CARLO VERDONE E GLI WHO AL PALASPORT


E' nota la passione di Carlo Verdone per gli Who.

Così raccontava in una puntata da Fabio Fazio:

"Col mio amico Castagnoni andammo al palasport al concerto degli Who (settembre 1972). Ci piacevano perché esplodeva la batteria, tutto prendeva fuoco. Era quel tipo di rock iniziale, primitivo ed energico che dava qualcosa di forte. Lui e un altro mio amico erano fan sfegatati. Sapeva che gli Who avevano preso una camera d'albergo vicino al palasport che ospitava il concerto, in zona Eur. 'Ci facciamo fare l'autografo, io voglio quello di Keith Moon, il batterista: è un grande, un grande, un grande'. Gli dissi: 'Ma sei sicuro? Ci sarà il servizio d'ordine...'. 'No, no', mi rispose. D'altronde era uno bravo, che sapeva intrufolarsi. 

Ad un certo punto il mio amico entrò dentro e fu chiaramente cacciato subito via. Seppe però che le finestre [della camera di Keith Moon] erano quelle che noi vedevamo da fuori. E cominciò ad urlare: 'Keith! Keith! Un autografo! You are the best drummer in the World.... Keith! Keith! Keith!'. Gli dissi: 'Calmati, ci cacciano via. Oppure ci menano...

Al cinquantesimo 'Keith!' si aprì una finestra e volò di sotto un televisore. L'aveva lanciato Keith Moon. Era un televisore a valvola, quelli di una volta. Si sentì un botto... Scappammo tutti quanti. Il mio amico si girò e gli disse: 'Ma li mortacci tua'".

3 DISCHI PUNK ROCK ANNI '90 NON COSI' CONOSCIUTI



EXPLODING WHITE MICE - WE WALK ALONE (1994)

Australiani di Adelaide, in giro per un decennio da metà 80s a metà 90s: capelli lunghi, chiodo, tshirt bianca, volume alto. Questo disco, l'ultimo per loro, sembra una specie di Gigius dei Senzabenza uscito dall'altra parte del mondo; dentro ci sono almeno sei/sette pezzi killer, insomma è un gran disco.




THE RICHIES - WHY LIE? NEED A BEER (1996)

Ramonesiani tedeschi di Duisburg, dal 1990 al 1996 buttano fuori album con una certa frequenza (cinque in sette anni). Nel 1994 accompagnano in tour in terra tedesca Dee Dee Ramone, mentre nel 1996 proprio gli Exploding White Mice! "Why Lie? Need a Beer" conta ben 18 pezzi, tutti riusciti e con una certa varietà stilistica tra punk rock e power pop.




THE ZEROS - KNOCKIN ME DEAD (1994)

Leggendaria band nata a San Diego nel 1976, detti anche "i Ramones messicani" per via dell'origine dei suoi membri. Nel 1992 tornano insieme dopo una lunga pausa e buttano fuori questo solido disco chitarroso e melodico. Spicca la rilettura muscolosa della loro hit "Beat your heart out".


HO VOMITATO NELLE ALL STAR (IERI SERA)





Mitizzate nell'ambito del punk rock italiano anni '90 di scuola Ramonesiana / Lookout! Records, seppur non indossate da tutti i Ramones (Johnny Ramone non ha mai messo le All Star, Dee Dee e Marky si).

Sicuramente chi indossava le Chuck, nome derivante dal cestista americano che le rese famose negli anni '30, erano Queers e Screeching Weasel.

Attualmente un po' sparite dal giro a favore delle Vans.

TRE PEZZI ITALIANI ALL STAR:

GAMBE DI BURRO / MI METTO ANCORA LE ALL STAR

RAZZI TOTALI / HO VOMITATO NELLE ALL STAR

RETARDED / TEENAGE BACKWARD ("Ripped Jeans, Chuck, Leather Jacket")


WHISPERING SONS @ ASTRO CLUB / FONTANAFREDDA (PN) / 15/03/2025

Fuori piove e l'Astro Club è già bello imballato quando sul palco salgono i Sun's Spectrum, duo udinese. La loro è una proposta interessante, base elettronica con chitarra che segue schemi post punk. Uno strano mix tra New Order e Underworld, oscuri e algidi.

Breve stacco e tocca ai Whispering Sons, dal Belgio: fosse il 1982 potrebbero uscire con Les Disques du Crepuscule, benemerita label belga.

La cantante si prende tutta la scena con camiciona bianca e movimenti in sintonia con pezzi post punk severi e rigorosi (siamo in zona Sound/Joy Division) ed un cantato che a volte va in zona Patti Smith. 

Belli gli intermezzi pianistici a metà concerto, utili a spezzare un po' la scaletta. Il concerto è ipnotico e vola via, i Whispering Sons provvedono a fornire un'adeguata colonna sonora europea ad un piovoso sabato di marzo. 

CAMICIA A RIGHE IS VERY COOL










Panoramics, Barracudas, Colin Moulding XTC, Johnny Thunders, Glen Matlock, Paul Weller, Terry Hall Specials, Steve Garvey Buzzcocks..

DELL'INFLUENZA DI BOB DYLAN SU RAY DAVIES


Ad un certo punto del bel film su Bob Dylan, "A Complete Unknown", nelle ore precedenti la famosa esibizione della svolta elettrica di Newport, sullo stereo di Bob Dylan partono i Kinks con "All Day and All of The Night". Gli organizzatori del Festival, puristi del folk, non sembrano apprezzare, al contrario di Dylan che dice "Hey, questi sono i Kinks!".
Si parla spesso dell'influenza esercitata da Dylan sulle band britanniche 60s, nel caso dei Kinks, a guardare il film, sembrerebbe quasi un'influenza al contrario (cioè i Kinks che influenzano Dylan). 
Ray Davies ha affermato che: "Quando scrissi Sunny Afternoon non ascoltavo altro che Maggie's Farm di Bob Dylan e un greatest hits di Frank Sinatra, mettevo su Bringing It All Back Home, poi Sinatra, Glenn Miller e Bach. Credo che tutto questo insieme abbia influenzato la canzone".
Al contrario, l'influenza dei Kinks su Bob Dylan non è mai stata dichiarata tranne che nel frammento del film, Dylan dice che "Subterranean Homesick Blues" è stata influenzata da "Too Much Monkey Business" di Chuck Berry, coverizzata e ulteriormente velocizzata proprio dai Kinks nel loro debutto del 1964.
Dave Davies su X, dopo aver visto il film, scrive a Bob Dylan: "Sono onorato che ci siano i Kinks nel tuo film, io e mio fratello siamo sempre stati grandi fan della tua musica".

JEREMY GLUCK DEI BARRACUDAS SU LEAVE HOME DEI RAMONES


Quando ero ancora a Ottawa, dopo che l'album dei Ramones mi aveva cambiato la vita, bazzicavo da Arthur's Place, un negozio di dischi e libri usati gestito da due hippy, dove mi rifornivo di bootleg, fumetti e cazzate varie. Ricordo quel giorno perché stavo curiosando e dando un'occhiata ad un bootleg dei Ramones e uno dei proprietari mi disse: “La curiosità ha ucciso il gatto”. Lo comprai, un vero e proprio bootleg con una semplice custodia bianca. Il suono faceva schifo: avevo un concerto migliore a casa, su una cassetta che avevo registrato al debutto dei Ramones a Toronto, due set in meno di un'ora. Ho avuto quella cassetta per molto tempo e vorrei averla ancora. Non avevo ancora “Leave Home” quando ascoltai “Glad To See You Go”, che credo sia la mia canzone preferita dei Ramones. In un certo senso, e non sono certo l'unico, tutta la mia storia musicale è legata ai Ramones. La mia vita è nata e si è sviluppata grazie a loro. È banale ma vero. Alcune persone trovano Dio - io ho trovato i Ramones. (Beh, anch'io ho trovato Dio, ma si è dimostrato inaffidabile. Mentre “Sheena Is A Punk Rocker” non mi ha ancora deluso).

Prima di ascoltare i Ramones, li vidi in foto sulla rivista Rock Scene di Richard e Lisa Robinson, sgranata e grandiosa, dove, mese dopo mese, divenne evidente che a New York stava accadendo qualcosa di grande come negli anni Sessanta. Avevo sedici, diciassette anni e ritagliavo e attaccavo le foto dei Ramones al muro e alla porta... e non li avevo mai sentiti. Ma lo sapevo che sarebbero diventati uno dei miei gruppi preferiti.

La prima volta che ascoltai i Ramones fu un'epifania. Tornai da scuola e sentii, dalla stanza di mio fratello maggiore, uno strano ronzio e un rumore pulsante. Mio fratello David mi aveva educato nel modo giusto in fatto di gusti musicali e da qualche settimana eravamo in modalità veglia in attesa del debutto dei Ramones. Entrai e glielo chiesi e lui mi lanciò uno sguardo beatificante di approvazione congiunta. Passai settimane a riascoltare l'album, e poi anche “Leave Home”, che ancora oggi trovo perfetto e di gran lunga il migliore del gruppo.

“Glad To See You Go” mi ricorda sempre, nel suo impatto, ciò che Dave Marsh disse di ‘The Real Me’ in apertura di ‘Quadrophenia’ degli Who: “...il suono di uno stivale chiodato che calcia una vetrata”. E da lì in poi le cose migliorano, mentre la confraternita di freak di Forest Hills ammucchia canzoni che solo i Beatles del loro tempo potevano fare. Il suono, reso possibile dal batterista Tommy, è magnifico, tutto pulito, lucido e brutale. Joey canta in modo straordinario, con i suoi belati da Mersey di maniera che spaccano il cuore, mentre le demenziali decostruzioni Mosrite di Johnny trasformano tutto in una poltiglia degna di un esercito invasore. In sostanza, un classico americano che, francamente, ancora oggi è superiore a tutti i suoi imitatori. I Ramones capitano una volta sola in una generazione. Se non spesso. Segnatevelo bene, aspiranti...


Tratto da louderthanwar.com

PETER PERRETT E JOHNNY THUNDERS A LONDRA


Johnny Thunders entrò in contatto con gli Only Ones perché lesse su Sounds Magazine che Keith Richards stava ascoltando la loro cassetta. Quindi si presentò allo Speakeasy di Margaret Street (Londra) nel gennaio del 1977 per il loro concerto, al termine del quale disse a Perrett: "Adoro la tua voce". 

Parola a Peter Perrett: “Uscire con Johnny era sempre ricco di eventi e imprevedibile: era probabile che ti trascinasse sul palco senza preavviso o prove. Ma era un concerto facile. Tutto quello che dovevi fare era mantenere il ritmo e seguire la chitarra e la voce di Johnny. Nel 1977, Mike Kellie (batterista degli Only Ones) vedeva Babs Blackmore (l'ex di Richie). Mi invitò a una festa a casa sua in campagna, così andai con Johnny e Walter Lure dietro. Johnny passò molto tempo a parlare con Steve Marriott e Walter passò la serata a fare il DJ. Sulla via del ritorno a Londra fummo fermati dalla polizia. Sono sceso dall'auto per parlare con loro, fiducioso nella mia capacità di trasmettere auto controllo. Ho risposto alle solite domande. Stava andando bene. Poi Johnny emerse dal retro. Ha immediatamente adottato il suo personaggio sul palco, il suo accento strascicato newyorkese e le gambe molto traballanti. Tutto quello che potevo dir loro, a titolo di spiegazione, era “È americano!” Per qualche ragione, questo sembrava soddisfarli. Con espressioni perplesse, lo squadrarono dall'alto in basso e lentamente si allontanarono. Non ci hanno nemmeno perquisito. Siamo stati fortunati. Ci sono situazioni nella vita in cui si desidera mantenere un basso profilo, soprattutto se impegnati in attività illegali. Era impossibile per Johnny Thunders restare discreto. Era contro la sua natura."


PAUL WELLER MI HA FATTO UNA CASSETTA (CON IL MEGLIO DEL 2024)

Mi ha messo dentro:

LIAM BAILEY - ZERO GRACE

"Puoi sentire lo spirito del vecchio Soul ma anche del Rocksteady Jamaicano. Grande voce e grande songwriting."

SAMORY I - STRENGHT

"E' brillante, uno dei migliori sentiti da un bel po' a questa parte: è roots reggae e le canzoni parlano di unità e guarigione."

AMELIA COBURN - BETWEEN THE MOON AND THE MILKMEN

"Una grande voce folky, suona l'ukulele, l'ukulele baritono e il banjo, e ottiene dei suoni così diversi da ognuno di essi."

SHABAKA - PERCEIVE ITS BEAUTY, ACKNOWLEDGE

"Si, lo conosciamo già, ma è sempre fantastica musica spirituale."

VILLAGERS - THAT GOLDEN TIME

"Mi piace tutto quello che fa Conor O'Brien."

VEGYN - THE ROAD TO HELL IS PAVED WITH GOOD INTENTIONS

"Non so nulla di lui se non che viene da Londra Ovest."


THE (BEAUTIFUL) SLEEPING CITY


Intelligence Dept. / band ferrarese


Ferrara: a due passi dal grande fiume che fa da confine con il Veneto, ma concettualmente distante anni luce da Occhiobello. Se nel lato sinistro del fiume il tempo sembra essersi fermato alla metà del Novecento (ma possiamo allargare benissimo il concetto a tutta la campagna ferrarese), nel lato destro Ferrara è una città vivace, con le sue bellezze architettoniche e una fervente scena culturale cittadina.
Aggiungerei anche un certo fascino da città immersa nella nebbia e attorniata dai campi, atmosfera ovattata da cittadina di provincia: dopo una serata sottoculturale che si teneva in una specie di factory berlinese, uscendo per strada (zona stadio) non c'era anima viva, camminavo con l'eco della musica della festa che trapassava i muri dello stabile, passo dopo passo diventava un rumore di fondo distante, attorno a me tutto immobile. Bellissima situazione. Anche il festival lo era: "Subculture", tre giorni di dj set, live, presentazioni libri. Ho visto la reunion degli Strike, gruppo storico ferrarese ska fine 80s /primi '90s che mi sono piaciuti molto. Pezzi autografi di un certo livello e tre cover che marcano il campo, "Wrong'em Boyo" dei Clash, "A message to you, Rudy" e "Concrete Jungle" degli Specials. C'erano anche un paio di pezzi che parlavano di calcio e hanno scatenato l'entusiasmo degli aficionados spallini: Ferrara sembrerebbe essere un tutt'uno con la propria squadra di calcio. Roba a livello di Verona, Bergamo, Vicenza. C'è pure una commistione speciale tra sottoculture e curva cittadina, devo recuperare quel libro del Gruppo d'Azione uscito qualche anno fa per Red Star, magari mi da qualche informazione in più. Negli anni '80 a Ferrara c'era un giro punx con gli Impact come band di riferimento, un nome storico della scena nazionale. Poi c'era anche il giro new wave, rappresentato dalla compilation manifesto della scena: "A White Chance" del 1984, con dentro Intelligence Dept. (autori dell'inno "The Sleeping City"), Plastic Trash e Go Flamingo!.C'era una geografia cittadina di luoghi subculturali, piazze, pub, luoghi d'incontro. Alla Mutua i Mods, i punk all'Acquedotto, a Villa Fulvia i freak, con lo Stadio che rappresentava il punto di unione tra tutte queste bande.
Gli Strike nascono nella seconda metà degli anni '80 immersi in questo brodo di coltura: «C’era questa piazzetta, Gusmaria, e questo locale, il Magic Pub, dove accadevano le cose. Era un posto frequentato da teppisti, delinquenti, drogati, spacciatori, ma anche dagli artisti, e tutti questi mondi si interfacciavano tra loro. C’era Carlo l’arciere, li costruiva anche per il Palio riprendendo la tecnica direttamente dal Medioevo, c’era l’eroina e tutte le altre droghe che giravano. Tutte tranne la cocaina, al contrario di oggi» (tratto da Listone Mag).
Nei primi 90s l'esplosione su scala nazionale, cento concerti all'anno, Arezzo Wave e "La grande anima" per Vox Pop. Ultima espressione musicale cittadina di un certo rilievo sono stati "Le Luci della Centrale Elettrica" di Vasco Brondi nei mid anni zero. Segnalerei anche lo studio di registrazione "Natural Head Quarter" dove hanno registrato dischi importanti per la scena italiana Giorgio Canali, i Tre Allegri Ragazzi Morti, i Melt, Super Elastic Bubble Plastic e tanti altri. Ferrara è anche letteratura e cinema, spesso interconnessi. Il grande Giorgio Bassani, Michelangelo Antonioni e tante altre storie che se vi va potete scoprire nella (beautiful) sleeping city.

JOHN KING PIE & MASH

 JOHN KING TOP 12 PUNK SONGS (playlist per Rebellion Festival)



1. THE MEMBERS / THE SOUND OF THE SUBURBS

2. SHAM 69 / BORSTAL BREAKOUT

3. THE RUTS / IN A RUT

4. THE LURKERS / AIN'T GOT A CLUE

5. X RAY SPEX / AIN'T GOT A CLUE

6. THE JAM / DOWN IN THE TUBESTATION AT MIDNIGHT

7. THE CLASH / WHAT'S MY NAME

8. SEX PISTOLS / PRETTY VACANT

9. RAMONES / SHEENA IS A PUNK ROCKER

10. T REX / 20th CENTURY BOY

11. SLADE / THEM KINDA MONKEYS CAN'T SWING

12. SWEET / BALLROOM BLITZ

AMERICANI STRACCI: NOSTALGIE SU PELLICOLA E SCONTRI GENERAZIONALI


Dal Mel's Drive in di Modesto dove si ritrova la ghenga di American Graffiti alla Malibù di Big Wednesday sono circa cinque ore di macchina. La prima sta in area San Francisco, la seconda Los Angeles. Una specie di derby cinematografico giocato nel 1962, Young Americans in tarda adolescenza che hanno appena scoperto il rock'n'roll (genere che ha solamente sette anni di vita) e che però, questo poi il minimo comune denominatore, sembrano già pronti a prendere posto nella vita matura, quella seria. Non tutti, ma una parte di loro si. Questo è l'elemento nostalgico che si riscontra, l'adolescenza raccontata prima che arrivi un Vietnam qualsiasi come in Big Wednesday o l'università (pardon, il College) come nel caso di American Graffiti. Sono dei film quindi in qualche maniera legati alla linearità del sistema, gioventù e maturità, mettere la testa a partito. Interessante questo punto nell'epoca post post odierna, dove l'adolescenza non finisce mai e a sessant'anni si è ancora giovani. Interessante pure la parabola del rock'n'roll originario, da genere deviante, non eseguito però con consapevolezza deviante (Elvis era pur sempre legato alla mamma e ad una visione certamente non progressista), a genere che segue in qualche maniera l'età dei suoi adepti che dopo qualche anno di baldoria devono prendere posto nella società reale.
C'è un altro bel film a proposito, Elvis & Nixon, dove in qualche maniera Elvis si propone al Presidente come infiltrato nel movimento contro culturale dell'epoca (siamo in piena contestazione giovanile) sfruttando la sua immagine e popolarità. Il problema è che ai ragazzi del 1968 frega gran poco di Elvis ma anche dei Beach Boys, per dire. Sono su altri lidi, Doors, Jefferson Airplane, etc.
Un altro esempio della distanza che intercorre tra le due generazioni è nella scena di Big Wednesday ambientata nel 1968 in cui il bar in cui erano soliti trovarsi i ragazzi protagonisti (il film è ambientato in quattro stagioni, 1962, 1965, 1968 e 1974) ha cambiato gestione ed è in pieno trip hippie: "Non sono tuo fratello, abbassa la musica". Anche se forse l'apogeo sul tema la possiamo trovare su "Nato il 4 luglio", con il cambiamento di prospettiva che porta la partecipazione alla guerra in Vietnam in un giovane americano tradizionalista e conservatore. Come dire, il rock'n'roll va alla guerra e torna flashato perdendo l'innocenza.

GUANTI DA PORTIERE ANNI '80





 


Fondamentalmente erano due i marchi dei guanti usati dai portieri negli anni '80 e '90: Reusch e UhlSport.
UhlSport fu fondata nel 1948 a Balingen (zona Stoccarda), mentre la Reusch nel 1934 a Bolzano.
Quest'ultima solitamente esce con due collezioni: "Goalkeeper" (guanti da portiere) e Winter (Sci Alpino, Snowboard). La Uhlsport, invece, esce solo con la collezione dedicata ai portieri.
L'ultimo Dino Zoff indossava Uhlsport, come Walter Zenga, Tacconi, Garella; tra gli attuali citiamo Maignan.
Per la Reusch abbiamo Giovanni Galli, Fabrizio Lorieri, Taffarel. Buffon esordì nel 1995 con un paio di guanti Reusch.

THE OLD OAK / KEN LOACH


"The Old Oak", il nuovo film di Ken Loach uscito nelle sale a novembre, sembrerebbe essere un aggiornamento di prospettiva che collega le lotte dei minatori inglesi periodo 1984/85, quantomeno il loro contesto ed alcuni dei suoi partecipanti, all'arrivo nel 2016 in una cittadina della Contea di Durham, poco a sud di Newcastle, di un gruppo di rifugiati siriani.

Questo fatto porterà presto all'emergere nei locals di due diverse posizioni in merito: da una parte solidarietà nel nome di principi, diciamo così, "internazionalisti", dall'altra chiusura verso il "diverso".

Ken Loach rivolge quindi la sua macchina da presa verso i nuovi problemi del quotidiano, come del resto ha sempre fatto nel suo percorso cinematografico ultra cinquantennale. Una lucida visione che prende in considerazione diversi punti di vista, diverse angolazioni. In questo caso si parte da un contesto sociale inglesissimo e già abbastanza depresso economicamente e socialmente, con un senso di vuoto lasciato dalla chiusura delle principali fonti di reddito locale, le miniere, e gli effetti visibili che questo ha lasciato sul territorio. Nel mezzo la storia di uno storico pub locale, “The Old Oak” appunto, del suo gestore e dell'amicizia con una ragazza siriana: quindi abbiamo il pub, simbolo totale di tradizionalismo, che si apre ad una inedita forma di solidarietà organizzando nella saletta nel retro dei pranzi misti tra le due popolazioni. Proprio quella saletta che fungeva da supporto logistico alla lotta dei minatori trent’anni prima. Questo ad alcuni degli avventori piacerà, ad altri no. Non spoilero oltre. Nella mia colonna sonora immaginaria (a proposito, non c'è praticamente mai musica in tutto il film) avrei visto bene pezzi dei Redskins, dei Jam, degli Specials ma anche degli Streets o dei Sleaford Mods: non ci sono ma avrebbero decisamente aggiunto ulteriore valore alle immagini.

Non è la prima volta che Ken Loach affronta l'argomento minatori: già nel 1984 e quindi in diretta, lo fece con il documentario "Which side are you on?". Lo sciopero dei minatori britannici ebbe una durata di circa un anno, da marzo 1984 a marzo 1985, una reazione alla decisione del governo Thatcher di chiudere diversi siti estrattivi e la conseguente perdita di molti posti di lavoro (parliamo di 20000 lavoratori da riqualificare). Un tema che andrebbe sviscerato approfonditamente in altra sede considerando un contesto sociale “public addicted” come quello britannico dell’epoca, la trasformazione o addirittura l’esaurimento minerario di settori non più chiave ma anche ovviamente la difficoltà di reinserimento lavorativo di intere zone produttive e delle famiglie ad esse associate.

Lo sciopero ricevette l’attenzione e il supporto di alcune bands: tutte le canzoni dei Redskins di quel periodo sembrano un’istantanea del momento.

Paul Weller si mobilitò con la creazione del "Council Collective" ai primi di dicembre del 1984 allo scopo di organizzare iniziative e concerti a favore dei minatori. Il collettivo realizzò un 12", "Soul Deep": “L’obiettivo era di raccogliere fondi per i minatori in sciopero e le loro famiglie prima di Natale, ma ovviamente alla luce del tragico e disgustoso evento nel sud del Galles con l’omicidio di un autista di Cab, alcuni dei fondi andranno anche alla vedova dell’uomo. Sosteniamo lo sciopero dei minatori, ma non la violenza. Non aiuta nessuno e crea solo ulteriori divisioni tra le persone. Se i minatori perdono lo sciopero, le conseguenze saranno avvertite da tutte le classi lavoratrici. Ecco perché è così importante sostenerli. Ma la violenza porterà solo alla sconfitta – come tutte le violenze alla fine”. In qualche modo un’iniziativa esemplificativa della stranezza (direi pure grandezza) degli Style Council: a “Top of the Pops” in ghingheri con un pezzo disco funk, le luci stroboscopiche e con un testo che dice: “Ci sono persone che lottano per loro comunità, non dire che questa lotta non ti coinvolge, se appartieni alla classe operaia questa è anche la tua lotta”. Gli Style Council amavano spiazzare, tutto il loro percorso vive di questi contrasti.

“Council Collective” che sarà in qualche modo preludio a quello che avvenne nel gennaio del 1986, a sciopero ormai concluso, con la creazione del "Red Wedge" da parte di Weller, Billy Bragg e Jimmy Sommerville post Bronski Beat: altro collettivo aperto con organizzazione di concerti (Housemartins, Big Country, Beat, Angelic Upstarts e molti altri tra i partecipanti) ed iniziative in chiave anti Thatcher in vista delle elezioni del 1987 (vinte dalla Lady di Ferro).