Avevo un po’ perso di vista i Tre Allegri Ragazzi Morti
negli ultimi anni; nel mio percorso di appassionato a certi suoni è capitato, e
capita ancora, che fasi della vita siano caratterizzate dall’ossessione verso
determinate band.
Dai quindici ai vent’anni una delle band per me più
importanti furono proprio i Tre Allegri Ragazzi Morti.
Sembra il solito discorso che poi cresci, maturi e cambi
ascolti; in realtà è andata che certe tematiche adolescenziali ad un certo
punto mi sembravano un po’ stagnanti e da “film”.
Capita.
Probabilmente era necessaria una fase di allontanamento per
poi poter osservare il quadro nel suo insieme più ampio, da esterno se
vogliamo, perché se è vero che la tematica portante del gruppo pordenonese è l’adolescenza e i suoi risvolti, è anche
vero che la mia, almeno anagraficamente, è finita da qualche anno.
Allora le tematiche si riescono a guardare sotto un’altra
stella, in grado di comprendere e decifrare il tutto sotto un ottica quasi
sociologica se vogliamo: Tre Allegri Ragazzi Morti, una band, un immaginario
forte che resiste negli anni, un gruppo non identificabile in maniera ortodossa
con un genere perché inventori a loro modo di un qualcosa.
Dal vivo è da parecchi anni che non li vedo, mentre un
ascolto ai due album usciti nella seconda metà degli anni 2000 cercavo sempre
il modo di darlo, per una sorta di affetto verso la band.
Comunque siamo nel 2012 e i Tarm sono pronti a dare alle
stampe il settimo disco in diciotto anni di carriera.
La serata del Vinile viene promulgata via manifesti e social
network come un secret show con capienza limitata a 150 ingressi, una sorta di
prova generale dove ascoltare in anteprima i brani del nuovo disco “Il giardino
dei fantasmi” prima di intraprendere il tour promozionale vero e proprio.
Mi piace l’idea di organizzare un concerto in un giorno ai
più insignificante come il giovedì; in città funziona così, non tutti gli
eventi sono dipendenti dal venerdì e dal sabato.
Ovvio che però i concerti dovrebbero iniziare e finire ad
un’ora umana: solo così avrebbero senso i concerti infrasettimanali.
Al Vinile l’atmosfera è attenta e curiosa e alle 23.00 la
band sale sul palchetto del locale.
Partono con “Puoi dirlo a tutti”, brano tratto dal loro
ultimo disco “Primitivi del futuro”,disco che ha segnato una virata stilistica
verso ritmiche di stampo reggae.
Anche i brani del nuovo disco, ad un primo ascolto, sembrano
mantenere un impronta lenta e in levare, con basso tondo e batteria che sembrano
usciti da un disco dub.
Canzoni non molto immediate e sicuramente distanti anni luce
dalle prime cose del gruppo, canzoni che magari richiederanno più di un ascolto
su disco per essere apprezzate in maniera compiuta.
Dopo un’oretta dedicata al nuovo album, parte la scaletta
che ripercorre i pezzi noti della band, intramezzata da qualche chicca (tipo
“Un altro inverno a Pordenone”) che riscuotono l’entusiasmo dei presenti.
Uno show bello pieno di due ore e alle 01.00 precise il
concerto termina, esco per primo dal Vinile e inizia a piovere. La statale è
deserta.
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