giovedì 25 luglio 2024

AMERICANI STRACCI: NOSTALGIE SU PELLICOLA E SCONTRI GENERAZIONALI


Dal Mel's Drive in di Modesto dove si ritrova la ghenga di American Graffiti alla Malibù di Big Wednesday sono circa cinque ore di macchina. La prima sta in area San Francisco, la seconda Los Angeles. Una specie di derby cinematografico giocato nel 1962, Young Americans in tarda adolescenza che hanno appena scoperto il rock'n'roll (genere che ha solamente sette anni di vita) e che però, questo poi il minimo comune denominatore, sembrano già pronti a prendere posto nella vita matura, quella seria. Non tutti, ma una parte di loro si. Questo è l'elemento nostalgico che si riscontra, l'adolescenza raccontata prima che arrivi un Vietnam qualsiasi come in Big Wednesday o l'università (pardon, il College) come nel caso di American Graffiti. Sono dei film quindi in qualche maniera legati alla linearità del sistema, gioventù e maturità, mettere la testa a partito. Interessante questo punto nell'epoca post post odierna, dove l'adolescenza non finisce mai e a sessant'anni si è ancora giovani. Interessante pure la parabola del rock'n'roll originario, da genere deviante, non eseguito però con consapevolezza deviante (Elvis era pur sempre legato alla mamma e ad una visione certamente non progressista), a genere che segue in qualche maniera l'età dei suoi adepti che dopo qualche anno di baldoria devono prendere posto nella società reale.
C'è un altro bel film a proposito, Elvis & Nixon, dove in qualche maniera Elvis si propone al Presidente come infiltrato nel movimento contro culturale dell'epoca (siamo in piena contestazione giovanile) sfruttando la sua immagine e popolarità. Il problema è che ai ragazzi del 1968 frega gran poco di Elvis ma anche dei Beach Boys, per dire. Sono su altri lidi, Doors, Jefferson Airplane, etc.
Un altro esempio della distanza che intercorre tra le due generazioni è nella scena di Big Wednesday ambientata nel 1968 in cui il bar in cui erano soliti trovarsi i ragazzi protagonisti (il film è ambientato in quattro stagioni, 1962, 1965, 1968 e 1974) ha cambiato gestione ed è in pieno trip hippie: "Non sono tuo fratello, abbassa la musica". Anche se forse l'apogeo sul tema la possiamo trovare su "Nato il 4 luglio", con il cambiamento di prospettiva che porta la partecipazione alla guerra in Vietnam in un giovane americano tradizionalista e conservatore. Come dire, il rock'n'roll va alla guerra e torna flashato perdendo l'innocenza.

venerdì 1 marzo 2024

GUANTI DA PORTIERE ANNI '80





 


Fondamentalmente erano due i marchi dei guanti usati dai portieri negli anni '80 e '90: Reusch e UhlSport.
UhlSport fu fondata nel 1948 a Balingen (zona Stoccarda), mentre la Reusch nel 1934 a Bolzano.
Quest'ultima solitamente esce con due collezioni: "Goalkeeper" (guanti da portiere) e Winter (Sci Alpino, Snowboard). La Uhlsport, invece, esce solo con la collezione dedicata ai portieri.
L'ultimo Dino Zoff indossava Uhlsport, come Walter Zenga, Tacconi, Garella; tra gli attuali citiamo Maignan.
Per la Reusch abbiamo Giovanni Galli, Fabrizio Lorieri, Taffarel. Buffon esordì nel 1995 con un paio di guanti Reusch.

martedì 27 febbraio 2024

THE OLD OAK / KEN LOACH


"The Old Oak", il nuovo film di Ken Loach uscito nelle sale a novembre, sembrerebbe essere un aggiornamento di prospettiva che collega le lotte dei minatori inglesi periodo 1984/85, quantomeno il loro contesto ed alcuni dei suoi partecipanti, all'arrivo nel 2016 in una cittadina della Contea di Durham, poco a sud di Newcastle, di un gruppo di rifugiati siriani.

Questo fatto porterà presto all'emergere nei locals di due diverse posizioni in merito: da una parte solidarietà nel nome di principi, diciamo così, "internazionalisti", dall'altra chiusura verso il "diverso".

Ken Loach rivolge quindi la sua macchina da presa verso i nuovi problemi del quotidiano, come del resto ha sempre fatto nel suo percorso cinematografico ultra cinquantennale. Una lucida visione che prende in considerazione diversi punti di vista, diverse angolazioni. In questo caso si parte da un contesto sociale inglesissimo e già abbastanza depresso economicamente e socialmente, con un senso di vuoto lasciato dalla chiusura delle principali fonti di reddito locale, le miniere, e gli effetti visibili che questo ha lasciato sul territorio. Nel mezzo la storia di uno storico pub locale, “The Old Oak” appunto, del suo gestore e dell'amicizia con una ragazza siriana: quindi abbiamo il pub, simbolo totale di tradizionalismo, che si apre ad una inedita forma di solidarietà organizzando nella saletta nel retro dei pranzi misti tra le due popolazioni. Proprio quella saletta che fungeva da supporto logistico alla lotta dei minatori trent’anni prima. Questo ad alcuni degli avventori piacerà, ad altri no. Non spoilero oltre. Nella mia colonna sonora immaginaria (a proposito, non c'è praticamente mai musica in tutto il film) avrei visto bene pezzi dei Redskins, dei Jam, degli Specials ma anche degli Streets o dei Sleaford Mods: non ci sono ma avrebbero decisamente aggiunto ulteriore valore alle immagini.

Non è la prima volta che Ken Loach affronta l'argomento minatori: già nel 1984 e quindi in diretta, lo fece con il documentario "Which side are you on?". Lo sciopero dei minatori britannici ebbe una durata di circa un anno, da marzo 1984 a marzo 1985, una reazione alla decisione del governo Thatcher di chiudere diversi siti estrattivi e la conseguente perdita di molti posti di lavoro (parliamo di 20000 lavoratori da riqualificare). Un tema che andrebbe sviscerato approfonditamente in altra sede considerando un contesto sociale “public addicted” come quello britannico dell’epoca, la trasformazione o addirittura l’esaurimento minerario di settori non più chiave ma anche ovviamente la difficoltà di reinserimento lavorativo di intere zone produttive e delle famiglie ad esse associate.

Lo sciopero ricevette l’attenzione e il supporto di alcune bands: tutte le canzoni dei Redskins di quel periodo sembrano un’istantanea del momento.

Paul Weller si mobilitò con la creazione del "Council Collective" ai primi di dicembre del 1984 allo scopo di organizzare iniziative e concerti a favore dei minatori. Il collettivo realizzò un 12", "Soul Deep": “L’obiettivo era di raccogliere fondi per i minatori in sciopero e le loro famiglie prima di Natale, ma ovviamente alla luce del tragico e disgustoso evento nel sud del Galles con l’omicidio di un autista di Cab, alcuni dei fondi andranno anche alla vedova dell’uomo. Sosteniamo lo sciopero dei minatori, ma non la violenza. Non aiuta nessuno e crea solo ulteriori divisioni tra le persone. Se i minatori perdono lo sciopero, le conseguenze saranno avvertite da tutte le classi lavoratrici. Ecco perché è così importante sostenerli. Ma la violenza porterà solo alla sconfitta – come tutte le violenze alla fine”. In qualche modo un’iniziativa esemplificativa della stranezza (direi pure grandezza) degli Style Council: a “Top of the Pops” in ghingheri con un pezzo disco funk, le luci stroboscopiche e con un testo che dice: “Ci sono persone che lottano per loro comunità, non dire che questa lotta non ti coinvolge, se appartieni alla classe operaia questa è anche la tua lotta”. Gli Style Council amavano spiazzare, tutto il loro percorso vive di questi contrasti.

“Council Collective” che sarà in qualche modo preludio a quello che avvenne nel gennaio del 1986, a sciopero ormai concluso, con la creazione del "Red Wedge" da parte di Weller, Billy Bragg e Jimmy Sommerville post Bronski Beat: altro collettivo aperto con organizzazione di concerti (Housemartins, Big Country, Beat, Angelic Upstarts e molti altri tra i partecipanti) ed iniziative in chiave anti Thatcher in vista delle elezioni del 1987 (vinte dalla Lady di Ferro).


sabato 7 ottobre 2023

DAI TEMPI DI WOKING


Tu hai sempre voluto essere Paul Weller, sin dai tempi di Woking, ricordi? Papà faceva il pugile da ragazzo, ex pugile, taxi driver, muratore, Stanley Road, si proprio quella, mamma la donna delle pulizie. I primi tempi con papà a Londra in furgone, fuori esplode il primo punk, tu e gli altri due in giacca e cravatta, Who, Kinks, Small Faces, Soul, R&B. Tu sei sempre stato Paul Weller, non c'era un mestiere di scorta, che mestiere poi? A 19 anni il primo disco, a 21 "When you're young", a 25 ti senti già stanco di tutto, stanco di stare al primo posto, vuoi cambiare, metti in piedi un'altro progetto e attraversi gli anni ottanta. Stasera sei a Jesolo, sembra di stare a Margate, Blackpool, si insomma quelle località. La stagione è finita, gli ultimi negozi che vendono fuffa stanno abbassando le serrande, il cielo sopra il mare è pieno di nuvoloni. Si è vero, con i Jam sembrava quasi facessi un elegia di quei posti, poi però hai scoperto che per le vacanze era meglio l'Italia e la Spagna, il sole, la vita rilassata mediterranea. Parigi negli anni 80, Cafè Bleu, ti ricordi? Altro che pub inglesi, avevi voglia di cambiare, di cose nuove, di vitalità positivista e colorata. La sala dove suoni sembra una di quelle dove organizzano "la grande mostra marina", o qualcosa del genere, però il concerto fila via che è un piacere, ti senti in forma e vuoi dare dignità anche alle ultime cose che hai fatto, Paul Weller non è solo "quello dei Jam", bisogna guardare avanti nella vita, continuare. Prossimo disco forse uscirà l'anno prossimo, vediamo, intanto stasera metti una canzone nuova per vedere che effetto fa, "Jumbo Queen". Ti piace fare dischi, la creatività non va in pensione, hanno voglia a dire "Paul Weller ormai il suo l'ha già fatto", beh che si fottano!  Lo dicevi anche su "The Modern World". I dischi ti è sempre piacito comprarli ed ascoltarli, una malattia, la droga più bella che ci sia, come i vestiti, qualche piccola bottega a Londra, ha tutto a che fare con il saper stare al mondo con stile, cosa che cerchi di praticare dai tempi di Woking, cercando di fare il tuo meglio. 

mercoledì 13 settembre 2023

DUE EPICI ROCK BOLOGNESI

 



1986/1987, due epici rock bolognesi dai profondi 80s post Bologna Rock, post Movimento (in pieno riflusso?)
Entrambi usciti su 45 giri!


Caro rock, sguaiato e riscaldatoMi sono subito infilatoCon un colpo al cuoreNel girotondo sfrenato che fai tutte le ore
Questo rock con me funzionaE mi fa entrare in comaMi disturba e mi esaltaCon la testa che rimbalza scuotimi staseraDimmi che mi ami fallo proprio oraE non forse domani e allora, ti pregoRantola ancora se puoi, se puoiRantola ancora, come saiRantola ancora se puoi, se puoiRantola ancora, come sai come sai, come sai
Caro rock, bentornato sempreverdeTi riuscirà di uccidertiAnima squilla dell'istinto più bestiale
Rock and roll tremendoChe mi strazia tutto il tempoRock and roll banaleCon il ritmo sempre uguale
Scuotimi ti prego voglio sentirmi estivoTu sai che te lo chiedoPer non essere passivo
E allora, ti prego, e allora e allora!Rantola ancora se puoi, se puoiRantola ancora, come saiRantola ancora se puoi, se puoiRantola ancora, come sai come sai, come sai

sabato 26 agosto 2023

PISTONI ROVENTI

"Nella zona universitaria è annunciato l’evento: “Punkreas: Gaznevada sing Ramones”. Punkreas, ore 21.30. Entro, atmosfera fumosa, parlottare. Freak Antoni, che conosco di fama, scende qualche gradino prima di me, lentamente, la sua è un’entrata in scena, indossa un giubbotto bellissimo, pelle marron e beige. Sulla schiena c’è un disegno meccanico molto ben fatto su cui campeggia una scritta: “Pistoni Roventi”. Ed è tutto un programma."

Tratto dal libro di Igort / My Generation

martedì 11 luglio 2023

ENRICO BRIZZI - DIAFRAMMA LIVE AL BIG CLUB TORINO


Una volta, in un libro hai letto che ci sono stagioni della vita in cui le cose vengono a visitarci con il nitore e la forza del sogno.

Possono essere sogni in cui nostro padre è di nuovo un ragazzo, e con voce di ragazzo ci chiama dal cortile proprio sotto la nostra finestra, o sogni complicati e vividi dove cammini con passi da gigante per le strade di Firenze: c’è neve ammassata agli angoli delle piazze, e dentro il tuffo d’uno smarrimento sconfinato credi di capire che gli amici e tutte le persone che conosci sono destinati a un letargo di molti mesi.
Sei ancora giovane, ma hai imparato ad accettare le visite delle cose come quelle di sogni troppo numerosi per essere interrogati uno ad uno, e credi di sapere che anche le cose buone capaci di nutrire la nostra vita possono arrivare alla fine senza che niente, né una voce né un segno, arrivi a metterci in guardia. Possono svanire un poco alla volta e possono infrangersi, e ci sono volte in cui semplicemente, in modo troppo rapido perché possiamo intervenire, cambiano pelle sotto i nostri occhi.
Pensi alle cose che cambiano e alle cose che finiscono, e questi sono i pensieri che ti tengono compagnia mentre chiudi gli occhi e ti lasci andare con le spalle contro lo schienale della sedia. Puoi sentire il freddo del muro contro la nuca, e puoi sentire M. e gli altri che parlano di cosa si può fare dopo, alla fine del concerto. Le loro voci riempiono questa stanza di retropalco, e l’aria può essere greve di fumo oppure può esserci una finestra aperta, a te non importa più.

Tre anni fa, qui al Big Club, millecinquecento ragazzi hanno pagato il biglietto per vedervi dal vivo, e anche stasera ci sono amici arrivati a Torino per vedervi suonare, ma in questo momento vuoi solo allungare le gambe, tenere gli occhi chiusi e sentire il freddo del muro contro la nuca.
Pensi a come andavano le cose tre anni fa, a come andavano due anni fa: Diaframma è un sogno ed è una parola da difendere, e tu l’hai difesa e l’hai riempita di vita e significato.
Questo è un fatto e non un sogno, ti dici senza schiudere le ciglia. Non sono sogni i ritagli di giornale e le pagine fotocopiate delle fanzine che conservi a casa. Hanno scritto che la new wave è l’unica boccata d’aria fresca in grado di restituire energia alla musica italiana, e in tanti pensano ai Diaframma come al migliore gruppo new wave del Paese.
Così ti dici che solo una persona molto sciocca o paurosa, al tuo posto, non avrebbe provato a crederci fino in fondo come hai fatto tu. ‘Indipendenza’, ‘coraggio’, ‘futuro’, sono parole che ti ronzano in testa questa sera, e Diaframma Records è un altro sogno che merita di essere difeso.
Per un po’ ascolti le parole degli altri: sembra che il punto sia fissare nuove date, alzare più spesso il telefono per trovare il modo di farsi ospitare in una trasmissione sulla televisione nazionale. Ascolti il suono di quelle parole che scorrono, e pensi ad acqua lenta e sabbiosa, acqua passata sotto troppi ponti.

Il concerto di questa sera fa parte del tour di supporto a ‘Boxe’, ma proprio non c’è niente, nel chiasso della stanza, che lasci pensare a uno spogliatoio in cui giovani pugili si preparano a salire sul ring. Manca la concentrazione e manca la consapevolezza disperata che sin dalla prima ripresa ti giocherai qualcosa di vicino alla possibilità stessa di restare integro.
Poi M. dice che in sala ci saranno sì e no duecento persone, e più che il disappunto, nella sua voce ti sembra di riconoscere uno stupore freddo, come portasse notizia di una sconfitta per cui nessuno deve sentirsi in colpa.
Tra cinque minuti salirete sul palco. Tu attaccherai ‘Adoro guardarti’, e l’ebbrezza di suonare ti sosterrà fino alla fine e dopo la fine, ma in questo momento sei pieno di rabbia e vorresti solo spiegare a M. in che senso, anziché sembrare un pugile in attesa di combattere ti appare un uomo corrotto da troppe cautele.
Sai bene che non è il momento di piantare grane, dice una voce mite e calda dentro la tua testa. D’accordo, ti dici. Soprattutto, stiamo calmi.
Non è ancora obbligatorio che le cose con M. vadano a catafascio; e non è detto che, qualunque cosa accada, per l’anima pugilistica del gruppo sia un male. Hai spalle larghe abbastanza? Hai mani forti? Lo sai meglio di chiunque altro.
Forse è solo un cambiamento e un’evoluzione, il genere di fine che i Diaframma si trovano davanti questa sera.

Oh sì, ti dici. Un cambiamento che ti chiama per nome e ti conosce fin da quando eri bambino e camminavi per viottoli di campagna in perfetta solitudine.

Per un po’ pensi al destino che fuori dal Big Club, nella notte nebbiosa che sembra originare direttamente dal fiume, si prepara per tutti voi, e poi pensi che in ogni caso non lo conoscerai fino alla fine.

Tanto vale andargli incontro senza lasciare spazio alla paura, allora, e respirare ancora una volta in modo profondo. Respirare ancora una volta come sai fare da sempre, e poi aprire di nuovo gli occhi.