera produzione; evidentemente i
Buzzcocks hanno capito che dopo trentacinque anni dalla fondazione possono
permettersi di suonare in giro senza dipendere dal meccanismo “album – tour di
supporto”, anche se comunque un nuovo album verrebbe senz’altro accolto con
gioia da chi li segue come il sottoscritto.
Da segnalare un capitombolo che vede coinvolto il
chitarrista Steve Diggle che ad un certo punto inciampa su un filo cadendo alla
grande per terra e suscitando un applauso di viva simpatia da parte dei
presenti.
A metà spezzano con le lunghe suite quasi meccaniche di “Moving
away from the pulsbeat” e “Nothing’s left”, in cui ne approfitto per fare circa
un litro di piscio in mezzo ad un campo.
Uno sguardo ai quattro: Pete Shelley ha addosso una camicia
a maniche corte (già vista in qualche foto abbastanza recente), che nella
grafica sembra richiamare dei concetti di grafica postmodernista a cui i
Buzzcocks dedicarono parecchia attenzione nella prima fase di carriera
(1976/1981) per quanto riguarda le copertine dei dischi e le grafiche in
generale: la voce sembra ancora quella dei tempi d’oro e questo basta.
Steve Diggle è il mod del gruppo: vestito bene, pulito, elegante,
Union Jack nell’amplificatore con sopra disegnato il simbolo della pace.
Gli altri due (bassista e batterista) mi sembrano belli in
forma, fanno il loro e anche visivamente contribuiscono alla buona riuscita
dell’insieme.
Al termine della prima fase la doppietta “Promises” – “What
do i get” ti lascia senza fiato.
Dopo una breve pausa, il finale è affidato a “Harmony in my
head”, “Ever fallen in love” e “Oh shit”, roba da restarci sotto.
Giusto dieci anni fa avevo il Ciao e sul casco avevo scritto
con l’adesivo “Oh shit” in omaggio ai grandi Buzzcocks.
Il tempo passa veloce, però se sai che ci sono in giro
canzoni come quelle dei Buzzcocks e soprattutto hai modo di vederli ancora
calcare il palco, non puoi che tirare una conclusione positiva.
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