mercoledì 8 maggio 2013

GIUDA - MAXIMUM FESTIVAL - TRATTORIA ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 03/05/2013



A distanza di tre giorni dai Dr. Explosion, torno al Maximum Festival per vedermi i Giuda.
Sono curioso di vederli, nell’ambiente ne parlano bene un po’ tutti: Luca Frazzi su Rumore li spinge già da un annetto a questa parte, e non posso negare che non mi dispiace per niente un certo riferimento visivo/stilistico che la band ha dalla sua parte: un gruppo contemporaneo che si rifà a quei suoni che spopolavano tra i cosiddetti boot boys inglesi nella metà dei 70’s: Slade, Sweet, Gary Glitter e compagnia cantante.
Cinque euro di ingresso (prezzo onesto) e due gruppi spalla per far passare le due orette che portano all’esibizione dei Giuda intorno alla mezzanotte.
Il quintetto romano suona sostanzialmente un rock’n’roll riffato bello compatto e quadrato, con voce inserita bene e rafforzata a puntino dall’aiuto vocale dei chitarristi e del bassista.
Zero parole e quaranta minuti di musica che non fa prigionieri.
Una canzone come “ Teenage Rebel ” è talmente costruita bene che sembra quasi essere una cover di una hit proveniente dal sottobosco musicale a cui si rifanno. 
“Number Ten” parla di calcio, del fantasista dai piedi buoni che ogni squadra dovrebbe avere nell’undici titolare.
Sicuramente, ad occhio, tra il pubblico c’è parecchia gente che sputa merda sul calcio in nome del proprio integralismo alternativo, quelli che tifano la Nazionale solo quando arriva in finale in qualche competizione: ecco, allora mi fa ancora più piacere ascoltare “Numero Dieci”.

venerdì 3 maggio 2013

DR. EXPLOSION - MAXIMUM FESTIVAL - ZERO BRANCO (TV) - 30/04/2013



Ogni tanto mi capita di andare ai concerti da solo; oddio, in percentuale sono di più quelli che ho visto e vedo in compagnia, però ogni tanto succede che, per vari motivi, prendo la macchina in solitaria e vado al concertino che mi sono segnato da tempo in agenda.
Questa alla Trattoria Altroquando (ho già avuto modo di tesserne le lodi qualche tempo fa) è la prima serata del Maximum Festival, iniziativa lodevole messa in piedi dalla Go Down Records, oramai conosciutissima etichetta del trevigiano con in carnet diverse band.
L’idea del festival è quella di far suonare i gruppi dell’etichetta, piazzando di solito un gruppo esterno di punta.
Arrivo giusto per beccarmi l’inizio della prima band in scaletta, i veneti Supertempo, che si rivelano essere una piacevole sorpresa.
Sostanzialmente trattasi di punk rock melodico, veloce e lineare, con dei bei giri di basso a sostegno; in certe occasioni mi sembrano parecchio indebitati con certe cose degli Hard Ons, anche se forse mancano i pezzi bomba dei cangurotti.
Ad ogni modo un bel set, frizzante e piacevole.
Dopo i Supertempo, salgono i Bluesevil, tre ragazzi con un accento non veneto (scoprirò poi essere mezzi romagnoli).
Capisco subito che sarà una mezzora lunga per me: i tre, infatti, suonano una specie di hard rock blues con assoli di chitarra lunghi dieci minuti, una cosa che mi fa stracciare le palle in maniera inaudita.
Dei tizi grandi e grossi davanti a me, che sembrano usciti dal classico bar di provincia, fanno si con la testa e dimostrano di apprezzare, probabilmente memori del cd dei Guns’n’Roses che tengono in macchina, ma io non la reggo sta roba qua.
E’ che sono da solo, allora mi prende male farmi mezzora in solitudine con cotanta colonna sonora; per fortuna mi perdo a guardare un ragazzo e una ragazza, avranno sedici anni a testa, che incuranti di tutti e tutto saltano, ballano maldestramente, fanno mosse di qualche disciplina asiatica del cazzo, addirittura si rotolano per terra durante una pausa tra un pezzo e l’altro.
Dopo un po’ che li guardo interessato, mi accorgo che ci sono altri ragazzi intorno a me tutti presi dalla scena dei due, e noto che sghignazzano tra di loro.
In breve comincio a ridere di gusto anch’io, da solo, una cosa che non mi fermo più.
Per fortuna che il gruppo finisce e salgono gli spagnoli Dr. Explosion.
Non li conosco, o meglio non li conoscevo fino a quando è uscito il programma del Maximum e allora sono andato a vedermi un paio di video.
Roba interessante, la loro.
Purtroppo io sono ancora fermo ad ascoltare i gruppi inglesi e magari americani, però difficile che ascolti qualcosa di extra anglosassone (apparte ovviamente i gruppi italiani); e si che in passato ogni tanto i Pekinska Patka o i Los Nikis gli ascoltavo volentieri, ma anche adesso non avrei problemi, solo che poi la musica che conta nella vita è altra.
Comunque i tre spagnoli macinano che è un piacere con il loro beat/garage/r’n’r  senza troppe pippe mentali, e inoltre, punto che molte volte risulta non pervenuto nelle band italiane sotterranee, sanno tenere bene il palco, o meglio, il cantante chitarrista sa tenerlo.
Tipetto simpatico, una sorta di Edwyn Collins periodo Orange Juice, con il suo mix di italiano e spagnolo parla alla pubblico di dracula e pompini, sposta le transenne e viene a suonare in mezzo al pubblico.
Il gran finale vede tutta la band sulla pista del pubblico, il batterista con il timpano e basta che suona un boogie, con chitarra e basso che gli stanno dietro ed emanano una specie di surf primitivo.
Il pubblico preso bene, coinvolto e soddisfatto, può tornare a casa felice.

venerdì 26 aprile 2013

NIKKI CORVETTE & THE ROMEOS - REVOLUTION - MOLVENA (VI) - 24/04/2013



In un Italia sempre più allo sbando, con migliaia di ragazzini che sembrano aver perso mano per le passioni pure, come può essere la musica e quello che ci gira attorno, per fortuna c’è ancora chi riesce ad organizzare serate di livello non distanti da casa mia.
Io ogni tanto ci provo ad organizzare qualcosa: far suonare un gruppo,metterci dietro due dj con i vinili.
Insomma, premiare un certo modo di fare e vedere le cose.
Se non c’è futuro neanche nella vita “regolare”, con molti che non sanno cosa faranno da qua a tre mesi, perché non investire tempo nelle cose che ti piacciono?
E’ chiaro, mi sembra, che il modello “metti la testa a posto” ne esca ridimensionato da questi anni 2000: lavoro sicuro/famiglia, con le vere passioni adolescenziali spesso sacrificate da molti sull’altare di questa presupposta “normalità”, sembra una strada che non porta più da nessuna parte.
Io invece so che le passioni sono importanti, sono una cosa seria e vanno rispettate.
La serata di cui scrivo è organizzata presso il locale Revolution di Molvena.
Mai stato prima di mercoledì, forse perché ci fanno sempre serate di merda con cover band, o forse sono io che mi sono perso qualche passaggio.
Comunque ci suona Nikki Corvette, meteora del punk a stelle e striscie fine anni’70, una scena pericolosa con dentro dei tipetti mica da ridere, dove lei invece suonava con le Corvettes un bubblepunk da fumetto adolescenziale.
Tre ragazze pecorelle in mano ai lupi che ciondolavano nei bassifondi delle città.
Non durarono molto le Corvette, e poco si sa della fine che fecero finita l’esperienza musicale.
A pensarci mi vedo bene Nikki Corvette a gestire la tabaccheria all’angolo, oppure fare la barista in bar da schifo o a lavorare in un panificio.
Ad ogni modo è stata fuori dal giro per parecchio tempo anche la brava Nikki, ed è rientrata giusto qualche anno fa con qualche progetto sporadico.
In questo tour europeo, che ha in quella di Molvena la seconda data, è accompagnata da una backing band italiana, i Romeos.
Hervè dei Peawees, Franz Barcella (che ricordo bene come penna acuminata di Bam, oramai un decennio fa) e il fratello di Franz.
Noto con piacere che la band ha un banchetto merchandising: capita molto spesso, infatti, ad un tradizionalista come me, di non trovare uno straccio di ricordo da portare a casa con i gruppi originali degli anni ’70 (mi vengono in mente i Selecter).
Nikki Corvette & The Romeos sono in giro ufficialmente a promuovere il loro primo singolo insieme, un  7” con due canzoni, che scoprirò essere davvero pregevoli una volta tornato a casa ed avergli appoggiato la puntina sopra.
Dopo due gruppi spalla, i Diplomatics (punk’n’roll derivativo) e i Dancers (sorta di indie kids che sembrano aver studiato bene sugli album dei Gaunt), la star della serata sale sul palco intorno a mezzanotte e mezzo.
Quaranta minuti di power pop e teen punk come se piovesse, i cui picchi sono rappresentati da “Backseat Love” e “Girls Like Me”.
Bella la cover dei Buzzcocks, “What do i get?”,che il pubblico sembra apprezzare particolarmente.
Tutto sommato un bel set, frizzante, con Nikki Corvette che sembra non aver smarrito di molto la vocina adolescenziale di trent’anni fa, a discapito della forma fisica, quella sì, purtroppo, barattata con il diavolo in cambio di un posto di gloria (seppur in economica) nell’ottovolante del rock’n’roll.

mercoledì 27 febbraio 2013

BRUCE FOXTON “FROM THE JAM” – DEPOSITO GIORDANI – PORDENONE – VENERDI 22 FEBBRAIO 2013



Paul Weller, Bruce Foxton e Rick Buckler erano i tre nomi che costituivano i Jam, band che segnò in maniera indelebile il proprio tempo tra la fine degli anni ’70 e i primi ’80, ponendosi come un nome immarcescibile nella gloriosa tradizione di suoni di stampo britannico.
Who, Kinks, Small Faces i padri, Jam ed altri (penso ai Madness) nel mezzo e il britpop degli anni ’90 in seguito.
Una carrellata di nomi le cui carriere andrebbero studiate tra i banchi di scuola, magari con una bella gita a Londra come corollario.
Dopo la fine dei Jam nel 1982, la storia ha dimostrato come sia stato Paul Weller quello che se l’è cavata meglio, almeno per quanto riguarda il crescente successo di pubblico, tra Style Council e una carriera solista tuttora attiva.
Bruce Foxton, che dei Jam era il bassista, rilasciò un album solista nel 1984 (con una produzione forse troppo legata ai suoni del periodo e di conseguenza invecchiata male), per poi confluire negli Stiff Little Fingers come onesto musicista, abbandonando ogni velleità solistica.
Come capita poi a molte seconde linee di band del passato, Foxton ha deciso di monetizzare un minimo quanto creato con i Jam, mettendo in piedi i “From The Jam” (con Rick Buckler alla batteria, ora non più in formazione), con in quali porta in giro le canzoni della sua vecchia band.
Poi all’improvviso una scossa: ad ottobre 2012 il buon Bruce pubblica un album a proprio nome, “Back in the Room”, decisamente ben riuscito, che suona praticamente come suonerebbero i Jam nel presente.
E questo, a mio parere, non può essere che un bene.
Comunque, arriva venerdì 22 febbraio e mi dirigo come programmato in quel di Pordenone.
Ingresso a 15 euro (non poco ma attutito da un locale bello, pulito, riscaldato e da uno show che spero sia memorabile).
Alle 22.40 circa iniziano i Kickstart, nome storico dell’underground pordenonese, con dentro gente che suona dai tempi del Great Complotto, storico movimento cittadino fine anni ‘70/anni ’80, una fucina di idee e creatività senza paragoni, almeno in Italia.
I Kickstart fanno un buon punk ’77 figlio dei Buzzcocks quanto dei Damned, per certi versi vicino ai Cute Lepers, per agganciarci ad una band contemporanea; mezzoretta di show, canzoni tirate e  melodiche, suoni perfetti, e alle 23.30 è già pronto Bruce Foxton accompagnato da un chitarrista/cantante e da un batterista.
Partono subito alla grande con “Down in the tube station at midnight”, seguita da “This is the Modern World” e “David Watts” dei Kinks, coverizzata dai Jam in “All Mod Cons”.
Il pubblico inizialmente sta un po’ sulle sue, non so perché, tant’è che lo stesso Bruce Foxton si sente in dovere di ricordare a tutti che sarebbe anche venerdì sera.
Piano piano l’ambiente si scalderà, anche se nel complesso sarà un concerto molto tranquillo quanto a partecipazione; ad ogni modo l’ex Jam fa sfilare, in ventidue canzoni di scaletta, tutto il meglio del repertorio di casa Jam, aggiungendoci un paio di ottimi pezzi tratti dal suo ultimo lavoro.
“Going Underground”, “Pretty Green”, “Strange Town”, “In the city”, “Town Called Malice”.
Io adoro i Jam: i suoni, le parole, le melodie. E’chiaro che trovarmi di fronte il bassista di quella band che mi sciorina tutti i classici non mi lascia indifferente.
E’ una bella botta di vita, quelle che vorresti ce ne fossero almeno una volta al mese, e che sei contento ti arrivino dalla musica.
Puoi ritenerti fortunato, ti ritrovi a pensare che in un certo senso hai seminato bene se poi quelle stesse canzoni che hai ascoltato mille volte su disco, dal vivo riescono a darti una carica che durerà per un bel po’, almeno fino al prossimo concerto del gruppo di cui conosci a memoria tutte le canzoni.



mercoledì 20 febbraio 2013

BOB MANTON - PURPLE HEARTS SCORCHERS


Cercando tra le influenze dei miei gruppi preferiti, digitando parole chiave tipo "Purple Hearts Reggae Dub" (incuriosito dalle influenze che i Purple Hearts avevano per le loro canzoni "Plane Crash" e "Concrete Mixer",con i bassi a farla da padrone) capita di imbattermi in queste due immagini scannerizzate che dimostrano come a Bob Manton, che dei Purple Hearts ne era il cantante, fu data la possibilità di compilare un 33 giri con le proprie canzoni preferite.
Sicuramente l'operazione commerciale si sarà rivelata un disastro, ma almeno ora posso sapere (io e probabilmente altri dieci pazzi in tutto il mondo) quali fossero la canzoni preferite da Bob.


mercoledì 30 gennaio 2013

BRAVI RAGAZZI (primi Melt) - CSA ARCADIA - SCHIO (VI) - 26/01/2013



Si dice sempre che il miglior alleato di un’attività sia il passaparola, sistema che presuppone la volontà di consigliare ad un qualcuno interno alla propria rete sociale di usufruire di un servizio in cui ci si è trovati molto bene.
Attività nobile il passaparola: le motivazioni devono essere forti se decido di spendermi, senza nessun ritorno, per promuovere un qualcosa.
Ecco, con i Melt dei primi due album, con il sottoscritto e molta altra gente è andata proprio così.
Eravamo troppo giovani per vivere in diretta l’epoca di “Bravi Ragazzi” e “Sempre più distanti”, e arrivammo giusto con tre/quattro anni di ritardo, quando la band aveva preso un’altra strada sonora e di line up.
Però quei primi due album ci segnarono, ci folgorarono.
Si creava un giro di passaggi, animati solamente dal piacere di dare un qualcosa che indirettamente parlasse un po’ di te all’altro, che rendeva alla perfezione il passaparola di cui sopra: “ti faccio una cassetta”, “ti giro un cd”.
“Bravi Ragazzi” è del 1997: punk rock lanciato e melodico, testi memorabili, canzoni belle dalla prima all’ultima.
“Sempre più Distanti”, il seguito datato 1998, è, se possibile, un passo in avanti in direzione di un punk’n’roll  eseguito alla perfezione e dai connotati più maturi; sicuramente una delle vette per quanto riguarda i dischi usciti in Italia legati al giro punk rock, e peccato per chi non lo conosce.
Eh si, perché i Melt hanno sempre goduto di un grande seguito nella zona vicentina e veneta in generale, però non è dato sapersi quanto siano conosciuti, ad esempio, in Lombardia o in Piemonte, ma penso non molto.
Folgorati sulla via dei Melt, quindi.
“Bravi Ragazzi” lo ascoltavo in cassetta, con il walkman, nei primi anni zero; il walkman rendeva il tutto ancora più grezzo e sporco, chitarre lancinanti, certe parole che non riuscivo a decifrare.
Quando ebbi l’occasione di ascoltarlo in cd rimasi di pietra  a scoprire che in realtà la registrazione era molto più pulita di quanto ascoltato da me; infatti resto totalmente legato a quella cassettina doppiata.
“Sempre più distanti”, invece, aveva certi testi talmente cupi che non c’è niente di meglio per descrivere come ti senti a vent’anni.
Anche qua parole che non si capivano, “Giorno su giorno” che aveva una stranissima seconda melodia parallela alla principale, da cui ogni tanto emergevano parole che sembravano essere “qualcosa”, “invece”.
All’Arcadia di Schio (bel posto e prezzi onesti) c’erano tutti i ragazzi della zona a cui i Melt degli esordi hanno dato qualcosa, e il locale straripava nel senso vero del termine.
La serata è strutturata in questo modo: Vince alla chitarra/voce e Gian alla batteria ovviamente fissi, accompagnati a turno da vari bassisti e secondi chitarristi.
Partono con “Resterai solo” e puntuale scatta un entusiasmo che si trascinerà lungo tutta la serata.
Suonano tutto “Bravi Ragazzi” e gran parte di “Sempre più Distanti”.
Concerti così, pure botte di vita, dovrebbero essercene ogni settimana, o almeno ogni mese: qualche partito del cazzo che ora si sta scaldando per la tornata elettorale dovrebbe metterlo per iscritto nel programma.

giovedì 17 gennaio 2013

SKA.J - GARAGE CLUB - SAN MARTINO DI LUPARI (PD) - 11/01/2013


Il Garage Club è un posto intrappolato in una tipica zona industriale veneta, quelle che dal venerdi sera al lunedi mattina sono deserte, quelle che se fossimo a Napoli ci organizzerebbero corse clandestine di auto.
Zone spettrali, con le prostitute che battono dal tramonto all'alba.
Il locale vero e proprio è un magazzino adibito a "locale rock", come ce ne sono diversi sparsi nel Veneto.
Oramai si può dire perfettamente compiuto il decentramento dei locali notturni in zone squallide e tetre, con i cittadini del centro che reclamano il loro diritto di stare tranquilli (di solito se vuoi stare tranquillo prendi casa in campagna, almeno un tempo funzionava così, ma tant'è).
Con questi presupposti, è facile che l'11 gennaio la zona appaia davvero dura, vuoi per la scenografia industriale, vuoi per il freddo gelido; questo per spiegare che un gruppo come gli Ska-J probabilmente si apprezzerebbero maggiormente in condizioni ambientali diverse, ad un festival all'aperto per esempio, con una bella birra ghiacciata in mano e vecchio ska nell'aria a farti compagnia.
Loro comunque suonano che è un piacere, tra cover di classici ska e brani autografi.
Il poco pubblico presente inizialmente sembra abbastanza sulle sue, per poi lasciarsi andare in balli cretini lungo il concerto.
A proposito, ma come ballano lo ska questi qua?! Saltellando, facendo piroette, liberando i sensi.
Cazzo, è una cosa seria: secondo me dovrebbbe essere ballato da fermi, ondeggiando sul posto, con stile, come gli skinheads a Londra nel '69 con i dischi della Trojan, della Treasure Isle e della Pama.
A Woodstock non si ballava ska, ricordatevelo.
Concludendo, gli Ska-J in estate dovrebbero suonare ogni sera, come le orchestre di liscio.