mercoledì 29 luglio 2015

ALBERTO CAMERINI NEL 1982

C'era un vecchio sito di Alberto Camerini, che sbirciavo anni fa, in cui erano spiegate molto bene le varie fasi della sua carriera; poi questo sito sparì. Ad ogni modo, digitando incastri di parole chiave, si riesce comunque a raggiungerlo.
Per salvare dall'oblio questi bei resoconti li pubblico qua, in modo da tenerseli stretti.

Alberto con Sergio Pescara
TOURNÉE DELLE BAMBOLE 1982

L'album "Rockmantico" raccontava una commedia di Marivaux, autore francese del '700, scritta apposta per il Theatre des Italiens dove recitava la maschera di Arlecchino: "Arlequin Poli par l'Amour", "Arlecchino educato dall'Amore".
Il pubblico di non addetti alla Commedia dell'Arte non conosceva la commedia, un delizioso atto unico.
lo pretesi ugualmente di tentare di rappresentarla, dimostrando enorme fiducia nella capacità di comprensione del mio pubblico, ormai abusato e ridotto soltanto ad un orda di assatanate piccole baccanti super fans.
Comunque il progetto era quello di portare in scena una Compagnia di Comici, cioè attori di commedia, Italiani, che sulla strada per la Francia, in Piemonte, entrano in un giardino, (ce ne sono di bellissimi) e recitano "L'Arlequin Poli par l'Amour", dove si parla di streghe, incantesimi d'amore, e di trasformazione in statue. Come per esempio quella che c'e nella commedia del Don Giovanni, tipico luogo comune teatrale del Settecento, o meglio, caratteristico lazzo inventato dai comici del Seicento.
Credo che Marivaux, fine cesellatore dei sentimenti e acuto descrittore delle intricate relazioni sentimentali, sia stato costretto dal mercato, o meglio dal suo pubblico di corte, ad utilizzare una favola (in fondo quasi infantile) dove una maga Morgana trasforma Silvia, innamorata di Arlecchino, in una statua grazie ad una bacchetta magica onnipotente, forse un simbolo criptato.
L'intreccio dei sentimenti, pochi personaggi, Arlecchino, Silvia e la Fata, è accuratamente e felicemente descritto nella commedia di Marivaux ed ha anche tanti doppi sensi sentimentali .
Cosa c'entrasse tutto ciò con la musica pop non l'ho mai capito, ne mi sono mai preoccupato di capirlo. Decisi allora di utilizzare dei manichini di donna, da vetrina, sulla scena, di grandezza umana, come enormi burattini, o come esseri umani di plastica. Erano le attrici trasformate, come nella favola di Marivaux, in statue. Le avrei fatte parlare con nastri pre registrati che a tutt'oggi non ho ancora finito di realizzare.
I manichini avevano dei vestiti meravigliosi che io stesso avevo preparato, autonominandomi costumista della troupe, oltre che coreografo, primo ballerino, truccatore, parrucchiere, regista, chitarrista, cantante, paroliere, amministratore, autista e sommellier.
La fata aveva dei bellissimi capelli neri lunghi ed una gonna di tulle bianca, larghissima, come un vestito da sposa, sostenuta da un'armatura di filo di ferro che avevo fabbricato. Un top di carta dorata e un cappello a cono altissimo da fata.
Silvia, la ballerina elettrica, una mini gonna metallizzata e una canottiera di lurex scintillante e i capelli biondissimi. Il palco, illuminato dai raggi colorati degli spot, sullo sfondo di qualche giardino dove spesso si tenevano i concerti, era meraviglioso e visibile a chilometri di distanza. C'era un fondale nero di stoffa che avevo costruito io, megalomane...
Ma la ditta Alberto Camerini era ormai un rock show e tutta questa storia di Commedia dell'Arte, per di più realizzata così, a ritmi infernali e inserita in un contesto musicale pop, non venne minimamemte capita, non riuscii a farla capire.
C'era poi anche una seconda parte nello spettacolo di quell' anno '82 dove si portava in scena la storia di un ristorante, "Il Ristorante di Ricciolina". Avevo comprato una gigantesca insegna al neon alta un metro e mezzo e lunga due e mezzo, che era la nostra bandiera elettrica, che in caratteri colorati componeva la scritta "Italian Restaurant" e "Arlecchino".
Avevo affittato da Rancati, il magazzino teatrale di tutti gli oggetti di scena delle vere compagnie teatrali, statue di gesso di cibi: forme di formaggio, arrosti, polli, frutta, torte ecc., che un tecnico grassissimo, Ciclone, simbolo dell'opulenza e dell'abbondanza, vestito da cuoco con tanto di cappello, portava sul palco, insieme a mio cugino brasiliano Maurizio, che abita a Roma, che interpretava la maschera di Scaramuccia, vestito come me da cameriere, pantaloni neri e giacchetta bianca. Era il nostro ristorante italiano. Mancava Ricciolina. La tournee fu un trionfo. Arrivammo ad Aosta da Agrigento, dal Gran Sasso a Pordenone, ovunque c'era il pieno. Tranne Milano, dove il permesso del Teatro Tenda fu revocato misteriosamente qualche ora prima del concerto.
Proprio a Milano, solo a Milano.
Scherzi del destino crudele!
La band: Giaso, Rossi, Gnech, Stemby, Edo. un buon rock elettronico, con tre tastiere e due chitarre elettriche, c'erano assoli pre-Van Halen, Stemby faceva una scena impressionante con la sua tuta da meccanico gialla, i tre tastieristi stavano dietro le tastiere coperte da pannelli neri di compensato e si vedevano dal busto alla testa e bene. Il palco era grande e saremmo piaciuti moltissimo, ne sono sicuro, anche al Melody Maker, il mitico giornale inglese di musica pop. Eravamo proprio un rock show che faceva scena. Proprio tanta. Troppa.
Io mi ero ossigenato i capelli, ero diventato completamente biondo ed ero proprio bruttissimo. Stavo malissimo. Alberto Cusella, promoter allora della Polygram, oggi capo del marketing della WEA, me lo disse e scoppiai a piangere dalla disperazione. ovviamente non è vero.
Ho una foto sul palco la sera della finale in cui io sono in mezzo a Nada e Riccardo Cocciante e Gianni Morandi, vestito con una calzamaglia bianca da ballerino che la CBS mi aveva comprato, gli stivali di pelle da 600 mila lire, fatti fare su misura in un negozio di via Montenapoleone a Milano, carissimi, una casacca di Arlecchino troppo stilizzata, tutta di azzurro, blu, celeste e turchese, con solo il cuore rosso, che sembrava la pubblicità di una birra bavarese, e una fascetta orrenda sul ciuffo superlaccato, con lacca a presa rapida tipo cemento armato, biondo irreparabilmente, ormai.
E senza chitarra. Avevo una mini tastierina Casio giocattolo con la quale io e Roby volevamo fare computer music.
"Tanz bambolina" piacque sia alle fans, ragazzine, ai Bavaresi, per via della casacca, ai tedeschi di ogni latitudine per il titolo del brano in tedesco, agli ultras gay, alle parrucchiere d'Italia, ai bambini e alle bambine, ai consumatori di giocattoli ma non ai rock'n'rollers, che erano il mio pubblico più duro.
Un disastro di marketing, purtroppo.
Cominciavo a perdere controllo. Il clown elettronico stava diventando troppo mostruosamente melodrammatico, assurgeva a vette di inintellegibile e forse sublime altezza, di delirio mistico, troppo totalmente al di sopra dei convenzionali ovvi e banali sistemi di comunicazione vigenti presso le barbare tribù del rock.

Arlequin Poli par l'Amour, fanatico di rock'n'roll, Mr Rock.
Arlecchino azzurro, blue Harlequin, azzurro, celeste, turchese, metallici losanghi, rombi, silver metal baloon pants, blonde hair, 2 new fender guitars, make up overdose, solo uno rosso, Sicilian tour, 132 Fiat, rented cars, hotels everyday, Vivaldi, Nena, Spliff, Carbonara, Lena Lovich, Nina Hagen, Mundial, Italia Campione del Mondo Football.

sabato 25 luglio 2015

ALBERTO CAMERINI @ PERAROCK - PERAROLO (VI) - 23/07/2015


Ho il culto di Alberto Camerini dai primi anni zero, tempi di piena adolescenza; non mi ricordo bene come lo conobbi, probabilmente scavando a fondo nella notte musicale come si fa tra appassionati.
Negli anni acquistai un paio di suoi vinili, qualche cd ed ebbi anche modo di vederlo live due volte: entrambe quantomeno strane, in quanto il nostro Arlecchino metteva su un cd con le basi e ci cantava sopra, qualche volta prendendo il tempo, altre volte no.
Invece ieri sera a Perarolo (Colli Berici a sud ovest di Vicenza, da cui si può godere di uno stupendo panorama sulla città del Palladio) è stato diverso, più bello, degno della gloriosa storia del nostro Alberto.
Si è presentato con una band a supporto e insieme hanno macinato un'ora di good vibrations, con tutte le hit al loro posto ed altri pezzi punk meno conosciuti (provenienti dagli anni zero) ma non per questo meno efficaci.
Rock'n'Roll Robot, Computer Capriccio, Maccheroni Elettronici, Kids Wanna Rock.
Poi lui è un personaggio inafferrabile, non sai mai dove lo potranno portare i voli pindarici della sua mente: così tra una canzone e l'altra c'è tempo per ridere, per stupirsi di certe spiegazioni dettagliate a presentazione dei brani, per una citazione degli Sham 69, insomma per riconoscere che Alberto Camerini è un artista personale ed unico.
Una meteora nello star system italiano (che frequentò con profitto ed ottimi risultati nei primi anni '80), ma un punto fermo per coloro che lo apprezzano.
E allora in alto i calici e cento di questi concerti Mr. Camerini!

domenica 7 giugno 2015

DICTATORS - ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 05/06/2015


Dopo una lunga assenza si torna all'Altroquando di Zero Branco, mitico locale incastonato tra le provincie di Treviso, Padova e Venezia.
L'occasione è di quelle ghiotte: ci sono i Dictators, storico gruppo di culto formatosi a New York nel 1973 e arrivato al debutto con lo splendido album "Go Girl Crazy" nel 1975, in anticipo su tutti i gloriosi esponenti della scena newyorkese.
Rock stradaiolo dai ritmi medi, rock'n'roll scarnificato, proto punk, suonato da una band vestita con jeans, maglietta e sneakers; c'erano anche altri quattro ragazzi, a pochi isolati di distanza, che iniziavano a fare qualcosa di simile a modo proprio, i Ramones.
Insomma c'è attesa, e intorno alle 22.30 la band sale sul palco; la prima parte di show è tutto sommato noiosa, contrassegnata da uno scialbo hard rock e da un suono generale che sembra non rendere al meglio.
Ci si inizia a muovere giusto con "Who will save rock'n'roll", che fa battere il piedino ed agitare le gambe.
Nel frattempo studio un pò il quintetto, il cantante Handsome Dick Manitoba con capellino in lana del Bronx anche se ci sono 40 gradi, il capellone Ross the Boss e la seconda chitarra Daniel Rey (in sostituzione del membro originario Andy Shernoff), produttore di alcuni album dei Ramones (nonchè co-compositore di alcuni pezzi degli stessi).
Forse una band un pò tamarra, ma un amico mi fa notare che se non fossero così non si chiamerebbero "Dittatori".
La seconda parte dello show va decisamente meglio, le canzoni iniziano ad essere di un certo livello ("Cars and Girls", "Faster and Louder") e contribuiscono decisamente ad alzare la media voto finale.
Un concerto onesto, dai; fosse per me avrei preferito che mi suonassero quasi interamente "Go Girl Crazy", aggiungendo i pezzi migliori dagli altri tre album e buonanotte ai suonatori, però ci si accontenta e ci si diverte comunque in questa calda serata di inizio giugno, e quindi va bene così.

venerdì 15 maggio 2015

LEONI



Quando ho sentito parlare per la prima volta di "Leoni" non nego di aver pensato: "Sarà il solito film che spara a zero sugli stereotipi veneti".
Poi è arrivata l'occasione di vederlo, in un cinemino di campagna con la presenza del regista in sala, e devo dire che invece mi ha colpito positivamente.
Niente stereotipi, niente denigrazione gratuita, solo uno spaccato tipico e caratteristico di una famiglia veneta.
C'è la crisi, ci sono gli intrighi della provincia, c'è una splendida Treviso; viene spontaneo, almeno per le ultime due voci, pensare a quel "Signore e Signori" di Pietro Germi che proprio a Treviso fu ambientato alla metà degli anni '60, oppure a certe opere del compianto Carlo Mazzacurati e al suo sguardo umano su questa terra.
Ecco, sarebbe bello che il regista Pietro Parolin continuasse sul solco tracciato proprio dal Mazzacurati, perché di quelle storie se ne sente ancora il bisogno.

giovedì 14 maggio 2015

PYJAMARAMA + MULETA - RICKY'S PUB - ABBAZIA PISANI (PD) - 09/05/2015



Metti una sera in provincia, Milan - Roma sul divano di casa e poi via al Ricky's Pub di Abbazia Pisani.
Stasera suonano le due incarnazioni dei Melt post scioglimento, i Pyjamarama e i Muleta: sono curioso, soprattuto dei primi che non ho mai visto.
Nei Pyjamarama ci sono Teo e Diego, basso/voce e batteria di casa madre Melt, nei Muleta Teno, l'ex chitarra.
I Pyjama, in termini sonori, sono praticamente la continuazione degli ultimi Melt, forse solo un attimo più diretti. Rock punk cantato in italiano, melodico e non banale.
Bevo una birra e penso ai Melt, al fatto che anni fa emergevi se eri valido senza tanta fuffa promozionale, c'erano ragazzi che seguivano il genere e in qualche modo ti premiavano con il passaparola, passando la cassetta all'amico e roba così.
Succede ancora qualcosa di simile là fuori? Non saprei.
I Muleta li avevo visti tempo fa e stasera li ritrovo più compatti, un bel suono elettrico dato dalle due chitarre e caratterizzato dall'assenza di basso: punk scarno e sonico, legato all'urgenza espressiva con un attitudine che mi piace.
I presenti apprezzano e si godono le vibrazioni.

giovedì 16 aprile 2015

TONY FACE - "PAUL WELLER - L'UOMO CANGIANTE"



Ho letto il nuovo libro di Mr. Tony Face, "Paul Weller - L'Uomo Cangiante": beh, devo dire che Paul Weller lo metto proprio lì, sul piedistallo dei miei preferiti.
I Jam in sette-anni-sette di carriera fecero un percorso straordinario, roba che adesso è impossibile fare, non so neanche se una band del nostro presente ce la fa in vent'anni a fare le cose che i Jam fecero dal 1976 al 1982.
I Jam, per certi versi, sono simili ai Clash: pochi anni di carriera, primo album al top, secondo un po' meno, e da li un crescendo entusiasmante fino alla prematura fine.
Weller con i Jam era sostanzialmente un arrogante coglione, permeato da una retorica working class inglese decisamente sulla difensiva, frasi forti e verità assolute in tasca a vent'anni circa.
Poi l'illuminazione con gli Style Council, si cambia: quello che si pensava prima non andava più bene, via le chitarre rumorose, dentro la contemporaneità (estetica e anche sonora se vogliamo).
I concetti forti rimangono, però quasi diametralmente opposti rispetto ai Jam: proclami anti Thatcher, il conservatorismo sociale inglese che ora va stretto, uno sguardo all'Europa, addirittura proclami a diventare "Internazionalisti" (chissà cosa ne pensavano i Clash, con i quali ai tempi dei Jam ci fu maretta per opposte visioni politiche).
Sono gli anni del Weller champagne socialist: curato, elegante, alla moda però con visioni politiche di estrema sinistra.
Gli Style Council implodono nel 1989, e da li inizia l'avventura solista di Weller che continua fino al giorno d'oggi e che io sto continuando a scoprire, nel senso che non ho ascoltato proprio tutti gli album come fatto con i suoi due gruppi precedenti.
Sono gli anni della maturità, permeati da una visione disincantata del presente rispetto ai furori e alle esaltazioni di Jam e Style Council.
Insomma, in Paul Weller i cambiamenti di direzione sono una marchio di fabbrica imprescindibile, da qui il titolo del libro.
Possono risultare patetici? Forse, però alla fine siamo tutti in movimento in cerca di qualcosa, e Weller in questo è uno di noi, un uomo.

martedì 31 marzo 2015

UB40 - GRAN TEATRO GEOX - PADOVA - 28/03/2015




Non sapevo bene cosa aspettarmi dal concerto padovano degli UB40, però a fine serata sarò ben contento di aver partecipato ad una bella serata.
Le incognite potevano riguardare l'effettivo status di cui gode la band nel suolo italico e il particolare percorso che l'ha vista protagonista dagli esordi ad oggi; mi spiego bene: pur provenendo da un periodo storico sociale contemporaneo a quello che prenderà il nome di "suono two tone" (seppur basandosi sul reggae che non sullo ska) e pur abbeverandosi, a grandi linee, dalle stesse fonti musicali dei sopraccitati, è lampante che gli UB40 non godono del culto che possono avere i Madness o i Selecter presso i seguaci di questi suoni a queste latitudini.
Sostanzialmente in quanto poco ortodossi, troppo poco legati ad un immagine particolare e caratteristica, ma comunque in grado di scrivere una propria storia personale quantomeno fascinosa e con un successo di pubblico neanche paragonabile a quello degli eroi two tone.
L'idea alla base della band di Birmingham era quella di prendere i ritmi ballabili e cool del reggae e vedere cosa succedeva se a farlo era una band inglese con quattro bianchi e quattro neri: ne sono usciti album memorabili e altri meno, sicuramente abbastanza buone canzoni per riempire un live set e regalare un'ora e mezza di gran spettacolo al numeroso pubblico accorso al Geox.
Una scaletta che nel complesso li ha visti pescare lungo trent'anni di carriera, alternando brani autografi a famose hits reggae che gli UB40 incisero nella serie di album di cover "Labour of Love".
"Present Arms" e "Cherry oh Baby" hanno lasciato un segno sulla primissima parte del concerto, che complessivamente ha mostrato una band in ottima forma, dal suono ricco, preciso ed elegante, aiutata da una sezione fiati in gran spolvero.
L'ottima acustica della sala ha sicuramente giovato ad un esibizione che avuto il proprio culmine nella seconda parte: "One in ten" è pura Inghilterra 1981, Thatcher al potere, disoccupazione imperante (al cui modulo per la richiesta di sussidio gli UB40 devono il proprio nome), deindustrializzazione e futuro grigio, "Food For Tought" è il primo storico singolo datato 1980, "Red Red Wine" e "Kingston Town" sono due reggae songs immortali; entusiasmo che è continuato anche durante la finale e conosciutissima "Can't help falling in love" e che penso sia rimasto ai presenti a ricordo di questo sabato primaverile.