Sto leggendo in questi giorni il bel libro di Stefano Gilardino, “Shock Antistatico”, dedicato alle varie scene regionali italiane in ambito post punk 1979/1985. Nella sezione veneta viene tributato il giusto riconoscimento ai Frigidaire Tango di Bassano del Grappa, si parla in maniera esaustiva dei Wax Heroes di Treviso e un buon capitolo è dedicato al giro veneziano. Una piccola scena, magari non così pubblicizzata o idealizzata, ma in grado di lasciare valide testimonianze, vedi la compilation “Samples Only”, la vitalità della fanzine “Rockgarage”, i Death in Venice: “Siamo anche stati contattati dall’etichetta di Samples Only ma eravamo su due orizzonti diversi, loro erano orientati all’elettronica e non se ne fece niente. I Death in Venice erano dell’area veneziana, che noi dalla periferia non frequentavamo, già arrivare a Mestre era una cosa sporadica, ne sentivamo parlare ma non siamo mai stati in contatto. Il collettivo di Rockgarage credo sia stato un gran esempio di autoproduzione, autogestione della creatività. Era uno dei loro obiettivi, gestire totalmente la produzione e la comunicazione artistica, tramite il giornale, i dischi, la gestione di un locale. Andrebbe analizzato e studiato ancora oggi.”
E’ stato tutto molto veloce: in un anno abbiamo formato la band, trovato una rivista che ci ha fatto fare concerti e stampato un disco.”
La nuova onda che fa breccia in provincia attraverso i canali mediatici del periodo: “Io ascoltavo le radio private/libere della fine degli anni ’70, in gran parte passavano “mainstream”, quindi rock e discomusic.
Ho un ricordo nitido però: dopo che la parola “punk” iniziava a girare ma era indefinita, in una trasmissione di una radio di Mestre, un dj mise Satday night in the city of Dead degli Ultravox presentandola appunto come un brano punk.
Mi risuonò in testa per giorni e giorni ma solo dopo arrivarono i Sex Pistols, Patti Smith etc etc. Sono ancora grato per quella canzone.”
Si innesca così quel meccanismo comune a migliaia di adolescenti: l'entusiasmo e l'eccitazione verso il nuovo, l'interiorizzazione, che ti spingono a metterti in gioco in prima persona, a cercare di replicare quell'energia con una tua band: “Siamo stati tutti autodidatti, c’erano altri gruppi che si stavano formando tra le nostre conoscenze e prendendo inizialmente degli strumenti a noleggio abbiamo provato anche noi. Loro cercavano di fare la cover di More than a feeling dei Boston, noi I don’t care dei Ramones… I gruppi che ci piacevano/ispiravano erano i Cure, i Ramones, i Jam, ma soprattutto i Clash.”
Un punto che mi interessa approfondire è quello legato alla possibilità di esibirsi che queste band della nuova onda avevano: le nuove sonorità attecchirono si nel mondo giovanile, ma immagino che la realtà esterna non fosse sempre compiacente, soprattutto in contesti periferici non caratterizzati da uno sviluppo organizzativo diffuso. La Pordenone del Great Complotto fu un caso anche e soprattutto per questo motivo: una piccola realtà di provincia con peso cittadino e riconoscimento sociale. Si riusciva a suonare in maniera continuativa o solo esibizioni sporadiche? “Alla fine in tutto, con la formazione del disco, abbiamo fatto 4 concerti; devo dire che siamo stati sempre contattati tramite Rockgarage, non eravamo noi gli organizzatori. Non era così facile fare concerti, soprattutto se suonavi new wave. Ho in mente due episodi: al 1° concerto al cinema Dante di Mestre (maggio 1982) dopo 3 o 4 canzoni uno dello staff, tra un brano e l’altro, si avvicina al palco a mi chiede per quanto ancora dobbiamo suonare…(si erano già stufati?).
Ricordo anche che ad Oriago (Ve) prestammo gli strumenti ad un gruppo hardcore di Chioggia, gli Antisbarco, che si erano presentati, non invitati e chiesero di suonare.”
Rapporti con altre band venete? “I Wops erano nostri amici e ci abbiamo suonato assieme in due occasioni. C'era anche un legame con i Plasticost di Marostica; avevamo inviato una cassetta a Fox, il cantante/deus ex machina che teneva un programma new wave in una radio di Bassano, mi pare, e anche con loro abbiamo suonato assieme.” A proposito, i tuoi 5 pezzi wave italiani preferiti? “Eptadone / Skiantos, Vita di strada / Take Four Doses, Better days / The Wops, Plateau Rosa / Matisse, Il mondo di Suzie W./ Underground Life.”
La meteora dei Modern Model, dalla provincia veneziana, brillati lo spazio di qualche stagione. Imbracciano gli strumenti mossi da un bisogno, da una canzone, dal contesto sociale musicale che ti forma e spinge in quella direzione. Due canzoni in una compilation, qualche concerto, tutto veloce. E poi come finiscono queste situazioni? “Nel nostro caso con il servizio militare, prima il batterista e dopo il disco partii io. Al ritorno avevamo perso le motivazioni, capita. Tieni presente che eravamo tutti compagni di banco dalle elementari e quindi soprattutto amici. Siamo sempre stati in contatto e nel 2009 abbiamo riformato i TMM (vedi pagina FB), riarrangiando pezzi vecchi e componendone di nuovi con altri componenti; con questa formazione ho suonato fino al 2015 poi basta. Oggi loro continuano ancora e ci frequentiamo.”
Grazie a Giuseppe Chinellato per la disponibilità