giovedì 17 gennaio 2013
SKA.J - GARAGE CLUB - SAN MARTINO DI LUPARI (PD) - 11/01/2013
Il Garage Club è un posto intrappolato in una tipica zona industriale veneta, quelle che dal venerdi sera al lunedi mattina sono deserte, quelle che se fossimo a Napoli ci organizzerebbero corse clandestine di auto.
Zone spettrali, con le prostitute che battono dal tramonto all'alba.
Il locale vero e proprio è un magazzino adibito a "locale rock", come ce ne sono diversi sparsi nel Veneto.
Oramai si può dire perfettamente compiuto il decentramento dei locali notturni in zone squallide e tetre, con i cittadini del centro che reclamano il loro diritto di stare tranquilli (di solito se vuoi stare tranquillo prendi casa in campagna, almeno un tempo funzionava così, ma tant'è).
Con questi presupposti, è facile che l'11 gennaio la zona appaia davvero dura, vuoi per la scenografia industriale, vuoi per il freddo gelido; questo per spiegare che un gruppo come gli Ska-J probabilmente si apprezzerebbero maggiormente in condizioni ambientali diverse, ad un festival all'aperto per esempio, con una bella birra ghiacciata in mano e vecchio ska nell'aria a farti compagnia.
Loro comunque suonano che è un piacere, tra cover di classici ska e brani autografi.
Il poco pubblico presente inizialmente sembra abbastanza sulle sue, per poi lasciarsi andare in balli cretini lungo il concerto.
A proposito, ma come ballano lo ska questi qua?! Saltellando, facendo piroette, liberando i sensi.
Cazzo, è una cosa seria: secondo me dovrebbbe essere ballato da fermi, ondeggiando sul posto, con stile, come gli skinheads a Londra nel '69 con i dischi della Trojan, della Treasure Isle e della Pama.
A Woodstock non si ballava ska, ricordatevelo.
Concludendo, gli Ska-J in estate dovrebbero suonare ogni sera, come le orchestre di liscio.
domenica 30 dicembre 2012
IL MEGLIO DEL 2012 - DISCHI
Anno che volge al termine e quindi tempo di stilare liste.
Ecco un elenco, senza pretese classificatorie, di dischi usciti nel 2012 che ho apprezzato particolarmente.
Dischi Italiani
Diaframma – Niente di Serio
Decisamente un buon album per una band che rappresenta la storia del rock italiano.
Nel disco in questione vengono rappresentate alla perfezione le due anime del gruppo fiorentino, quella più rock e quella più riflessiva.
Offlaga Disco Pax – Gioco di Società
Oramai sono una certezza del panorama italiano.
Immaginario forte e dischi sempre ben fatti.
Karibean – Andersen
Italiani, scoperti quest’anno, stupiscono per il pregevole incrocio tra Ramones/Beach Boys/ Pastels, il tutto suonato come lo suonerebbe una misconosciuta band inglese epoca C86.
A Classic Education – Call it Blazing!
Un disco perfetto. Qua dentro ci sono canzoni che suonano decisamente senza tempo, pregne di melodie indimenticabili.
Un gruppo bolognese che se la gioca in tutto il mondo.
Dischi Stranieri
Prinzhorn Dance School – Clay Class
New Wave cupa, glaciale e stilosa; da ascoltarsi in cuffia mentre si attraversano a piedi deserte ghost towns post industriali.
Jah Wobble. Keith Levene – Yin & Yang
Parecchio solido quest’album dei due ex Pil.
Atmosfere Dub Rock metropolitane.
Jake Bugg
Sorprende in positivo l’esordio di questo sbarbato diciottenne inglese.
Canzoni classicissime che odorano di Beatles e Brit Pop.
Paul Weller – Sonic Kicks
La aspettavo attentamente questa nuova uscita di Paul Weller; risultato che convince per metà, visto che all’interno qualcosa di buono c’è, ma spesso è accompagnato da esperimenti non all’altezza della situazione.
Da segnalare anche:
Bruce Foxton (l'ho ordinato e sto aspettando di riceverlo, ma da quel poco che ho sentito sembrerebbe parecchio interessante), Madness (album carino ma non memorabile), Tre Allegri Ragazzi Morti (buon album, a metà tra lo stile classico della band e cose più nuove), Cribs (qualche pezzo britpop degno di nota, altri meno), Vaccines (mi piacciono a sprazzi).
New Wave cupa, glaciale e stilosa; da ascoltarsi in cuffia mentre si attraversano a piedi deserte ghost towns post industriali.
Jah Wobble. Keith Levene – Yin & Yang
Parecchio solido quest’album dei due ex Pil.
Atmosfere Dub Rock metropolitane.
Jake Bugg
Sorprende in positivo l’esordio di questo sbarbato diciottenne inglese.
Canzoni classicissime che odorano di Beatles e Brit Pop.
Paul Weller – Sonic Kicks
La aspettavo attentamente questa nuova uscita di Paul Weller; risultato che convince per metà, visto che all’interno qualcosa di buono c’è, ma spesso è accompagnato da esperimenti non all’altezza della situazione.
Da segnalare anche:
Bruce Foxton (l'ho ordinato e sto aspettando di riceverlo, ma da quel poco che ho sentito sembrerebbe parecchio interessante), Madness (album carino ma non memorabile), Tre Allegri Ragazzi Morti (buon album, a metà tra lo stile classico della band e cose più nuove), Cribs (qualche pezzo britpop degno di nota, altri meno), Vaccines (mi piacciono a sprazzi).
giovedì 20 dicembre 2012
ENRICO BRIZZI - L' INATTESA PIEGA DEGLI EVENTI
Un libro corposo, segnato da uno stile pulito, per uno scrittore che inizio ad apprezzare sempre di più.
E' il secondo libro di Enrico Brizzi che leggo: il primo, "La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco", pur essendo un excursus per lo scrittore bolognese, lo avevo trovato divertente ed interessante.
Qui siamo nel 1960: la seconda guerra mondiale è terminata in un altro modo rispetto alla versione originale e il fascismo persiste, seppur con modalità leggermente meno totalitarie.
Il buon Lorenzo Pellegrini, trentenne giornalista sportivo bolognese, viene inviato nelle Repubbliche associate Africane (nello specifico Etiopia ed Eritrea) per seguire da vicino la Serie Africa, campionato calcistico locale.
Lo attenderà una realtà a suo modo moderna, vivace, attiva.
Aregai è un basettone, me lo vedrei bene a ballare Ska e Rocksteady con gli Skinheads a Londra nel '69, mentre Cumani è un giocatore working class che raffigurato sulla copertina mi ricorda vagamente Roberto Pruzzo.
E' il secondo libro di Enrico Brizzi che leggo: il primo, "La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco", pur essendo un excursus per lo scrittore bolognese, lo avevo trovato divertente ed interessante.
Qui siamo nel 1960: la seconda guerra mondiale è terminata in un altro modo rispetto alla versione originale e il fascismo persiste, seppur con modalità leggermente meno totalitarie.
Il buon Lorenzo Pellegrini, trentenne giornalista sportivo bolognese, viene inviato nelle Repubbliche associate Africane (nello specifico Etiopia ed Eritrea) per seguire da vicino la Serie Africa, campionato calcistico locale.
Lo attenderà una realtà a suo modo moderna, vivace, attiva.
Aregai è un basettone, me lo vedrei bene a ballare Ska e Rocksteady con gli Skinheads a Londra nel '69, mentre Cumani è un giocatore working class che raffigurato sulla copertina mi ricorda vagamente Roberto Pruzzo.
martedì 4 dicembre 2012
TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI – VINILE – ROSA’ – 29/11/2012
Avevo un po’ perso di vista i Tre Allegri Ragazzi Morti
negli ultimi anni; nel mio percorso di appassionato a certi suoni è capitato, e
capita ancora, che fasi della vita siano caratterizzate dall’ossessione verso
determinate band.
Dai quindici ai vent’anni una delle band per me più
importanti furono proprio i Tre Allegri Ragazzi Morti.
Sembra il solito discorso che poi cresci, maturi e cambi
ascolti; in realtà è andata che certe tematiche adolescenziali ad un certo
punto mi sembravano un po’ stagnanti e da “film”.
Capita.
Probabilmente era necessaria una fase di allontanamento per
poi poter osservare il quadro nel suo insieme più ampio, da esterno se
vogliamo, perché se è vero che la tematica portante del gruppo pordenonese è l’adolescenza e i suoi risvolti, è anche
vero che la mia, almeno anagraficamente, è finita da qualche anno.
Allora le tematiche si riescono a guardare sotto un’altra
stella, in grado di comprendere e decifrare il tutto sotto un ottica quasi
sociologica se vogliamo: Tre Allegri Ragazzi Morti, una band, un immaginario
forte che resiste negli anni, un gruppo non identificabile in maniera ortodossa
con un genere perché inventori a loro modo di un qualcosa.
Dal vivo è da parecchi anni che non li vedo, mentre un
ascolto ai due album usciti nella seconda metà degli anni 2000 cercavo sempre
il modo di darlo, per una sorta di affetto verso la band.
Comunque siamo nel 2012 e i Tarm sono pronti a dare alle
stampe il settimo disco in diciotto anni di carriera.
La serata del Vinile viene promulgata via manifesti e social
network come un secret show con capienza limitata a 150 ingressi, una sorta di
prova generale dove ascoltare in anteprima i brani del nuovo disco “Il giardino
dei fantasmi” prima di intraprendere il tour promozionale vero e proprio.
Mi piace l’idea di organizzare un concerto in un giorno ai
più insignificante come il giovedì; in città funziona così, non tutti gli
eventi sono dipendenti dal venerdì e dal sabato.
Ovvio che però i concerti dovrebbero iniziare e finire ad
un’ora umana: solo così avrebbero senso i concerti infrasettimanali.
Al Vinile l’atmosfera è attenta e curiosa e alle 23.00 la
band sale sul palchetto del locale.
Partono con “Puoi dirlo a tutti”, brano tratto dal loro
ultimo disco “Primitivi del futuro”,disco che ha segnato una virata stilistica
verso ritmiche di stampo reggae.
Anche i brani del nuovo disco, ad un primo ascolto, sembrano
mantenere un impronta lenta e in levare, con basso tondo e batteria che sembrano
usciti da un disco dub.
Canzoni non molto immediate e sicuramente distanti anni luce
dalle prime cose del gruppo, canzoni che magari richiederanno più di un ascolto
su disco per essere apprezzate in maniera compiuta.
Dopo un’oretta dedicata al nuovo album, parte la scaletta
che ripercorre i pezzi noti della band, intramezzata da qualche chicca (tipo
“Un altro inverno a Pordenone”) che riscuotono l’entusiasmo dei presenti.
Uno show bello pieno di due ore e alle 01.00 precise il
concerto termina, esco per primo dal Vinile e inizia a piovere. La statale è
deserta.
mercoledì 14 novembre 2012
STADI D'ITALIA
Un commento per ogni stadio di Serie A.
Atalanta
Non male. Stadio inserito nel contesto cittadino, altrove
magari lo avrebbero già sostituito velocemente costruendo un bel 40.000 posti
vicino allo svincolo della tangenziale, come capita a molte cattedrali nel
deserto.
Ad ogni modo, per migliorarlo ulteriormente, io toglierei i
vetri divisori con gli spalti (come
succede nei paesi civili) e oserei con togliere le panchine e inserirle nella
parte inferiore della tribuna centrale, come l’esempio dello “Juventus Stadium”
insegna.
Bologna
Pur avendo la pista e pur avendo 35.000 posti a sedere di
cui almeno 5.000 inutili, è uno stadio con il suo fascino architettonico.
Saranno gli archi esterni e la torre centrale, non so, comunque
ha un suo perché.
Cagliari
Dopo il giusto abbandono dello sconcio Sant’Elia (con le
tribune davanti prefabbricate davanti a quelle precedenti, robe da Italia)
attendo di capire meglio com’è questo “Is Arenas”.
Dalle foto e dalle prime gare disputate non sembra male,seppur
limitante nella sua struttura “in tubi”.
Vedremo.
Catania
Non mi è mai piaciuto particolarmente il “Massimino”.
Diciamo che mi appare confusionario, e la rete da pescatore posta a protezione
del settore ospiti non aiuta certo ad elevare Catania come nuova capitale del
buon gusto.
La pista penalizza un po’ tutto l’insieme, che non sarebbe
male con le tribune circolari, ma che comunque risultano parecchio distanti dal
campo.
Chievo
Ristrutturato per Italia ‘90, appare tutto sommato di
un’altra sostanza rispetto ad altri scempi dell’epoca.
Forse un po’ troppo grande per Verona, tralasciando il
Chievo che potrebbe giocare anche al Patronato (parlo proprio dell’Hellas,
anche se numeri importanti i butei li fanno sempre), forse l’anello più elevato
risulta di troppo.
Fiorentina
Il Franchi soffre un po’ la forma da “Circo Massimo” e con
una forma rettangolare sicuramente le curve ci avrebbero guadagnato non poco.
Appello per togliere i vetri divisori, inutili e scomodi.
Genoa - Sampdoria
Marassi sale sicuramente sul podio dei primi tre per
struttura e ambiente.
Forse l’unico difettuccio sta nella continuazione delle
tribune centrali cinque/sei metri oltre la bandierina del calcio d’angolo.
Inter – Milan
San Siro è sempre San Siro.
Storia e grandezza. Negli ultimi tempi parecchi vuoti non
belli da vedere (certo che le Società milanesi avrebbero il dovere morale di
abbassare il prezzo dei biglietti) e quelle impalcature, che non capisco bene a
cosa servono, poste tra il primo e il secondo anello delle curve.
Juventus
Qua non c’è nulla fuori posto: capienza giusta, vetri
divisori non presenti, vicinanza degli spalti.
Speriamo che questo stadio rappresenti l’inizio di nuova era
che si contraddistingua per la serietà e lo studio dei progetti, quando in
Italia si è sempre storicamente agito al contrario in ambito stadi.
Lazio - Roma
L’Olimpico ha la pista, è vero, però non significa non sia
uno stadio fascinoso, che se pieno risulta sicuramente di grande effetto.
Napoli
Mi sembra un po’ invecchiato il San Paolo.
Stadio di fascino, certo, però la pista forse appare
veramente di troppo.
Palermo
Anche qua la forma “Circo Massimo” penalizza le curve.
Parma
Un bel stadio il “Tardini”, su misura per una realtà come
Parma.
Da prendere come esempio per le realtà con un bacino
d’utenza simile.
Pescara
La pista azzurra è un pugno sull’occhio.
Nel complesso stadio fatto male, tribune distanti e con
vetri divisori sostanzialmente inutili.
Siena
Un obbrobrio.
Il problema è che le varie tribune prefabbricate non sono
state integrate in una struttura coerente, bensì aggiunte a caso.
Un pezzo qua e un pezzetto là.
La curva di casa vicina al campo, l’altra distante. Bah.
Torino
Per essere di recente ristrutturazione forse si poteva fare
un po’ meglio.
Non capisco le curve così distanti con venti metri buoni di
prato a distanziarle dal campo di gioco.
Paradossalmente le foto del vecchio Comunale pieno (stadio
sul quale è stato rifatto ex novo l’Olimpico) in un derby qualunque, mi
comunicano un senso di “pericolosità” che nella piattezza dell’Olimpico attuale
sarà difficile ritrovare.
Altri tempi.
Udinese
Anche i Pozzo han capito che il “Friuli” non andava bene per
una realtà come Udine, dove è vero che la squadra va bene da anni, però lo stadio
da 40.000 posti lo riempi tre volte all’anno se va bene.
Tra poco dovrebbero partire i lavori per metterci le mani,
ridurre un po’ la capienza e avvicinare le tribune.
Possibile che nessuno ci avesse pensato in fase di
progettazione?
mercoledì 7 novembre 2012
NORTHERN UPROAR - TRATTORIA ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 3/11/2012
E' autunno inoltrato e i concerti estivi hanno lasciato posto da un mesetto abbondante ai live al chiuso.
Nello specifico questo dei Northern Uproar si tiene presso la Trattoria Altroquando di Zero Branco, ambiente raccolto e casalingo nel bel mezzo delle provincie di Treviso, Padova e Venezia.
Chi si ricorda della band mancuniana?
Beh probabilmente qualche fan del Britpop minore anni novanta; fecero uscire un paio di album notevoli sulla scia dei primi Oasis proprio nella seconda metà dei 90's e poi sparirono nel nulla.
Peccato.
Succede spesso nel Regno Unito, dove band apprezzabili durano l'arco di un paio d'anni e poi vengono inghiottiti dallo stesso sistema che aveva provveduto a darli un minimo di notorietà.
Cambiano le mode di stagione e arrivano altre band che faranno esattamente lo stesso percorso dei Northern Uproar.
Ad ogni modo nel 2007 i nostri si riformarono e pubblicarono un nuovo disco passato sotto silenzio praticamente ovunque; da allora sono attivi in maniera sporadica con qualche live all'anno come qualsiasi band da cantina insegna.
La serata alla Trattoria Altroquando me l'ero segnata sul taccuino da un bel pezzo e non volevo perdermela per nessuna ragione.
Tre date italiane in acustico per gli inglesi, un mini tour decisamente di culto, con la band ridotta a un duo che alle 23.30 prende in mano le chitarre acustiche e per mezz'ora buona intona canzoni in cui risaltano a pieno melodie brit spolpate dall'elettricità dei dischi.
Il cantante ha la stazza più del magazziniere che del cantante rock: capelli corti, un bel pò di chili sovrappeso, abiti informali e un paio di adidas ai piedi.
Odio lo stereotipo di musicista rock tutto capelli lunghi/tatuaggi e i Northern Uproar sembrano rispondere a questa mia esigenza.
Non gliene frega nulla di apparire per quello che non sono: sono solamente due lads inglesi che pigliano la chitarra e cantano una decina di canzoni che parlano di vita di periferia e aspettative.
Che poi lo sappiano fare ancora particolarmente bene e che le canzoni suonino splendidamente a quindici anni di distanza, beh, questo non fa altro che aggiungere un bel pò di rimpianto per quello che poteva essere e non è stato.
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