lunedì 30 aprile 2018

MANCHESTER NORTH OF ENGLAND

La Cherry Red ci ha preso gusto con i cofanetti celebrativi e caccia fuori questo cofanetto 7 cd dedicato alla scena di Manchester, che io prontamente mi autoregalo per il compleanno.
Il periodo preso in esame va dal 1977 al 1993, un epopea musicale incredibile in cui le parole chiave sono: Buzzcocks, Joy Division, Factory Records, Smiths, Madchester, Oasis (ai primordi).
I Buzzcocks danno via al tutto, organizzando il celebre concerto dei Sex Pistols del 4 giugno 1976, e poi esordendo come gruppo spalla un mese dopo quando la band londinese ritorna al nord.
Il 4 giugno, alla Lesser Free Trade Hall di Manchester, ci sono 42 persone, la metà circa delle quali divenne, di lì a breve, "un qualcuno" nella scena musicale mancuniana e britannica.
Sono stati scritti libri su quel concerto.
Tra il pubblico c'erano i futuri Joy Division, c'era Tony Wilson, Mark E. Smith dei Fall, c'era Morrissey: può bastare?
Non mi va di fare un trattato sui soliti noti, sul cofanetto c'è tanta di quella roba che è bello starsene li buoni e mettersi a studiare la storia, le connessioni, le micro scene.
Mi piacciono molto il power pop di Any Trouble e Distractions, gli Swamp Children, che nei primi '80 pubblicarono un ottimo album jazz funk new wave con la Factory; oppure i Manicured Noise, qui presenti con "Faith", a cui è legata una storia particolare della loro batterista, che successivamente suonò una delle più famose band rock argentine, i Sumo, guidate dall'italiano Luca Prodan.
Mi ci perdo in storie così.
E i Mock Turtles che grandi singoli han tirato fuori in piena era Madchester? E "Box Set Go" degli High che pezzo è? E l'ultimo singolo prodotto dalla Factory, "Camper Van" degli Adventure Babies, come vi sembra? Parliamone, mi prendo tutto il tempo.
Facciamo una serata insieme, qualche birra e magari un dj set "Solo Manchester" a corredo.

martedì 13 marzo 2018

SENZABENZA - GROOVE - LUGO (VI) - 09/03/2018

Tutta la settimana che ho in macchina "Gigius" ed è un gran bel ascoltare, disco della Madonna.
Il mio, poi, ha una particolarità: è masterizzato in traccia unica (l'originale gira intorno alle cento bombe..) e non puoi fare skip tra una traccia e l'altra ma te lo becchi tutto dall'inizio alla fine. Nessun problema, le canzoni sono tutte di valore, punk rock melodico direttamente influenzato da Ramones e Hard Ons con l'aggiunta di qualcosina di power pop. Tutto questo nel 1993.
Parlare dei Senzabenza vuol dire parlare di uno dei nomi di punta dell'alternative italiano degli anni '90 in senso lato. Gente che ha suonato in giro per l'Europa, che in Italia trainava la stagione del "Flower Punk Rock", che apriva le date italiane dei Ramones, che nel 1996 volava a New York e si faceva produrre un disco da Joey Ramone in persona.
Pensavo in questi giorni al fatto che non ci sia neanche un libro che racconti quella stagione, ed è un gran peccato perché è una scena nazionale da cui sono emersi bei nomi (Senzabenza, Manges, più tardi Peawees) che un certo riconoscimento internazionale di culto l'hanno ottenuto.
L'anno scorso i Senzabenza han fatto uscire un disco, "Pop from Hell", che è uno dei dischi più belli del genere ascoltati negli ultimi tempi, pieno power pop.
Insomma, è un gruppo ancora vivo, presente, ed è una gran fortuna averli ancora in giro, almeno per me.
A maggio 2017 l'occasione di vederli a Carmignano di Brenta, due passi da casa, quest'anno si organizza una macchinata e si sale fino al Groove di Lugo, alto vicentino.
In apertura gli ottimi Pyjamarama, nuova band messa in piedi da Teo dopo la fine dei gloriosi Melt; punk pop cantato in italiano con testi di valore, roba di qualità.
Poi prendiamo posto in prima fila birre in mano e ci becchiamo un ora abbondante di Senzabenza con tutte le hit al loro posto e i pezzi del nuovo album che riscuotono consensi favorevoli anche da chi non l'ha ancora ascoltato.
Canti, cori, dita al cielo, sorrisi, sguardi, tutto il corollario di sensazioni che le serate come queste sono in grado di darti, tant'è che penso che sarebbe bello seguirli in tutte le date che fanno in giro per lo Stivale ("Molliamo tutto e seguiamo i Senzabenza in giro per l'Italia"cit.).
Li richiamiamo noi sul palco per qualche bis e loro accettano di buon grado.
A fine concerto facciamo due chiacchiere con loro, persone disponibili e alla mano, e in breve tempo ci ritroviamo a fare la serata insieme tra giri offerti, risate, cazzate, aneddoti su Johnny Ramone e annebbiamento alcoolico che coi minuti si fa sempre più invadente. Che serata!


martedì 2 gennaio 2018

PUNK IN OSTERIA

Il 30 dicembre son stato a Lugo alla presentazione del bellissimo libro di Massimo Fagarazzi, "Il tempo brucia le tappe", incentrato sulla scena underground vicentina degli anni '90.
Oddio, non era una presentazione vera e propria, quella era già stata fatta in maniera compiuta il 7 dicembre a Vicenza; diciamo che si è colta l'occasione della chiusura di un osteria storica legata in qualche maniera alle vicende del libro per tentare di presentarlo anche in quel contesto.
Il luogo in questione è l'Osteria Bidese, adagiata sulle rive del fiume Astico tra le colline dell'Alto Vicentino con le Prealpi a vista d'occhio.
Assume una propria rilevanza nel contesto alternativo/underground vicentino in quanto proprio dietro all'Osteria c'era la vecchia sala prove dei Melt, la fenomenale punk rock band di Lugo con la quale tutti noi siamo cresciuti.
Siamo a livelli di agiografia, un po' come quando a Londra vai in Denmark Street perché sai che ci provavano i Pistols.
Da fan dei Melt può solo che farmi piacere tutto questo, ho sempre pensato a loro come ad una tra le band più sottovalutate dell'intera scena, sebbene abbiano suonato parecchio in giro e i loro dischi li abbiano fatti; potevano davvero diventare i più grandi di tutti, son sempre stati di un livello superiore.
Ad ogni modo intorno alle 17.00 siamo entrati nell'osteria, una stanzetta con bancone e due tavolini, che era già bella piena di una fauna divisa tra frequentatori abituali e gente interessata alla presentazione del libro.
I frequentatori abituali erano lì per rendere il giusto tributo ad un luogo parte delle loro vite: mi metteva tristezza pensare a tutto questo, al fatto che dal giorno dopo là dentro non ci sarebbero più potuti entrare, ai cambiamenti in contesti non portati per i cambiamenti, conservatori di proprio.
Anch'io sono così di carattere, li capivo benissimo.
Si percepiva una bella umanità nella sala, verace, senza compromessi, tra brindisi e frasi scambiate con persone che non conoscevo.
Ho pensato a me, ai posti che frequento di solito, che vorrebbero darsi una patina di verità e autenticità e che in realtà possono solo pulire il culo all'Osteria Bidese e alle vecchie osterie: imborghesimento, incapacità di comunicare in luoghi che dovrebbero essere proprio deputati a socializzare. Ma come ci siamo ridotti?
Mi è salita una gran nostalgia del Bar Company di Sandrigo, dove, quando eravamo ragazzini, facevano concerti punk, e noi tutte le domeniche lì. Poi ci siamo allontanati da questi posti, è vero, troppo estremi  per certi versi, si rischiava di rimanerne intrappolati. E allora siamo andati in quei posti senz'anima che dicevo prima.
Punk in osteria, unione tra outsiders, per un attimo l'ho pensata così.
Poi però è salito su una panchina del Bidese il buon Massimo Fagarazzi e ha iniziato a parlare del libro con un approccio abbastanza colto e pieno di riferimenti letterari che a me piaceva, ma evidentemente non piaceva ai locals, visto che l'hanno interrotto più volte e dopo cinque minuti appena è sceso e ha lasciato perdere.
Gli ho detto: "Potevi continuare! Era una situazione bellissima", uno scontro tra cultura e base popolare che mi ha elettrizzato. Però immagino non fosse facile reggere la situazione.
E allora la magica unione si è dissolta, gli outsider locals sono diventati redneck, sembrava "Easy Rider". Se il branco capisce che potresti non essere come loro ti può anche sbranare.

giovedì 2 novembre 2017

MADNESS - GRAN TEATRO GEOX - PADOVA - 29/10/2017

Ho aspettato qualche giorno prima di buttare giù qualche riga sul concerto dei Madness e mi ha detto bene, nel senso che certe sensazioni vissute in diretta si sono successivamente un po' smorzate, o quantomeno ho voluto collocarle in un quadro generale.
Quali sensazioni? Beh, semplicemente l'esibizione al Geox non mi aveva pienamente convinto. Atmosfera tutto sommato floscia per gran parte del concerto e suoni provenienti dal palco non in linea con la ricchezza sonora di cui i Madness possono disporre.
Strano, a proposito dell'ultimo punto, che questo accada al Geox, location rinomata per la qualità sonora che avevo già avuto modo di testare in diverse occasioni.
Questo mi va bene che accada al concerto amatoriale sotto casa ma non in un posto dove paghi i tuoi bei 40 euro d'ingresso, ma tant'è.
Dicevo che queste sensazioni si sono un po' smorzate nei giorni successivi, perché comunque poi mi è rimasto un ricordo tutto sommato positivo della serata.
Perché dai, sentire dal vivo certe canzoni è sempre bello e perchè è roba di qualità estrema, curata nei particolari e quintessenzialmente londinese.
Da amante dei Kinks è molto facile vedere nei Madness una prosecuzione di quel discorso, soprattutto nell'immaginario, ma questo non lo scopriamo certo adesso.
Probabilmente, quindi la verità sta nel mezzo: nulla da dire sulla classe della band, in questo caso però penalizzata dai suoni.
In quest'ottica la partenza con il cavallo di battaglia "One Step Beyond" è stata un mezzo passo falso. L'avessero fatta per ultima, dopo che il pubblico si era ben scaldato con la doppietta "House of Fun/ Baggy Trousers" sarebbe stata tutta un altra storia.
Belli i pezzi dell'ultimo album, "Can't Touch Us Now", l'ho ascoltato parecchio nell'ultimo anno.
Pubblico prevalentemente di stampo sottoculturale; in realtà loro in Italia sarebbero abbastanza conosciuti anche dal pubblico generalista, che li ballava nelle discoteche dello Stivale nei primissimi '80. In Inghilterra dire Madness è come dire Lucio Battisti da noi.
In apertura ottimi i Giuda, orgoglio italiano, oramai una garanzia.

martedì 24 ottobre 2017

PROTEX - FREAKOUT CLUB - BOLOGNA - 20/10/2017

Dopo una giornata di lavoro trascorsa in trasferta a Verona, arriva sera, salgo in macchina e imbocco la Brennero direzione Modena/Bologna.
Cena di gran classe in autogrill e intorno alle 22.00 arrivo comodo al Freakout Club.
L'impatto non è dei migliori: tetra location sotto il cavalcavia di via Stalingrado, graffiti in giro, capannello di alternativi della peggior specie che mi squadrano e addirittura il tipo dell'entrata che si assicura che io sia lì per i Protex.
Adesso, ok tutto, capisco il terzo mondo sottoculturale in cui si trova l'Italia, però questa gente mi ha veramente rotto i coglioni. Che poi suonano i Protex, non gli Exploited e neanche i Punkreas.
E io ho un parka blu, pullover, camicia, jeans e un paio di wallabee, cioè son vestito normalmente, non mi sembra di esagerare.
Ancora una volta questi ambienti si dimostrano di una grettezza unica, chiusi nel loro piccolo mondo alternativo che, sostanzialmente, ha distrutto ogni possibilità di sviluppo in senso lato del mondo sottoculturale.
Per quanto mi riguarda sempre guardia alta verso questi individui, verso la loro ignoranza non giustificata e il loro pressapochismo.
Poi al cesso altro sguardo incattivito di uno skinhead a cui rispondo mostrando i denti.
Che poi il tipo è il cantante del gruppo spalla, tali Zona Popolare, autori di un Oi gutturale, con qualche buona base di stampo punk'n'roll.
In realtà sembrano la cover band dei Nabat. Anzi, in realtà sembrano una specie di progetto sostenuto da una associazione che si occupa del reintegro in società dei ragazzi socialmente disadattati.
Interessante come cosa, ben vengano questi progetti sostenuti dal Comune. Togliamo i ragazzi dalla strada e mettiamoli in sala prove a suonare la musica della strada!
Alle 23.00 salgono i Protex, gente ce ne sarebbe anche, solo che la gran parte preferisce restare fuori a fumare. E qua i conti tornano col concetto che esplicavo poc'anzi circa il sostanziale disinteressamento di questi verso la musica.
Il concerto ce lo vediamo in venticinque persone, con i Protex che probabilmente si saranno chiesti in che razza di manicomio son capitati.
Forse sarebbe stato meglio farli in un bel pub.
Loro comunque danno un ora di lezione magistrale a suon di power pop suonato come Dio comanda.
Mi è sempre piaciuta la scena nord irlandese di fine settanta, loro, gli Undertones, i Moondogs, gli Starjets.
Roba gioiosa, innocente, giovane. Composta e suonata mentre la loro terra aveva ben altri problemi a cui pensare.
Nei Protex c'è il rock'n'roll e ci sono grandi melodie malinconiche, il tutto sostenuto da ritmi medi. Ogni tanto mi perdo ad osservare il batterista, è uno spettacolo, molto sincopato e poco lineare, sostiene tutto il sound.
I pezzi super sono: "I can't cope", "A place in your heart", "Don't ring me up", "I can only dream", "Strange Obsessions".Dai, stiamo parlando dei vertici del genere tutto. Roba per palati sopraffini. E il tipo prima mi chiede se sono venuto per i Protex. Ma nasconditi va e chiedimi anche scusa dell'affronto che hai osato farmi, che i Protex saranno sempre dalla mia parte, non certo dalla tua.
Ne suonano parecchie anche dall'album appena uscito, "Tightrope", gran bel disco.
"Even if I wanted to" è un lentone straordinario, prendetevi tre minuti e ascoltatela nel web, fatevi sto favore.
Io, ad esempio, ho comprato il cd e mi son fatto l'ora e mezza del viaggio di ritorno che l'avrò ascoltata dieci volte. Poi ogni tanto spegnevo la radio e cantavo da me "A place in your heart".



sabato 14 ottobre 2017

999 - DUBLIN CASTLE - LONDON - 29/09/2017


Mi sparo un bel corso di aggiornamento a Londra composto da musica, football, shopping, pub e club.
Siamo in tre, arriviamo il venerdì ad orario pranzo e dopo il pomeriggio passato a zonzo, alla sera ci dividiamo per qualche ora: i miei due soci vanno al derby di Londra ovest Qpr - Fulham, io vado a vedere i 999 a Camden.
Nel 2016, qua a Londra, mi sono beccato Members e Lurkers in due serate differenti, quest'anno i 999: senz'altro cose di cui andare fieri!
Poi un conto è vederti il gruppo '77 da Londra in tour, che ne so, a Vicenza, in un contesto totalmente avulso da qualsiasi pretesa storico/temporale, un altro paio di maniche è vederseli a Londra.
Capito che siamo nel 2017 e non nel 1977, ma per me ha comunque il suo fascino vedermeli giocare in casa.
Il concerto si tiene al Dublin Castle, il pub dove iniziarono i Madness (spacciandosi come gruppo jazz) e dove, gira voce, potevi trovare frequentemente Amy Winehouse; sopra il bancone campeggiano diversi bei poster dei Nutty Boys.
La sala preposta al live, come da tradizione inglese, è separata rispetto alla zona pub.
Accedendovi mi rendo conto come sia strapiena e faccia un caldo tropicale; la maschera allo strappo-biglietti, capito che sono italiano, mi accoglie con un caloroso "Cassano!" che suscita in me una mezza risata.
Stan suonando i gruppi spalla, dentro si muore e allora preferisco stare al pub ad osservare la fauna e farmi un paio di pinte con pacchetto di patatine a corredo.
Il pubblico è composto da vecchi punk rocker dallo stile pulito, diversi skinheads, parecchie ragazze e qualche tipico coglionazzo "da Camden", quelli che di lavoro reggono i cartelli del negozio di tatuaggi.
Ce n'è uno parecchio ridicolo, con i capelli lunghi ma pettinati all'insù e divisi in una specie di due corna di color rosso. Ovviamente chiodo con borchie a profusione. Cazzo c'entra questa gente col '77 non l'ho mai capito, roba stereotipata condizionata dai mass media, pura spazzatura. Infatti poi verrò a sapere che il tizio è italiano, da Genova, e un po' c'era da aspettarselo.
E' l'ora dei 999 e prendo posto in sala. Nick Cash, cantante e chitarrista, sale sul palco passando in mezzo alla gente e allora ne approfitto per mettergli una mano sulla spalla e fargli un "Hey Nick!" a cui risponde salutando sorridendo.
Attaccano con "Black flowers for the bride", "Inside out" e "Hit me", tre discrete cannonate.
Sempre avuto un proprio stile particolare i 999, '77 molto vicino al power pop ("The biggest prize in sport" è un gran disco power pop), e dal vivo lo ripropongono in maniera sgraziata ed energica senza tanti conformismi.
Ogni tanto Nick Cash tossisce mentre canta, piccoli particolari che me li rendono ancora più simpatici.
Una tipa davanti a me mi sculetta addosso praticamente tutto il concerto, sia ben chiaro che non ho nulla contro e la lascio fare.
Dev'essere una molto appassionata perché sa anche "Really like you", che è si un gran bel pezzo, ma è su "Takeover" del 1998, non propriamente il disco più famoso dei nostri.
L'ultimo è "Death in Soho" del 2007, chissà se ne faranno mai un altro. Con queste band, ormai, siamo in un circuito totalmente slegato dal discorso "album/tour", è solo pura celebrazione e ci sta.
La sequenza finale della scaletta è monstre, con "Emergency", "Nasty Nasty" e "Homicide". Scusa tanto.
I bis ancora meglio, con "My Street Stinks" e "I'm Alive".
Esco bello soddisfatto e al pub trovo i soci post partita, la tipa di prima esce e mi canta "I'm alive", è venerdì, siamo a Londra e tra poco prendiamo e andiamo in un club ad Islington ad una serata britpop. Meglio di così!

martedì 12 settembre 2017

PAUL WELLER @ ESTRAGON - BOLOGNA - 10/09/2017



Il sabato sera vado a letto ad un orario indecente; domenica sono atteso a pranzo dai miei e praticamente non riesco a proferire parola, quando lo faccio emetto un suono gutturale modello "uomo delle caverne". Vedo di ripigliarmi un attimo in qualche modo e verso le 17.00 parto in solitaria verso Bologna, arrivando bello comodo a destinazione un ora e mezza dopo.
L'Estragon si trova all'interno del famoso Arena Parco Nord, luogo con un certo perché nell'agiografia concertistica italiana.
Panino con salamella, birra da mezzo che mi fa tornare su tutta la stanchezza, sigaretta d'ordinanza ed entro nel locale, una tensostruttura spersa nell'immensità asfaltata del Parco Nord.
Non son neanche le otto, non ho un cazzo da fare e mi piazzo addosso ad una transenna ad osservare l'ambiente e la fauna che inizia a popolarlo.
Vengo colpito dalla totale mancanza di stile di gran parte dei presenti, barbe, scarpe indecenti, t shirt sformate, abbinamenti improbabili e tagli di capelli improponibili.
Povera pigra Italia.
Non dico che ad un concerto di Paul Weller ci debba essere solo gente di un certo tipo, però insomma, immagino che se tu sia qui in una data sold out significa che un po' ti piace, e magari ti piace anche perché c'è una certa affinità di visione aldilà del mero discorso musicale.
Insomma, resto molto sorpreso da tutto questo.
A Pordenone due anni fa (concerto annullato causa pioggia) c'era molta meno gente e addirittura con una proporzione maggiore di elementi sottoculturali.
Il gruppo spalla, tali "Siberia", non c'entra proprio nulla, fanno una specie di cantautorato rock italiano colto e pesante. Si beccano anche degli applausi quando il caro vecchio lancio di frutta e verdura sarebbe stato maggiormente consono.
Inizia a fare anche un gran caldo e non c'è neanche una ventola che muove l'aria, però la cameriera mi fa gli occhi dolci e mi torna il buonumore.
Alle nove puntuali il grande Paul Weller guadagna la scena.
Prima volta che lo vedo, in un certo senso sono emozionato.
Parte con "I'm where I should be" tratta dal penultimo (ottimo) "Saturns Pattern", seguita da "Nova" dall'ultimissimo "A Kind Revolution".
A me i dischi di Paul Weller solista piacciono, trovo che ha fatto gran belle cose. Ovvio che poi se devo scegliere dico Jam tutta la vita, Style Council appena sotto e carriera solista al terzo posto, esattamente come la cronologia della sua carriera.
Messa così sembra ci sia stato un progressivo peggioramento della proposta, ma secondo me non è vero, lui fa sempre robe di qualità che meritano attenzione.
Poi, per dire, "Sonic Kicks" del 2012 non mi ha convinto in toto, però ci sta, anche la dentro un tre/quattro pezzi super c'erano comunque.
Degli Style Council ne ha fatte tre: "My ever changing moods", "Have you ever had it so blue" e "Shout to the top", roba sopraffina, perle.
L'acustica è ottima e si sta anche abbastanza larghi tutto sommato.
Vabbè la scaletta completa si trova agevolmente su internet, non voglio fare pezzo per pezzo.
Basti dire che comunque due ore abbondanti di concerto scivolano giù che è un piacere, con intensità e qualità.
Dei Jam fa "Monday" in acustico, versione ninna nanna, "Start" e una "Town called malice" da brividi come terzo bis, quando ormai gran parte del pubblico era confluito all'esterno, tra cui il sottoscritto. Sento QUEL giro di basso e torno dentro a gran velocità.
All'esterno mi compro anche una t-shirt abusiva giusto per non farmi mancare nulla, faccio una gran tirata fino a casa e all'1.30 son già sotto le coperte.