venerdì 7 settembre 2012

I GIORNI DELLA VENDEMMIA


“I giorni della vendemmia” rappresenta l’esordio in cabina di regia per il ventiseienne emiliano Marco Righi, che si presente al pubblico con un film dalla sceneggiatura decisamente affascinante.

Siamo nella campagna reggiana e l’anno è il 1984.

Il film ruota attorno ad una normale famiglia, composta da madre cattolica, padre socialista e figlio diciassettenne, Elia, un tranquillo ragazzo “di campagna”.

Già con queste caratteristiche Righi riesce a tratteggiare un preciso contesto sociale, nello specifico le due anime dell’Emilia di quegli anni, quella socialista e quella cattolica, entrambe molto presenti ed organizzate nel territorio.

Il ragazzo, Elia, viene rappresentato a metà tra due tendenze: da una parte la voglia di novità e di avventura, dall’altra una mentalità semplice, quasi “ingenua” nel senso positivo del termine, legata al territorio e ai ritmi lenti e pacifici della campagna.

Settembre è il mese di vendemmia, e per la raccolta dell’uva verrà a dar man forte alla famiglia una ragazza, Emilia (presumo intorno ai venticinque anni, nel film non viene mai specificata l’età se non che sta realizzando la tesi di laurea), molto libertina nei modi, che sconquasserà un po’ la vita di Elia.

Ad un contesto che personalmente trovo molto indicato per la sceneggiatura di un film ( e tuttavia non da molti utilizzato nel panorama italiano, se non solamente da Pupi Avati), va aggiunta, come punto di forza del film, la cura dei particolari.

La figura di Pier Vittorio Tondelli (la frase in apertura, “Altri Libertini” sul comodino del protagonista) e l’immersione stilistica nel bel mezzo degli anni ’80 appaiono sicuramente come ben riusciti.

A questi, però, vanno contrapposti quelli che ho trovato essere i punti deboli della pellicola.

Un’eccessiva lentezza nella parte iniziale (non sopperita, peraltro, dalla qualità dei dialoghi, decisamente basilari) e una staticità generale che poche volte viene interrotta.

Inoltre trovo che un maggior approfondimento di alcuni personaggi, come il padre oppure il ritorno estemporaneo del fratello maggiore, avrebbero sicuramente fatto bene all’insieme.

Nel complesso, comunque, non c’è motivo di essere eccessivamente critici: è il primo lavoro di un giovane regista ed è assolutamente giusto concentrarsi sul bicchiere mezzo pieno e su quanto di positivo emerge dal tutto.


sabato 1 settembre 2012

LE MAGLIE DELLA SERIE A - 2012/13


Nuova stagione e nuove divise da gioco, andiamo a vederle nel dettaglio.

Atalanta: decisamente brutta, con tre strisce verticali davvero troppo larghe e quadrato dello sponsor principale che occupa molto spazio. Nella parte superiore stemma sociale posto al centro, scelta che giudico sempre negativamente, dato che dovrebbe stare a sinistra come tradizione vuole, però, guarda caso, a sinistra c’è posto per un altro quadratino con lo sponsor.

Bologna: strisce larghe, assenza di colletto e doppio sponsor centrale non possono che far pendere il giudizio verso l’insufficienza.
Di solito è difficile che la Macron faccia robe carine, non so neanche perché continui ad avere lavoro visto che la qualità estetica non è certo tra i punti cardine dell’azienda, ma forse delle cose fatte bene non frega più a nessuno.

Cagliari: senza colletto, al limite, va bene la muta da subacqueo, a casa mia. Per il resto una maglia abbastanza inutile, di cui nessuna sentirà la mancanza quando verrà rimpiazzata.

Catania: sembra una di quelle maglie che compri in stock per la squadra giovanile del tuo paese o per fare la squadra di calcetto al torneo della polenta.

Chievo: vedi Catania

Fiorentina: davvero brutta. Sponsor principale con troppa visibilità, stemma sociale al centro..forse è meglio che la Joma torni al “dorato” mondo del calcio a 5.

Genoa: entra nel podio come tra le più belle. Metà rossa e metà blu, stemma sociale a sinistra, sponsor tecnico a destra e pochi cazzi.
Non bisogna aver fatto un patto con Dio per concepire una maglia decente.

Inter: una delle poche maglie oramai classiche di questi anni 2000. Difficilmente cambia stile, e questo è un bene.
Essenziale e con uno sponsor che con la trovata della P lunga è di per sé una bella cosa da vedere.

Juventus: le scrittine sulle maglie tipo “30 sul campo” non mi piacciono per nulla.
Brutto il riquadro nero con lo sponsor della Jeep e brutto lo scudetto al centro.
Lo scudetto va in alto a sinistra con sopra le due stelline.

Lazio: lo scorso anno aveva la maglia più bella della serie A, quest’anno compie dei notevoli passi indietro, passando dalla Puma alla Macron che disegna un autentico obbrobrio.
Marca dello sponsor tecnico e simbolo sociale posti entrambi nella parte centrale superiore, come se si equivalessero.

Milan: con quel collettone bianco puoi andare al massimo in discoteca a Cervia nel 1998. Per il resto non sarebbe neanche male, a parte la modesta scritta “Il club..”.

Napoli: doppio sponsor centrale, il giudizio è negativo. Qualcuno li avvisi che ce ne sta un altro, volendo.

Palermo: con i colori sociali che si ritrova è difficile fare qualcosa di carino, visto che la maglia rosa se la mettono i peggiori truzzi del quartieri.
Però nel complesso è fatta bene, essenziale e classica.

Parma: nera con la croce bianca, maglie del genere sono sempre impegnative perché molto appariscenti.
Comunque non male, stemma e sponsor tecnico al loro posto quindi ok.

Pescara: togliessero l’inutile sponsor posto tra stemma sociale e sponsor tecnico, mettessero un azzurro un po’ più decente, lascassero le strisce pure sulle maniche, con i se non si va da nessuna parte.

Roma: È la maglia della Wind o della Roma?
No perché lo spazio dato allo sponsor sembra davvero spropositato. Brutta.

Sampdoria: qua, a differenza di quanto dicevo per il Palermo, i colori sociali aiutano già di per sé a creare un’ottima maglietta.
Questa però è priva di colletto, ha la scritta “Kappa” quasi su una spalla (le abbiamo viste davvero tutte) e inoltre ha uno sponsor che, è proprio il caso di dire, sporca la maglia, nel senso dispregiativo del termine.

Siena: una maglia così non la prenderei neanche al mercatino dell’usato a 3 euro. La Kappa fa disegnare le proprie maglie agli stagisti?

Torino: una delle peggiori. Colletto non pervenuto, scritta kappa sulla spalla, aderentissima e tocco finale la scritta “Aruba.it” sotto lo sponsor tecnico.

Udinese: quest’anno la situazione sembra essere un minimo migliorata dopo stagioni inguardabili (sotto il profilo della maglia).
Se si alzasse lo stemma sociale, si spostasse la scritta Legea al suo posto (cioè a sinistra) e si riducesse la larghezza della strisce sarebbe decente. Così non la regalerei mai all’ipotetico cugino da Udine.

venerdì 24 agosto 2012

PIER VITTORIO TONDELLI - RIMINI


L'ho letto proprio a Rimini questo libro.
Ho fatto apposta ad acquistarlo pochi giorni prima di partire in vacanza per la riviera romagnola; era anche un'occasione per leggere qualcosa di Tondelli, un'autore il cui nome mi ero segnato sull'agenda personale come "da provare".
Che dire? Aspettative sicuramente ripagate per quello che è davvero un libro molto ben riuscito, con una scrittura semplice, mai banale e mai noiosa.
Un libro che ti tiene incollato alla pagine, a voler saper come andrà a finire per me è il massimo, non credete?
Cosa cercate da un libro? Io cerco una storia, delle storie, in grado di catalizzare la mia attenzione, di farmi un'attimo viaggiare con la mente.
Missione compiuta Rimini.
Peccato che non sia stata realizzata la versione cinematografica del libro.
Si legge in giro che qualche offerta in merito fu proposta a PierVittorio Tondelli, però non se ne fece niente.

domenica 19 agosto 2012

STATUTO - SELECTER @ FESTIVAL RADIO ONDA D'URTO - BRESCIA - 14/08/2012


Arrivo presto in quel di Brescia, intorno alle 19.30.
Parcheggio lungo la strada e attraverso una zona industriale deserta in cui l'unico motivo d'interesse è dato da una ferrovia sopraelevata non utilizzata; ci sarebbe anche una fermata fantasma non aperta, il che rende molto affascinante il tutto e mi fa immaginare che sarebbe bello venire da Cittadella in treno e scendere alla stazione a pochi passi dal Festival.
Avviandomi verso l'entrata noto che l'ingresso è gratuito; strano, penso.
Il concerto veniva segnalato ovunque con ingresso a 8 euro (prezzo onesto).
Così scopro che se arrivi prima delle 20.00 non paghi l'ingresso, mossa decisamente insolita per un concerto.
I miei sensi di colpa per non aver pagato vengono collimati dalla cena a base di panino salamina/patatine fritte e birra che almeno fa si che qualche euro al festival lo dia.
Il festival si svolge in un parcheggio di sassi, forse la location più brutta che abbia visto per un concerto; in confronto al festival di Radio Sherwood sembra di essere in una reggia, e rispetto a quest’ultimo si respira un’aria più “militante”, con tantissimi striscioni scritti a bomboletta pieni della classica iconografia da centro sociale del tipo “No Tav” e altra slogan.
Alle 21.00 salgono sul palco gli Statuto e mi piazzo nelle prime file, sperando che non arrivi il solito gigante che mi ritrovo sempre davanti ai concerti.
Non c’è molta gente, è davvero presto, però con calma l’area si riempie lungo l’esibizione del gruppo torinese.
Gli Statuto sono un gruppo abbastanza unico nel loro genere: un gruppo mod, che nel corso della propria carriera ha toccato varie fasi, dagli inizi underground, al festival di Sanremo del 1991, al ritorno ad una dimensione specifica ma neanche troppo, visto che comunque i loro dischi escono ancora per la Sony.
In quarantacinque minuti di esibizione suonano bene o male tutti i loro classici, anche se con qualche dimenticanza (vedi “Pazzo” o “Ghetto” che, secondo me, non dovrebbero mai mancare in un concerto degli Statuto).
Da notare il ritorno in versione live di un sassofono e di una tastiera che contribuiscono a dare al suono una maggiore fedeltà alla versione studio delle canzoni; l’ultima volta che ebbi modo di vederli, infatti,la line up non prevedeva altro che chitarra/basso/batteria, con le canzoni che assumevano dei contorni più grezzi e quasi punk rock.
Terminano con la cover di One Step Beyond italianizzata (Un passo avanti) e preparano degnamente l’ambiente all’arrivo dei Selecter.
Gli inglesi sono in otto: quattro bianchi e quattro neri, a voler sottolineare il concetto di “melting pot” che da sempre ha accompagnato la band e più in generale il discorso che portava avanti la Two Tone Records, di cui i Selecter furono uno dei gruppi di punta.
Suonano davvero bene i Selecter, con classe, stile ed energia, e le canzoni hanno tutte una resa pregevole.
Pauline Black balla e canta con una vitalità che colpisce; dico alla mia ragazza che la vedrei bene come barista.
Mi piacerebbe arrivare al bar di mattina e farmi servire Brioche alla crema e caffè da Pauline Black.
“Buongiorno”, “Buongiorno”, “Prende il solito?”, “Si, grazie”.
I pezzi forti ci sono tutti: “On my Radio”, “Missing Words”, “Time Hard”.
Su “Murder” io urlo “Merda” come faccio ogni volta che la ascolto in macchina; poco distante da me vedo dei ragazzi che continuano a ridere, forse anche loro la interpretano come me.
Il bis è affidato ad una lunga versione di “Too Much Pressure”, al cui interno si inserisce qualche verso di “Pressure Drop”.
Un bel concerto, davvero.
Vado in cerca del merchandising dei Selecter ma non lo trovo.
Poi usciamo e chiedo al nero che sta all’entrata se posso prendere il manifesto del concerto.
Lui ci dice di seguire i suoi colleghi che stanno andando non so dove, forse nello sgabuzzino in cui sono custoditi migliaia di manifesti da regalare ai fans devoti, penso io.
Dopo un po’ ci rompiamo il cazzo di seguirli e torniamo all’uscita ma il manifesto è sparito.
La gentilezza non paga.

martedì 14 agosto 2012

FRIENDS AGAIN


Fabrizio Bentivoglio e Diego Abatantuono immortalati durante le riprese di "Turnè", memorabile pellicola datata 1990 diretta da Gabriele Salvatores.
Amicizia e viaggio, questi i due temi cardine del film.

sabato 28 luglio 2012

NICK HORNBY - TUTTA UN'ALTRA MUSICA


Un libro piacevole e scorrevole, questo libro dello scrittore londinese tradotto e pubblicato oramai nel 2009.
Leggevo nel web di analogie con "Alta Fedeltà", e qualcosa potrebbe anche rientrare nella similitudine.
La passione per la musica (anche se qui è una passione monotematica verso un preciso autore) e il rapporto con le donne.
Nel complesso comunque "Alta Fedeltà" rimane una sorta di pietra miliare, anche se con quest'ultima lettura Hornby si riscatta dall'ultima prova che avevo avuto modo di leggere, quel "Non buttiamoci giù" che non mi convinse fino in fondo.
Su "Tutta un'altra musica" la storia si svolge per buona parte su due diverse collocazioni geografiche, Stati Uniti ed Inghilterra, per poi completarsi in quest'ultima.
Si parla, tra le righe, del ruolo che vanno ad assumere le nuove tecnologie nell'ambito dei rapporti umani, visto che è proprio grazie ad internet e alla sua capacità di connessione tra le persone che la storia ha modo di svilupparsi come si scoprirà sfogliando il libro.

sabato 21 luglio 2012

STONE ROSES - MILANO - IPPODROMO DEL GALOPPO - 17/07/2012


Nella serie di reunion a cui si ha assistito nel corso di questo decennio e poco più dall’inizio del nuovo secolo, quella degli Stone Roses è apparsa oggettivamente come una delle più inaspettate (visto che solamente nell’estate del 2011 il chitarrista John Squire rilasciava dichiarazioni che non prospettavano certamente l’annuncio dell’effettiva riunificazione esternato solamente pochi mesi dopo) e soggettivamente come una delle reunion più gradite, se non la più gradita per il sottoscritto.
Oddio, il rischio che una band del calibro dei Roses corre in questi casi è che presentarsi palesemente fuori forma o, peggio, fuori tempo massimo, come accade a qualche band che ritorna sulle scene, potrebbe essere una parentesi evitabilissima per quello che di buono la band in questione ha costruito durante la propria carriera, ma fortunatamente questo non si è rivelato essere il caso dei mancuniani.
La storia degli Stone Roses appare decisamente curiosa: un album, omonimo, stratosferico nell’anno di grazia 1989, summa ed anticipazione di quello che sara poi noto come Britpop nel corso dei 90’s, una pausa discografica, dovuta a problemi di carattere contrattuale, durata ben cinque anni, e la pubblicazione di un secondo album, “Second Coming”, da molti bollato come poco riuscito e sicuramente inferiore al debutto (si poteva forse fare meglio?) ma pieno zeppo di buone canzoni anch’esso.
Stop.
Lo scioglimento del 1996 metteva la parola fine ad una delle esperienze più influenti della scena britrock tutta, però quello che la band aveva prodotto bastava sicuramente per inserirla di diritto nel club esclusivo delle cose più riuscite a livello musicale.
Il 17 luglio era insomma un giorno che aspettavo da tempo: a marzo, il primo giorno della prevendita, avevo già il mio bel biglietto in tasca per paura di un utopico “tutto esaurito” che ora mi rendo conto aver ingenuamente presupposto solamente nella mia mente; certo, gente ce né all’Ippodromo di Milano, ma siamo molto lontani dai numeri record registrati a Manchester nelle prime due date di questo tour.
Poco prima delle 22.00 i quattro di Manchester salgono sul palco e senza tante parole attaccano con l’intro strumentale di “I wanna be adored”, che è solo la prima tra le ottime cose prodotte dal gruppo che mi sarà dato modo di sentire nel corso dell’esibizione.
Durante il concerto, infatti, mi ritrovo diverse volte a pensare tra me e me che razza di repertorio si può permettere una band come gli Stone Roses; praticamente tutta roba ad alto, se non altissimo, livello di qualità.
Non c’è nulla fuori posto: dalle melodie pure di canzoni come “Sally Cinnamon” o “This is the One”, al groove dance virato Madchester di “Fools Gold” si tratta di un’ora che scorre via liscia che è un piacere.
Da segnalare il “mood” molto tranquillo della band sul palco che si amalgama bene al tiro “pigro” e sognante di molti pezzi della band.
La conclusione affidata a “I am the resurrection” è il perfetto sigillo sulla serata.
Ora, probabilmente vedere un gruppo nel proprio naturale contesto storico, come poteva essere assistere ad un concerto degli Stone Roses a fine anni ’80, resterà sempre di maggior rilievo che non assistere ad un concerto della stessa 20 anni dopo; però c’è da dire che l’ottima esibizione fa si che si esca tutti ben contenti dall’Ippodromo , e che forse bisognava “essere fatti di pietra” (cit.) per non apprezzare quanto visto.