C'era un vecchio sito di Alberto Camerini, che sbirciavo anni fa, in cui erano spiegate molto bene le varie fasi della sua carriera; poi questo sito sparì. Ad ogni modo, digitando incastri di parole chiave, si riesce comunque a raggiungerlo.
Per salvare dall'oblio questi bei resoconti li pubblico qua, in modo da tenerseli stretti.
TOURNÉE DELLE BAMBOLE 1982
L'album "Rockmantico" raccontava una commedia di Marivaux, autore francese del '700, scritta apposta per il Theatre des Italiens dove recitava la maschera di Arlecchino: "Arlequin Poli par l'Amour", "Arlecchino educato dall'Amore".
Il pubblico di non addetti alla Commedia dell'Arte non conosceva la commedia, un delizioso atto unico.
lo pretesi ugualmente di tentare di rappresentarla, dimostrando enorme fiducia nella capacità di comprensione del mio pubblico, ormai abusato e ridotto soltanto ad un orda di assatanate piccole baccanti super fans.
lo pretesi ugualmente di tentare di rappresentarla, dimostrando enorme fiducia nella capacità di comprensione del mio pubblico, ormai abusato e ridotto soltanto ad un orda di assatanate piccole baccanti super fans.
Comunque il progetto era quello di portare in scena una Compagnia di Comici, cioè attori di commedia, Italiani, che sulla strada per la Francia, in Piemonte, entrano in un giardino, (ce ne sono di bellissimi) e recitano "L'Arlequin Poli par l'Amour", dove si parla di streghe, incantesimi d'amore, e di trasformazione in statue. Come per esempio quella che c'e nella commedia del Don Giovanni, tipico luogo comune teatrale del Settecento, o meglio, caratteristico lazzo inventato dai comici del Seicento.
Credo che Marivaux, fine cesellatore dei sentimenti e acuto descrittore delle intricate relazioni sentimentali, sia stato costretto dal mercato, o meglio dal suo pubblico di corte, ad utilizzare una favola (in fondo quasi infantile) dove una maga Morgana trasforma Silvia, innamorata di Arlecchino, in una statua grazie ad una bacchetta magica onnipotente, forse un simbolo criptato.
L'intreccio dei sentimenti, pochi personaggi, Arlecchino, Silvia e la Fata, è accuratamente e felicemente descritto nella commedia di Marivaux ed ha anche tanti doppi sensi sentimentali .
Cosa c'entrasse tutto ciò con la musica pop non l'ho mai capito, ne mi sono mai preoccupato di capirlo. Decisi allora di utilizzare dei manichini di donna, da vetrina, sulla scena, di grandezza umana, come enormi burattini, o come esseri umani di plastica. Erano le attrici trasformate, come nella favola di Marivaux, in statue. Le avrei fatte parlare con nastri pre registrati che a tutt'oggi non ho ancora finito di realizzare.
I manichini avevano dei vestiti meravigliosi che io stesso avevo preparato, autonominandomi costumista della troupe, oltre che coreografo, primo ballerino, truccatore, parrucchiere, regista, chitarrista, cantante, paroliere, amministratore, autista e sommellier.
I manichini avevano dei vestiti meravigliosi che io stesso avevo preparato, autonominandomi costumista della troupe, oltre che coreografo, primo ballerino, truccatore, parrucchiere, regista, chitarrista, cantante, paroliere, amministratore, autista e sommellier.
La fata aveva dei bellissimi capelli neri lunghi ed una gonna di tulle bianca, larghissima, come un vestito da sposa, sostenuta da un'armatura di filo di ferro che avevo fabbricato. Un top di carta dorata e un cappello a cono altissimo da fata.
Silvia, la ballerina elettrica, una mini gonna metallizzata e una canottiera di lurex scintillante e i capelli biondissimi. Il palco, illuminato dai raggi colorati degli spot, sullo sfondo di qualche giardino dove spesso si tenevano i concerti, era meraviglioso e visibile a chilometri di distanza. C'era un fondale nero di stoffa che avevo costruito io, megalomane...
Ma la ditta Alberto Camerini era ormai un rock show e tutta questa storia di Commedia dell'Arte, per di più realizzata così, a ritmi infernali e inserita in un contesto musicale pop, non venne minimamemte capita, non riuscii a farla capire.
C'era poi anche una seconda parte nello spettacolo di quell' anno '82 dove si portava in scena la storia di un ristorante, "Il Ristorante di Ricciolina". Avevo comprato una gigantesca insegna al neon alta un metro e mezzo e lunga due e mezzo, che era la nostra bandiera elettrica, che in caratteri colorati componeva la scritta "Italian Restaurant" e "Arlecchino".
Avevo affittato da Rancati, il magazzino teatrale di tutti gli oggetti di scena delle vere compagnie teatrali, statue di gesso di cibi: forme di formaggio, arrosti, polli, frutta, torte ecc., che un tecnico grassissimo, Ciclone, simbolo dell'opulenza e dell'abbondanza, vestito da cuoco con tanto di cappello, portava sul palco, insieme a mio cugino brasiliano Maurizio, che abita a Roma, che interpretava la maschera di Scaramuccia, vestito come me da cameriere, pantaloni neri e giacchetta bianca. Era il nostro ristorante italiano. Mancava Ricciolina. La tournee fu un trionfo. Arrivammo ad Aosta da Agrigento, dal Gran Sasso a Pordenone, ovunque c'era il pieno. Tranne Milano, dove il permesso del Teatro Tenda fu revocato misteriosamente qualche ora prima del concerto.
Proprio a Milano, solo a Milano.
Scherzi del destino crudele!
La band: Giaso, Rossi, Gnech, Stemby, Edo. un buon rock elettronico, con tre tastiere e due chitarre elettriche, c'erano assoli pre-Van Halen, Stemby faceva una scena impressionante con la sua tuta da meccanico gialla, i tre tastieristi stavano dietro le tastiere coperte da pannelli neri di compensato e si vedevano dal busto alla testa e bene. Il palco era grande e saremmo piaciuti moltissimo, ne sono sicuro, anche al Melody Maker, il mitico giornale inglese di musica pop. Eravamo proprio un rock show che faceva scena. Proprio tanta. Troppa.
Io mi ero ossigenato i capelli, ero diventato completamente biondo ed ero proprio bruttissimo. Stavo malissimo. Alberto Cusella, promoter allora della Polygram, oggi capo del marketing della WEA, me lo disse e scoppiai a piangere dalla disperazione. ovviamente non è vero.
Ho una foto sul palco la sera della finale in cui io sono in mezzo a Nada e Riccardo Cocciante e Gianni Morandi, vestito con una calzamaglia bianca da ballerino che la CBS mi aveva comprato, gli stivali di pelle da 600 mila lire, fatti fare su misura in un negozio di via Montenapoleone a Milano, carissimi, una casacca di Arlecchino troppo stilizzata, tutta di azzurro, blu, celeste e turchese, con solo il cuore rosso, che sembrava la pubblicità di una birra bavarese, e una fascetta orrenda sul ciuffo superlaccato, con lacca a presa rapida tipo cemento armato, biondo irreparabilmente, ormai.
E senza chitarra. Avevo una mini tastierina Casio giocattolo con la quale io e Roby volevamo fare computer music.
"Tanz bambolina" piacque sia alle fans, ragazzine, ai Bavaresi, per via della casacca, ai tedeschi di ogni latitudine per il titolo del brano in tedesco, agli ultras gay, alle parrucchiere d'Italia, ai bambini e alle bambine, ai consumatori di giocattoli ma non ai rock'n'rollers, che erano il mio pubblico più duro.
Un disastro di marketing, purtroppo.
Cominciavo a perdere controllo. Il clown elettronico stava diventando troppo mostruosamente melodrammatico, assurgeva a vette di inintellegibile e forse sublime altezza, di delirio mistico, troppo totalmente al di sopra dei convenzionali ovvi e banali sistemi di comunicazione vigenti presso le barbare tribù del rock.
Arlequin Poli par l'Amour, fanatico di rock'n'roll, Mr Rock.
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