mercoledì 14 novembre 2012

STADI D'ITALIA



Un commento per ogni stadio di Serie A.

Atalanta
Non male. Stadio inserito nel contesto cittadino, altrove magari lo avrebbero già sostituito velocemente costruendo un bel 40.000 posti vicino allo svincolo della tangenziale, come capita a molte cattedrali nel deserto.
Ad ogni modo, per migliorarlo ulteriormente, io toglierei i vetri divisori con gli spalti (come  succede nei paesi civili) e oserei con togliere le panchine e inserirle nella parte inferiore della tribuna centrale, come l’esempio dello “Juventus Stadium” insegna.

Bologna
Pur avendo la pista e pur avendo 35.000 posti a sedere di cui almeno 5.000 inutili, è uno stadio con il suo fascino architettonico.
Saranno gli archi esterni e la torre centrale, non so, comunque ha un suo perché.

Cagliari
Dopo il giusto abbandono dello sconcio Sant’Elia (con le tribune davanti prefabbricate davanti a quelle precedenti, robe da Italia) attendo di capire meglio com’è questo “Is Arenas”.
Dalle foto e dalle prime gare disputate non sembra male,seppur limitante nella sua struttura “in tubi”.
Vedremo.

Catania
Non mi è mai piaciuto particolarmente il “Massimino”. Diciamo che mi appare confusionario, e la rete da pescatore posta a protezione del settore ospiti non aiuta certo ad elevare Catania come nuova capitale del buon gusto.
La pista penalizza un po’ tutto l’insieme, che non sarebbe male con le tribune circolari, ma che comunque risultano parecchio distanti dal campo.

Chievo 
Ristrutturato per Italia ‘90, appare tutto sommato di un’altra sostanza rispetto ad altri scempi dell’epoca.
Forse un po’ troppo grande per Verona, tralasciando il Chievo che potrebbe giocare anche al Patronato (parlo proprio dell’Hellas, anche se numeri importanti i butei li fanno sempre), forse l’anello più elevato risulta di troppo.

Fiorentina
Il Franchi soffre un po’ la forma da “Circo Massimo” e con una forma rettangolare sicuramente le curve ci avrebbero guadagnato non poco.
Appello per togliere i vetri divisori, inutili e scomodi.

Genoa - Sampdoria
Marassi sale sicuramente sul podio dei primi tre per struttura e ambiente.
Forse l’unico difettuccio sta nella continuazione delle tribune centrali cinque/sei metri oltre la bandierina del calcio d’angolo.

Inter – Milan
San Siro è sempre San Siro.
Storia e grandezza. Negli ultimi tempi parecchi vuoti non belli da vedere (certo che le Società milanesi avrebbero il dovere morale di abbassare il prezzo dei biglietti) e quelle impalcature, che non capisco bene a cosa servono, poste tra il primo e il secondo anello delle curve.

Juventus
Qua non c’è nulla fuori posto: capienza giusta, vetri divisori non presenti, vicinanza degli spalti.
Speriamo che questo stadio rappresenti l’inizio di nuova era che si contraddistingua per la serietà e lo studio dei progetti, quando in Italia si è sempre storicamente agito al contrario in ambito stadi.

Lazio - Roma
L’Olimpico ha la pista, è vero, però non significa non sia uno stadio fascinoso, che se pieno risulta sicuramente di grande effetto.

Napoli
Mi sembra un po’ invecchiato il San Paolo.
Stadio di fascino, certo, però la pista forse appare veramente di troppo.

Palermo
Anche qua la forma “Circo Massimo” penalizza le curve.

Parma
Un bel stadio il “Tardini”, su misura per una realtà come Parma.
Da prendere come esempio per le realtà con un bacino d’utenza simile.

Pescara
La pista azzurra è un pugno sull’occhio.
Nel complesso stadio fatto male, tribune distanti e con vetri divisori sostanzialmente inutili.

Siena
Un obbrobrio.
Il problema è che le varie tribune prefabbricate non sono state integrate in una struttura coerente, bensì aggiunte a caso.
Un pezzo qua e un pezzetto là.
La curva di casa vicina al campo, l’altra distante. Bah.

Torino
Per essere di recente ristrutturazione forse si poteva fare un po’ meglio.
Non capisco le curve così distanti con venti metri buoni di prato a distanziarle dal campo di gioco.
Paradossalmente le foto del vecchio Comunale pieno (stadio sul quale è stato rifatto ex novo l’Olimpico) in un derby qualunque, mi comunicano un senso di “pericolosità” che nella piattezza dell’Olimpico attuale sarà difficile ritrovare.
Altri tempi.

Udinese
Anche i Pozzo han capito che il “Friuli” non andava bene per una realtà come Udine, dove è vero che la squadra va bene da anni, però lo stadio da 40.000 posti lo riempi tre volte all’anno se va bene.
Tra poco dovrebbero partire i lavori per metterci le mani, ridurre un po’ la capienza e avvicinare le tribune.
Possibile che nessuno ci avesse pensato in fase di progettazione?

mercoledì 7 novembre 2012

NORTHERN UPROAR - TRATTORIA ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 3/11/2012



E' autunno inoltrato e i concerti estivi hanno lasciato posto da un mesetto abbondante ai live al chiuso.
Nello specifico questo dei Northern Uproar si tiene presso la Trattoria Altroquando di Zero Branco, ambiente raccolto e casalingo nel bel mezzo delle provincie di Treviso, Padova e Venezia.
Chi si ricorda della band mancuniana?
Beh probabilmente qualche fan del Britpop minore anni novanta; fecero uscire un paio di album notevoli sulla scia dei primi Oasis proprio nella seconda metà dei 90's e poi sparirono nel nulla.
Peccato.
Succede spesso nel Regno Unito, dove band apprezzabili durano l'arco di un paio d'anni e poi vengono inghiottiti dallo stesso sistema che aveva provveduto a darli un minimo di notorietà.
Cambiano le mode di stagione e arrivano altre band che faranno esattamente lo stesso percorso dei Northern Uproar.
Ad ogni modo nel 2007 i nostri si riformarono e pubblicarono un nuovo disco passato sotto silenzio praticamente ovunque; da allora sono attivi in maniera sporadica con qualche live all'anno come qualsiasi band da cantina insegna.
La serata alla Trattoria Altroquando me l'ero segnata sul taccuino da un bel pezzo e non volevo perdermela per nessuna ragione.
Tre date italiane in acustico per gli inglesi, un mini tour decisamente di culto, con la band ridotta a un duo che alle 23.30 prende in mano le chitarre acustiche e per mezz'ora buona intona canzoni in cui risaltano a pieno melodie brit spolpate dall'elettricità dei dischi.
Il cantante ha la stazza più del magazziniere che del cantante rock: capelli corti, un bel pò di chili sovrappeso, abiti informali e un paio di adidas ai piedi.
Odio lo stereotipo di musicista rock tutto capelli lunghi/tatuaggi e i Northern Uproar sembrano rispondere a questa mia esigenza.
Non gliene frega nulla di apparire per quello che non sono: sono solamente due lads inglesi che pigliano la chitarra e cantano una decina di canzoni che parlano di vita di periferia e aspettative.
Che poi lo sappiano fare ancora particolarmente bene e che le canzoni suonino splendidamente a quindici anni di distanza, beh, questo non fa altro che aggiungere un bel pò di rimpianto per quello che poteva essere e non è stato.

mercoledì 19 settembre 2012

ASOLO FREE MUSIC FESTIVAL – VENERDI 14 SETEMBRE - 2012


La serata di venerdì dell’Asolo Free Music Festival si colloca a chiusura di una primavera/estate che dal punto di vista concertistico mi hanno dato molte soddisfazioni.

C’ero già stato lo scorso anno ad Asolo per gli Skatalites e già allora mi sorgevano spontanee alcune considerazioni, del tipo: come fanno questi ragazzi a permettersi di organizzare un festival che ogni anno riserva in programma bei nomi, non facendo sborsare un euro al pubblico?

Siamo fortunati ad avere ancora situazioni tipo l’Asolo Free Festival ad ingresso gratuito, con la possibilità di trascorrere un paio d’ore al top.

Location importante e livello qualitativo sempre medio alto.

Poi, personalmente, sono contro la totale gratuità; o meglio, sarei a favore, ma a determinate condizioni che denotino un minimo di coscienza da parte del pubblico.

Sei consapevole dello sforzo organizzativo fatto per darti la possibilità di entrare gratis?

E allora spendili qualche euro al bancone delle birre.

Ti piace il gruppo? Allora prenditi il cd o la maglietta.

Cose del tipo portarsi le birre da casa ad un concerto gratuito sono mosse da avvoltoi, poi se le cose andranno male ci rimetterà chi è realmente interessato a questi eventi.

Detto questo, il primo gruppo che mi becco sono i Jennifer Gentle con un paio di membri dei Verdena: la serata non inizia sotto ai migliori auspici, per il sottoscritto, se per un’ora mi tocca sorbirmi canzoni in cui non trovo nessun motivo perché mi piacciano almeno un po’.

Mi sembra che sotto il palco ci siano ragazzine più interessate al fatto di trovarsi davanti qualcuno dei Verdena piuttosto che altro; addirittura una tipa che avrà vent’anni sale sul palco dal retro e si agita tutta con i soliti gesti da ragazzina perché emozionatissima di stare vicina ad uno dei Verdena.

“Cioè, non ci posso credere, è stupendo, cioè”.

L’ambiente è organizzato con due palchi: uno di grandi dimensioni ed uno che ricolloca il tutto ad una dimensione umana che apprezzo, tipo palco da club.

I Vindicators si esibiscono proprio sul secondo palco e danno vita ad un’esibizione davvero coinvolgente.

Riformatasi da poco, la band bassanese nacque nella seconda metà degli anni ’80 dopo l’esperienza dei Frigidaire Tango.

Probabile che dopo gli anni del grande gelo con i Frigidaire Tango i ragazzi volessero solo divertirsi un po’ suonando un rock’n’roll da party band.

E lo fanno molto bene: età media intorno ai cinquant’anni, zero paranoie, pezzi in rapida successione, energia e divertimento.

Il pubblico apprezza l’intensità del sestetto, un crescendo che ha il suo culmine nella parte finale del loro set dove i freni inibitori si sciolgono definitivamente sopra e sotto il palco.

La parte finale della serata è affidata a Pete Best e al gruppo che lo accompagna:

una band onesta, da pub, da ascoltarsi preferibilmente un venerdì sera d’autunno/inverno in un Irish Pub di provincia.

Rock’n’roll di prima mano, quello suonato dai Beatles nelle serate trascorse nei bassifondi di Amburgo, per sbarcare il lunario ed accumulare esperienza.

Sulla vicenda di Pete Best sono state scritte migliaia di parole; posso solo dire che bisogna essere bravi ad incassare il colpo di un allontanamento da una band, che poi sarebbe diventata la più famosa al mondo, un attimo prima che esploda.

Il buon Pete probabilmente se n’è fatto una ragione anni orsono; la storia sa essere crudele e richiede pure i suoi personaggi minori.


venerdì 7 settembre 2012

I GIORNI DELLA VENDEMMIA


“I giorni della vendemmia” rappresenta l’esordio in cabina di regia per il ventiseienne emiliano Marco Righi, che si presente al pubblico con un film dalla sceneggiatura decisamente affascinante.

Siamo nella campagna reggiana e l’anno è il 1984.

Il film ruota attorno ad una normale famiglia, composta da madre cattolica, padre socialista e figlio diciassettenne, Elia, un tranquillo ragazzo “di campagna”.

Già con queste caratteristiche Righi riesce a tratteggiare un preciso contesto sociale, nello specifico le due anime dell’Emilia di quegli anni, quella socialista e quella cattolica, entrambe molto presenti ed organizzate nel territorio.

Il ragazzo, Elia, viene rappresentato a metà tra due tendenze: da una parte la voglia di novità e di avventura, dall’altra una mentalità semplice, quasi “ingenua” nel senso positivo del termine, legata al territorio e ai ritmi lenti e pacifici della campagna.

Settembre è il mese di vendemmia, e per la raccolta dell’uva verrà a dar man forte alla famiglia una ragazza, Emilia (presumo intorno ai venticinque anni, nel film non viene mai specificata l’età se non che sta realizzando la tesi di laurea), molto libertina nei modi, che sconquasserà un po’ la vita di Elia.

Ad un contesto che personalmente trovo molto indicato per la sceneggiatura di un film ( e tuttavia non da molti utilizzato nel panorama italiano, se non solamente da Pupi Avati), va aggiunta, come punto di forza del film, la cura dei particolari.

La figura di Pier Vittorio Tondelli (la frase in apertura, “Altri Libertini” sul comodino del protagonista) e l’immersione stilistica nel bel mezzo degli anni ’80 appaiono sicuramente come ben riusciti.

A questi, però, vanno contrapposti quelli che ho trovato essere i punti deboli della pellicola.

Un’eccessiva lentezza nella parte iniziale (non sopperita, peraltro, dalla qualità dei dialoghi, decisamente basilari) e una staticità generale che poche volte viene interrotta.

Inoltre trovo che un maggior approfondimento di alcuni personaggi, come il padre oppure il ritorno estemporaneo del fratello maggiore, avrebbero sicuramente fatto bene all’insieme.

Nel complesso, comunque, non c’è motivo di essere eccessivamente critici: è il primo lavoro di un giovane regista ed è assolutamente giusto concentrarsi sul bicchiere mezzo pieno e su quanto di positivo emerge dal tutto.


sabato 1 settembre 2012

LE MAGLIE DELLA SERIE A - 2012/13


Nuova stagione e nuove divise da gioco, andiamo a vederle nel dettaglio.

Atalanta: decisamente brutta, con tre strisce verticali davvero troppo larghe e quadrato dello sponsor principale che occupa molto spazio. Nella parte superiore stemma sociale posto al centro, scelta che giudico sempre negativamente, dato che dovrebbe stare a sinistra come tradizione vuole, però, guarda caso, a sinistra c’è posto per un altro quadratino con lo sponsor.

Bologna: strisce larghe, assenza di colletto e doppio sponsor centrale non possono che far pendere il giudizio verso l’insufficienza.
Di solito è difficile che la Macron faccia robe carine, non so neanche perché continui ad avere lavoro visto che la qualità estetica non è certo tra i punti cardine dell’azienda, ma forse delle cose fatte bene non frega più a nessuno.

Cagliari: senza colletto, al limite, va bene la muta da subacqueo, a casa mia. Per il resto una maglia abbastanza inutile, di cui nessuna sentirà la mancanza quando verrà rimpiazzata.

Catania: sembra una di quelle maglie che compri in stock per la squadra giovanile del tuo paese o per fare la squadra di calcetto al torneo della polenta.

Chievo: vedi Catania

Fiorentina: davvero brutta. Sponsor principale con troppa visibilità, stemma sociale al centro..forse è meglio che la Joma torni al “dorato” mondo del calcio a 5.

Genoa: entra nel podio come tra le più belle. Metà rossa e metà blu, stemma sociale a sinistra, sponsor tecnico a destra e pochi cazzi.
Non bisogna aver fatto un patto con Dio per concepire una maglia decente.

Inter: una delle poche maglie oramai classiche di questi anni 2000. Difficilmente cambia stile, e questo è un bene.
Essenziale e con uno sponsor che con la trovata della P lunga è di per sé una bella cosa da vedere.

Juventus: le scrittine sulle maglie tipo “30 sul campo” non mi piacciono per nulla.
Brutto il riquadro nero con lo sponsor della Jeep e brutto lo scudetto al centro.
Lo scudetto va in alto a sinistra con sopra le due stelline.

Lazio: lo scorso anno aveva la maglia più bella della serie A, quest’anno compie dei notevoli passi indietro, passando dalla Puma alla Macron che disegna un autentico obbrobrio.
Marca dello sponsor tecnico e simbolo sociale posti entrambi nella parte centrale superiore, come se si equivalessero.

Milan: con quel collettone bianco puoi andare al massimo in discoteca a Cervia nel 1998. Per il resto non sarebbe neanche male, a parte la modesta scritta “Il club..”.

Napoli: doppio sponsor centrale, il giudizio è negativo. Qualcuno li avvisi che ce ne sta un altro, volendo.

Palermo: con i colori sociali che si ritrova è difficile fare qualcosa di carino, visto che la maglia rosa se la mettono i peggiori truzzi del quartieri.
Però nel complesso è fatta bene, essenziale e classica.

Parma: nera con la croce bianca, maglie del genere sono sempre impegnative perché molto appariscenti.
Comunque non male, stemma e sponsor tecnico al loro posto quindi ok.

Pescara: togliessero l’inutile sponsor posto tra stemma sociale e sponsor tecnico, mettessero un azzurro un po’ più decente, lascassero le strisce pure sulle maniche, con i se non si va da nessuna parte.

Roma: È la maglia della Wind o della Roma?
No perché lo spazio dato allo sponsor sembra davvero spropositato. Brutta.

Sampdoria: qua, a differenza di quanto dicevo per il Palermo, i colori sociali aiutano già di per sé a creare un’ottima maglietta.
Questa però è priva di colletto, ha la scritta “Kappa” quasi su una spalla (le abbiamo viste davvero tutte) e inoltre ha uno sponsor che, è proprio il caso di dire, sporca la maglia, nel senso dispregiativo del termine.

Siena: una maglia così non la prenderei neanche al mercatino dell’usato a 3 euro. La Kappa fa disegnare le proprie maglie agli stagisti?

Torino: una delle peggiori. Colletto non pervenuto, scritta kappa sulla spalla, aderentissima e tocco finale la scritta “Aruba.it” sotto lo sponsor tecnico.

Udinese: quest’anno la situazione sembra essere un minimo migliorata dopo stagioni inguardabili (sotto il profilo della maglia).
Se si alzasse lo stemma sociale, si spostasse la scritta Legea al suo posto (cioè a sinistra) e si riducesse la larghezza della strisce sarebbe decente. Così non la regalerei mai all’ipotetico cugino da Udine.

venerdì 24 agosto 2012

PIER VITTORIO TONDELLI - RIMINI


L'ho letto proprio a Rimini questo libro.
Ho fatto apposta ad acquistarlo pochi giorni prima di partire in vacanza per la riviera romagnola; era anche un'occasione per leggere qualcosa di Tondelli, un'autore il cui nome mi ero segnato sull'agenda personale come "da provare".
Che dire? Aspettative sicuramente ripagate per quello che è davvero un libro molto ben riuscito, con una scrittura semplice, mai banale e mai noiosa.
Un libro che ti tiene incollato alla pagine, a voler saper come andrà a finire per me è il massimo, non credete?
Cosa cercate da un libro? Io cerco una storia, delle storie, in grado di catalizzare la mia attenzione, di farmi un'attimo viaggiare con la mente.
Missione compiuta Rimini.
Peccato che non sia stata realizzata la versione cinematografica del libro.
Si legge in giro che qualche offerta in merito fu proposta a PierVittorio Tondelli, però non se ne fece niente.

domenica 19 agosto 2012

STATUTO - SELECTER @ FESTIVAL RADIO ONDA D'URTO - BRESCIA - 14/08/2012


Arrivo presto in quel di Brescia, intorno alle 19.30.
Parcheggio lungo la strada e attraverso una zona industriale deserta in cui l'unico motivo d'interesse è dato da una ferrovia sopraelevata non utilizzata; ci sarebbe anche una fermata fantasma non aperta, il che rende molto affascinante il tutto e mi fa immaginare che sarebbe bello venire da Cittadella in treno e scendere alla stazione a pochi passi dal Festival.
Avviandomi verso l'entrata noto che l'ingresso è gratuito; strano, penso.
Il concerto veniva segnalato ovunque con ingresso a 8 euro (prezzo onesto).
Così scopro che se arrivi prima delle 20.00 non paghi l'ingresso, mossa decisamente insolita per un concerto.
I miei sensi di colpa per non aver pagato vengono collimati dalla cena a base di panino salamina/patatine fritte e birra che almeno fa si che qualche euro al festival lo dia.
Il festival si svolge in un parcheggio di sassi, forse la location più brutta che abbia visto per un concerto; in confronto al festival di Radio Sherwood sembra di essere in una reggia, e rispetto a quest’ultimo si respira un’aria più “militante”, con tantissimi striscioni scritti a bomboletta pieni della classica iconografia da centro sociale del tipo “No Tav” e altra slogan.
Alle 21.00 salgono sul palco gli Statuto e mi piazzo nelle prime file, sperando che non arrivi il solito gigante che mi ritrovo sempre davanti ai concerti.
Non c’è molta gente, è davvero presto, però con calma l’area si riempie lungo l’esibizione del gruppo torinese.
Gli Statuto sono un gruppo abbastanza unico nel loro genere: un gruppo mod, che nel corso della propria carriera ha toccato varie fasi, dagli inizi underground, al festival di Sanremo del 1991, al ritorno ad una dimensione specifica ma neanche troppo, visto che comunque i loro dischi escono ancora per la Sony.
In quarantacinque minuti di esibizione suonano bene o male tutti i loro classici, anche se con qualche dimenticanza (vedi “Pazzo” o “Ghetto” che, secondo me, non dovrebbero mai mancare in un concerto degli Statuto).
Da notare il ritorno in versione live di un sassofono e di una tastiera che contribuiscono a dare al suono una maggiore fedeltà alla versione studio delle canzoni; l’ultima volta che ebbi modo di vederli, infatti,la line up non prevedeva altro che chitarra/basso/batteria, con le canzoni che assumevano dei contorni più grezzi e quasi punk rock.
Terminano con la cover di One Step Beyond italianizzata (Un passo avanti) e preparano degnamente l’ambiente all’arrivo dei Selecter.
Gli inglesi sono in otto: quattro bianchi e quattro neri, a voler sottolineare il concetto di “melting pot” che da sempre ha accompagnato la band e più in generale il discorso che portava avanti la Two Tone Records, di cui i Selecter furono uno dei gruppi di punta.
Suonano davvero bene i Selecter, con classe, stile ed energia, e le canzoni hanno tutte una resa pregevole.
Pauline Black balla e canta con una vitalità che colpisce; dico alla mia ragazza che la vedrei bene come barista.
Mi piacerebbe arrivare al bar di mattina e farmi servire Brioche alla crema e caffè da Pauline Black.
“Buongiorno”, “Buongiorno”, “Prende il solito?”, “Si, grazie”.
I pezzi forti ci sono tutti: “On my Radio”, “Missing Words”, “Time Hard”.
Su “Murder” io urlo “Merda” come faccio ogni volta che la ascolto in macchina; poco distante da me vedo dei ragazzi che continuano a ridere, forse anche loro la interpretano come me.
Il bis è affidato ad una lunga versione di “Too Much Pressure”, al cui interno si inserisce qualche verso di “Pressure Drop”.
Un bel concerto, davvero.
Vado in cerca del merchandising dei Selecter ma non lo trovo.
Poi usciamo e chiedo al nero che sta all’entrata se posso prendere il manifesto del concerto.
Lui ci dice di seguire i suoi colleghi che stanno andando non so dove, forse nello sgabuzzino in cui sono custoditi migliaia di manifesti da regalare ai fans devoti, penso io.
Dopo un po’ ci rompiamo il cazzo di seguirli e torniamo all’uscita ma il manifesto è sparito.
La gentilezza non paga.