HAPPY MONDAYS - CAMBRIDGE CORN EXCHANGE - 02/11/ 2019

L'idea di andare a vedere i Mondays a Cambridge ci venne un sacco di tempo fa, precisamente a febbraio: è passata la primavera, è passata l'estate, e ogni due/tre giorni mi tornava alla mente che il 2/11/2019 li avrei finalmente visti.
Nel 2011 si vociferava di un loro concerto a Bologna, all'Estragon, che fu cancellato a poche settimane dallo svolgimento, e quella fu l'unica occasione in cui mi avvicinai remotamente all'ipotesi di vederli, anche perché poi la band andò ai pit stop fino allo scorso anno.
Partiamo in due venerdì 1/11 da Venezia, su di una scatoletta Ryanair: io devo smetterla di viaggiare così, viaggiare dev'essere un piacere, non un ansia.
Vabbè, solita trafila di lusso Stansted, treno, Tottenham, Liverpool Street e là prendiamo la Central fino a Queensway dove abbiamo alloggio.
A Queensway/Bayswater avevo dormito la prima volta che andai a Londra, 2009, cinque giorni.
Il quartiere mi è sempre piaciuto, in prossimità di Notting Hill: a me piace Londra Ovest, Londra Est non l'ho mai calcolata, se togliamo qualche passeggiata da brivido a Whitechapel, con il fantasma di Jack lo Squartatore alle calcagna.
Ho sempre alloggiato a Londra Ovest e così continuerò a fare. Who, Pistols, Notting Hill reggae, Chelsea, Qpr, Rough Trade, Uxbridge, Clash, Quadrophenia, Stuart's: tutta roba di questa zona.
Dopo il check-in ci spariamo un giro di gran classe in centro tra Oxford, Soho e Covent Garden e già iniziamo a fare incetta di dischi e libri (ah, il caro vecchio consumo culturale).
Visitiamo negozi di vestiti a go go, Nigel Cabourn a Covent con la giacca disegnata da Liam a mille sterline tipo.
Londra è sempre un florilegio di emozioni, cammini sollevato un paio di metri da terra, testa tra le nuvole, canzoni che fluttuano nella memoria, flashback.
Alle 18.00 un bel crodino al Bar Italia non ce lo toglie nessuno, troviamo Bradley Wiggins, facciamo una foto e qualche scambio di battute, una persona molto alla mano e disponibile.
Tornando a casa a piedi verso Bayswater troviamo un pub, The Swan, decidiamo di cenare là (ottima scelta, fish & chips di gran qualità) e là faremo serata raggiunti poi dall'amico Alessandro, con cui condivideremo molte pinte di London Pride e Session Ipa finchè ad una certa non ci sbatteranno fuori dal locale.
Bene, prima giornata volata in un battibaleno. Bellissima, ma non c'erano dubbi.
Il sabato mattina la sveglia suona verso le 9.00, un leggero mal di testa che viene smaltito con una camminata verso Notting Hill sotto il diluvio e una full english di peso.
I pub sono già pieni zeppi, c'è la finale di rugby tra Inghilterra e Sud Africa.
Tradizionale passeggiata in Portobello e altra incetta di dischi da Rough Trade West.
A pochi metri c'è la Westway, i Clash che dicevano "Siamo il suono della Westway" e "From Westway to the World", oppure i Blur di "Under the Westway" e di "I bought them on the Portobello Road on a saturday..". Honest Jon's appena dopo sulla destra, dove Elvis Costello spese 100 sterle di roba reggae appena firmato il contratto nel 1977.
Vabbè, sto delirando. Londra mi fa questo effetto positivo.
"In the city there's a thousand things I want to say to you."
Decidiamo di andare a Bricklane, in zona est, giusto perché abbiamo appuntamento con altri tre soci a Liverpool Street e ci va di farci trovare in zona per tempo. 
Giro da Rough Trade East (ottimo) e da Number Six (bel negozio sul pezzo), mettiamo sotto i denti qualcosa in una specie di nuovo fast food italo/spagnolo e verso le 17.00 siamo in treno con direzione Cambridge.
La cittadina è piccola, sembra quasi impossibile che riesca a fare oltre 100.000 abitanti, le strutture e le vie deserte in zona stazione rimandano l'idea di una piccola tranquilla realtà, ovviamente legata al giro universitario ma ben che finita là.
Syd Barrett era di Cambridge, abitava dietro la stazione, lo si vedeva spesso in centro a farsi qualche passeggiata.
Check in all'ostello e giù con una pinta al The Eagle Pub, un bel pub con una sua personalità ed un ottima scelta brassicola, dove scopriamo fu annunciata la scoperta del DNA nel 1953 da parte di alcuni studenti dell'Università.
Decideremo di ritornarci una volta terminato il concerto.
Ora è tempo di recarci al vicino Corn Exchange per assistere ai Mondays: un bel flash trovarsi a pochi metri da Shaun Ryder, Bez e Rowetta.
Canzoni che hai ascoltato mille volte allo stereo e adesso te le trovi fatte dal vivo.
Ancora un bel gruppo loro: quadrati, personali, innovativi.
Funk, dance, new wave, soul, rap: dentro al loro suono riesci a scorgere nitidamente le varie componenti che si fondono a creare una qualcosa di unico, poi imitato da più parti.
Dove sono i giovani inglesi? Ci sono solo cinquantenni, gente che aveva vent'anni nel 1989. I giovani dovrebbero essere orgogliosi di andare a vedere un gruppo come loro che insegna la strada a venire, e invece saranno in qualche cazzo di Mc Donalds a guardare l'Iphone. Peccato.
Criminali da Salford che suonano come se fossero al pub, immobili, totalmente estranei a qualsiasi stereotipo rock: e poi l'idea geniale di piazzare Bez a ballare, a movimentare un po' la scena visto che gli altri stanno fermi come pali e concentrati.
C'è anche qualche tardona che prova a ballarci "culo contro culo", accettiamo di buon grado, ci lasciamo un po' andare, i Mondays fanno "Step On", balli a braccia larghe, fingiamo di essere nel '90, i Mondiali in Italia, "World in Motion" dei New Order come colonna sonora.
Non suonano tantissimo, un ora e mezza forse: poco, ne vorremmo ancora, non ci basta.
Beh, ce li siamo propri goduti questi due giorni in Uk, contento di averli fatti, valgono come un mese da noi, con la routine che ti ammazza e ti fa programmare la prossima trasferta (il prima possibile!).






ALTA PADOVANA PUNX

Sabato 30/06 e domenica 01/07 /1984 si tenne a Cittadella il "Meeting '84", una sorta di raduno punx hardcore di cui in paese capita se ne parli ancora oggi (l'altro evento, diverso ma comunque alternativo, furono i Cure in Campo della Marta nel 1989).
Chi c'era al tempo dice che Cittadella fu invasa da orde di punx che misero sotto scacco i giardini di Porta Padova, una sorta di leggenda provinciale che viene tramandata nei baretti del centro.
Questo il volantino della due giorni:


 
Un'altra storia interessante riguarda il paese di Lobia, un frazione di San Giorgio in Bosco poco a sud di Cittadella, dove nel 1984 vivevano e agivano i Link Larm, in una specie di comune punx di campagna.
Questo un estratto del demo, si trova anche su youtube, undici pezzi di hardcore amatoriale in linea con i dettami dell'epoca:
 
 
Il batterista dei Link Larm era Alli, figlio di Enrico Maria Papes, batterista del gruppo beat i Giganti.
Alli dal 1985/1986 passò a suonare con i Contropotere, band anarco punx che girò parecchio a livello di squat lungo la seconda metà degli anni '80 (si veda anche l'intervista a loro nel libro "Lumi di Punx" di Marco Philopat).
 

NOEL GALLAGHER - HEATON PARK - MANCHESTER 07/06/2019

Il 30 dicembre scorso eravamo a Manchester e nella stradina dietro OiPolloi avevo visto il poster che segnalava il concerto di Noel Gallagher ad Heaton Park previsto per il giugno successivo.
Il mio amico mi fa: "Io ci vado, ho già preso i biglietti". "Allora vengo anch'io" gli ho detto, e così mi sono organizzato di conseguenza.
Arriviamo a Manchester verso le 18.00 di un giovedì sera abbastanza fresco, saranno 15 gradi. La prima sera la passiamo mangiando pie and mash, andando a visitare esternamente l'ex Hacienda e gli uffici della Factory Records e bevendo svariate pinte in giro. Da segnalare l'ottimo Lass O'Gowrie Pub, giusto davanti alla Factory, che scoprirò essere stato insignito nel 2012 del titolo di miglior pub inglese.
Venerdì mattina dedicato all'acquisto di dischi nel Northern Quarter e all'Arndale, visita al Salford Lads Club (in un quartierino mica da ridere) nel primo pomeriggio e poi tram direzione luogo del concerto, qualche km a nord rispetto al centro città.
Il parco è immenso, ruota panoramica, tremila stand gastronomici, vento e pioggia.
Bicchierone di caffè caldo e barretta di Mars ("I need a Mars Bars" cit. Undertones) e ci garantiamo un ottima postazione a poche decine di metri dal palco, anche se dobbiamo beccarci tutta l'esibizione dei White Denim che stracciano le palle dopo due pezzi, con un mix malriuscito di Talking Heads dei poveri e altre cianfrusaglie indie partorite molto male.
I Doves invece fanno il loro, giocano in casa: pezzi molto malinconici che ben si intonano al contesto e quaranta minuti di esibizione riuscita che scaldano la platea in vista di Noel G.
Cosa posso dire su di lui? Che la sua ora e mezza mi ha lasciato una sensazione di gran qualità, un po' come quando avevo visto Paul Weller.
Ha fatto principalmente i pezzi dell'ultimo, qualcosa degli altri due e qualcosa degli Oasis. Ripescaggi come "Talk Tonight" o "Half the World Away". L'ultimo disco è ottimo, c'è ricerca, c'è una visione artistica d'insieme, in confronto a quello di Liam fatto con il pilota automatico non c'è paragone.
Ripensavo proprio a quando avevo visto Liam a Colonia l'agosto scorso, per carità, una bella ora di divertimento. Ma lui degli Oasis le aveva fatte praticamente tutte, Noel qualcosa di selezionato.
Beh, alla fine la differenza sta tutta la, uno è un performer e l'altro un artista. Beninteso che comunque Liam a me sta molto simpatico.
A me della serata è rimasta in testa soprattutto "Everybody's on The Run" con Noel che indica con la mano come a voler mostrare la direzione, e "Keep On Reaching" caratterizzata da un duetto con una corista di colore, molto Style Council o Joe Jackson di "Down to London".
Non avevo mai assistito ad un concerto in un festival inglese e il pubblico locale mi è sembrato parecchio su di giri con il lancio continuo di bottiglie di plastica e sigarette sulla testa della folla a farla da padrone. Mettici il fango per terra e la pioggia in cielo, insomma quella di Manchester è stata ribattezzata dal sottoscritto come "la battaglia di Heaton Park". Nota di colore: i marchi che ho notato di più sono stati Lyle & Scott, Patagonia e Berghaus.

LEMONHEADS / LOCOMOTIV BOLOGNA / 24/02/2018

Al Locomotiv non c'ero mai stato, ma si è rivelato essere un ottimo club, inserito in un bel contesto sportivo/ricreativo in un parco tra campi di calcetto, tennis, bocce, bar/osteria.
E' domenica sera ed è tutto sommato abbastanza pieno e i Lemonheads alle 22.00 salgono sul palco.
Le prime dieci canzoni son puro powerpop americano /indie, un suono molto chitarroso e con melodie superbe, suonate con attitudine scazzata slacker.
"It's a Shame About Ray", l'album del 1992, racchiude tutto questo in maniera eccellente, è un disco che incontrai ancora da adolescente e che non ho mai abbandonato dai miei ascolti.
Di Evan Dando, cioè il solo intestatario della ragione sociale Lemonheads, se ne sentono dire di tutti i colori: è in terapia, è esaurito, ha preso troppe droghe e via dicendo.
Il primo impatto che ho nei suoi confronti è di una sorta di componente dei Beach Boys esaurito mentalmente, un bravo ragazzo che nella sua vita ne ha viste di tutte i colori e non si è mai del tutto ripreso.
Fisicamente appare in forma, indossa una t shirt dei Jerry's Kids, storico gruppo hardcore di Boston (città dello stesso Dando). E' lo sguardo stanco e di ghiaccio che lascia presagire scenari ignoti.
Questi si paleseranno soprattutto nel finale dell'esibizione quando il nostro prima si incazza con uno del pubblico (a due metri da me) per motivi ignari a comprensione umana, poi butta per terra l'asta, quasi sfascia la chitarra, lava il pubblico con una bottiglia di Jameson, fa un pezzo in cui canta e basta senza l'ausilio di alcun accompagnamento musicale e, dulcis in fundo, si siede alla batteria e per cinque minuti inizia a suonarla da solo. Delirio totale. Però bello, punk: eccola qua la vera Generazione X! Che palle quando le cose diventano stantie e spente.
Evan Dando ha fatto una grande performance. Personalmente avrei tolto qualche canzone acustica dal set però stiamo parlando di cavilli perché quel che conta è il complesso e devo dire che è stata una grande serata.

DIAFRAMMA / VINILE / ROSA' / 08.02.2019

Sarà la quindicesima volta che vedo i Diaframma ed ogni volta son là che fremo come un bambino, in settimana mi riascolto tutti i dischi e sbircio su Setlist la scaletta.
I primi di gennaio ero a Firenze per il Pitti e allora ne ho approfittato per andare da Contempo, il negozietto di dischi epicentro della wave fiorentina, e comprare l'ultimo "L'abisso".
Oddio, non è che sia il loro capolavoro, però qualche bel pezzo c'è: "Leggerezza" dai toni new wave, "L'impero del male" che sembra una dei Tre Allegri Ragazzi Morti, "Così Delicata" stile Velvet Underground, "Luce del Giorno" dal testo positivo.
Il Vinile non è strapieno, io e i miei soci siamo praticamente tra i più giovani nel locale, ma chissenefrega.
E' stato un anno impegnativo per Fiumani quello appena trascorso: la rissa con Lorenzo Moretto (il batterista dei Diaframma) durante un concerto a Roma, un bel disco con Alex Spalck dei Pankow, il polverone scatenato dalle accuse di molestie (via facebook) all'organizzatore di un festival di Genova, il nuovo disco a dicembre. Che anno il 2018!
Nelle ultime interviste l'ho trovato ancora più a nudo del solito, "L'abisso perché sto andando verso la vecchiaia, inizierà il mio abisso personale".
Del disco le ha suonate praticamente tutte, forse qualcuna poteva saltarla. Con i grandi classici la platea si è scaldata, "Diamante Grezzo", "Amsterdam", una grande "Gennaio" molto partecipata (anche dal sottoscritto..).
Alla fine mi son divertito alla grande, come sempre. E pensandoci non è che ci sia un gruppo che ho visto tante volte così e che ogni volta mi da qualcosa. Non so, vorrà dire qualcosa immagino.

NU GUINEA - PADOVA - HALL - 06/10/2018

Ero abbastanza preso dall'idea di vedere i Nu Guinea a Padova, del resto il disco gira ininterrottamente nella mia auto dai primi di giugno, però alla fine diversi particolari hanno concorso alla non completa riuscita dell'esibizione.
Demis mi aveva detto: "Non so se venire perché ho paura di restarne deluso". L'avessi ascoltato!
Ma il problema non sono i Nu Guinea, che per questo tour hanno messo su una band vera e propria, ma il locale, l'Hall di Padova.
In piena zona industriale, un contesto che ti far venir voglia di non metterti a trovare parcheggio ma di ripartire in fretta verso mete migliori, distanti parecchi km da queste zone malate diventate simbolo del nordest produttivo.
Io però credo ad una altra verità, credo nel Veneto dei centri storici, del Palladio, della bellezza, della natura, dei campi a perdita d'occhio.
Non mi va di passarmi la serata in zona industriale, dentro ad un capannone col palco montato e farmi mezzora di colonna per una birra rancida perché "c'è solo una cassa".
L'audio, nella prima mezzora di concerto, era pessimo. E ci credo, siamo dentro ad un capannone, cosa vuoi aspettarti?
Un casino infernale, strumenti che non si sentivano, voci troppo alte, rimbombo.
Il sound raffinato dei Nu Guinea sotterrato da problemi tecnici a non finire, poi qualcosa si è aggiustato e gli ultimi pezzi son stati decenti.
Questa è musica da ballare in riva al mare, o per un aperitivo in centro vicino ai palazzi storici della città, non c'entra niente con i capannoni. Non è techno, non è punk Detroit: è jazz funk di classe e necessita di un contesto appropriato.
All'Hall non ci torno più, trovo più gusto nell'immaginarmi i Nu Guinea ad Ibiza che non vederli realmente in queste condizioni.
Che gente c'era? Boh, Hipster senza una direzione, look abbastanza a caso con mancanza di particolari e parecchio presi dalle droghe e dai diritti civili.
Pareva di essere tornati al 2004/2005, certe sere al Capannone Sociale di Vicenza, però là si sentiva meglio. Che poi mi domando come fai a proporre un ambiente di scarsa qualità nell'epoca dei social network, con la gente che ti lascia recensioni negative al primo futile pretesto.
Questi mica ti perdonano nulla, è gente cresciuta nella bambagia dei social network, mica come me che sono cresciuto in strada, con le mie motivazioni che provengono da una percorso diverso.
Ritornando alla musica, spettacolare la cover finale di "Amore" dei Chrisma, mi tornava in mente quel video al Festivalbar all'Arena, 1976, con Christina Moser al top, una dea bionda a Verona.

GLEN MATLOCK - GOOD TO GO

A conclusione della recensione dell'Ep "Sexy Beast", uscito poco più di un anno fa, avevo scritto che sarebbe stato molto interessante poter ascoltare qualcosa sulla lunga distanza, nello specifico un album, che si muovesse entro le stesse coordinate sonore, ed eccomi accontentato.
Aspettative ben riposte? Beh, direi proprio di si: "Good to Go" è un gran bel disco, riuscitissimo, sicuramente tra i miei preferiti del 2018.
Canzoni molto semplici nella struttura, ottime melodie e poco spazio a sperimentalismi di sorta: classicismo, tradizionalismo, roba duratura forgiata dal tempo. Questo concetto, se vogliamo, è un aspetto fondamentale nella storiografia di Matlock che già nei Pistols aveva dato problemi per via dei suoi gusti considerati "classici" o della sua visione non così progressista come poteva essere quella di Johnny Rotten; in realtà i Pistols erano una band dal suono classico, non erano i Pil, e Glen Matlock compose gran parte della musica.
Ecco, questo è un buon approccio per avvicinarsi all'ascolto di "Good to Go": dentro ci sono certi richiami ai Kinks primi anni '70 ("Won't Put the Brakes on Me"), rock'n'roll torbido ("Wanderlust") e anche un pezzo che starebbe benissimo cantato da Joey Ramone ("Piece of Work").
Dovessi scegliere la preferita, direi "Strange Kinda Taste", un bell'impasto di Kinks /Small Faces /Power Pop che nel lettore in macchina gira che è un piacere.
La formazione che accompagna Glen Matlock è la stessa dell'Ep, Slim Jim Phantom, Stray Cats, alla batteria e Earl Slick, carriera di ultralivello, alla chitarra: questo incastro risulta fondamentale nella buona riuscita dell'album, lo stile di entrambi si nota, non passa assolutamente sottotraccia.
In realtà la domanda che mi faccio da qualche giorno è questa: sarà questo album apprezzato in giro? Avrà il giusto riconoscimento? Boh, mistero.
Sarebbe bello se la band intraprendesse un bel tour in formazione completa, invece so che Glen gira spesso solo con l'acustica. Vedremo. Nel frattempo me lo riascolto un altra volta.




LIAM GALLAGHER / PALLADIUM / COLONIA / 5.07.2018

A Colonia per Liam Gallagher c'eravamo già stati i primi di marzo, salvo poi scoprire, solo a pochi passi dal locale, che il concerto non avrebbe avuto luogo causa mal di gola del nostro.
Qualche imprecazione e grida al cielo non mancarono, poi una cena in una birreria di Heumarkt mise le cose a posto; pochi giorni dopo, il concerto venne riprogrammato per il 5 luglio e allora ci siam detti "perché no?".
Tanto il biglietto già ce l'avevamo.
Siam partiti in due, in macchina, la prima notte sul Lago di Costanza, la seconda nella dura Francoforte, la terza siamo a Colonia, tocca a Liam.
Io il Palladium già lo conoscevo perché ogni due anni vado a Colonia ad un fiera espositiva del settore in cui lavoro, e l'anno scorso un'azienda di cui siamo clienti ha fatto la propria festa proprio all'interno del locale.
Subito avevo pensato che mi sarebbe piaciuto tornarci per un concerto, qualche volta faccio questi viaggi mentali quando un posto mi piace, e alla fine non ho neanche dovuto attendere chissà quanto tempo per rimetterci piede.
Il pubblico al Palladium era abbastanza sciatto, tedeschi appassionati di rock non appartenenti ad una specifica sottocultura, livello di stile al "piano terra".
Qualche specie di casual ma poca roba, le facce non erano giuste, poco fascino, non mi trasmettevano nulla.
La birra però era buona, quattro/cinque bionde sono andate giù in scioltezza.
I Sherlocks non mi sono piaciuti, i suoni erano ok, ma i pezzi fighi latitavano: gli abbiamo dato un occhiata dieci minuti dopo siamo andati un po' in giro giusto per far qualcosa.
Liam, invece, ha fatto un signor concerto secondo me. Qua i pezzi giusti ci sono, lo sappiamo tutti, e quelli del nuovo album girano bene dal vivo.
Tiene il palco ottimamente, tra smorfie, imprecazioni e tic. Bello quello che appena finisce di cantare si scosta leggermente dal microfono all'indietro, guarda per terra con una smorfia e poi riprende a cantare.
Vabbè detta così non vuol dire nulla, comunque l'ho notata, mi è rimasta impressa.
Durante il concerto pensavo che lui è del 1972, è sulla scena da quando aveva 22 anni, ha passato una vita sotto i riflettori: insomma, è forgiato e adatto a fare quello che fa, sennò sarebbe già caduto dal carro.
Poi mi piace che voglia fare la rockstar, a voi no? Gli Oasis arrivano dal mondo indipendente, ma non si sono mai vergognati ad ostentare, oserei dire, la loro posizione al top. E perché dovrebbero poi?
Ha suonato un ora, la durata giusta: dopo troppo che sei in piedi cominci a stancarti, i Ramones a inizio carriera suonavano venti minuti. E poi quel che conta è l'intensità, non la durata.

MEMORIE ULTRA'



L'11 giugno 2000 era una domenica e il Cittadella andava a giocarsi la finale promozione per l'accesso alla serie b al Bentegodi di Verona, contro il Brescello.
Avevo 13 anni, ma dovevo esserci.
Era già da un paio d'anni che seguivo i granata al Tombolato, la prima partita Cittadella - Varese nella stagione 1997/98, "Area Granata" e "Brigata Veleno" in tribuna ovest, Zanda, Gela, Pojana, Bubba, i Fratelli Trentin: un bel gruppetto.
La promozione in C1 a Ferrara contro la Triestina, la Brigata Veleno che diventa Commando Ultrà Cittadella e io che inizio a frequentare gran parte delle partite casalinghe.
La stagione 1999/2000 è decisamente turbolenta: scontri con i Senesi, scontri a Sandonà di Piave e semifinale con il Varese con gli ospiti che devastano il loro settore e i lacrimogeni a saturare l'aria.
Arriva domenica 11 giugno: dico ai miei che vado a Cittadella, prendo la bicicletta, mi trovo con un amico e raggiungo il piazzale del Tombolato alle 14.00
Non si capisce bene cos'ha organizzato il Cuc, in settimana si parla di un pullman, poi, quando siamo la, vien fuori che si andrà a Verona in treno.
Si organizza un mini corteo per una Cittadella deserta, siamo una trentina, molte teste rasate, anfibi, sciarpe, magliette del gruppo; uno skinhead vede il poster di un concerto dei 99 Posse previsto al Pedro e via di "me ne frego".
Raggiungiamo la stazione di Cittadella e viene concordata con qualcuno delle Fs una riduzione comitiva per viaggiare fino a Verona: cambio a Vicenza, nella stazione che da li a pochi mesi inizierò a vedere tutte le mattine per andare a scuola.
Io in tasca avrò diecimila lire, cinque le spendo per il treno, e mi resta da farmi altre sei/sette ore in giro con la rimanenza.
A Vicenza il ricordo nitido di un ragazzo dei nostri che ascolta musica da un walkman, robaccia da discoteca hardcore; io all'epoca ascoltavo Vasco Rossi e Bob Marley. I Ramones arrivarono l'anno dopo, nel 2001, e cambiò tutto.
A Verona la polizia ci inquadra e ci fa fare una specie di corteo fino al Bentegodi, ma è tardi, la partita sta per cominciare, con il Cuc si arrivava sempre in ritardo dopo essersi trovati anche tre ore prima.
Entriamo in ovest, il settore a noi riservato, verso la curva nord: viene attaccato lo striscione gigante, "Commando Ultrà Cittadella" in pvc, c'è quella foto che campeggia ancora adesso al Cetra, ci sono anch'io col cappellino alla pescatora ma non mi vedo, sono nascosto.
C'è gente del Padova tra di noi, il Cuc è formato da ex ultras patavini, una cosa che molti ora fingono di non ricordare o non sapere.
C'è una gran umidità ma la partita e spettacolare, il Cittadella pareggia all'ultimo minuto e dopo i supplementari è promosso in virtù del miglior piazzamento stagionale.
Quelli del Brescello si menano tra di loro, avevo un corrispondente da Brescello conosciuto tramite Supertifo che nelle lettere che mi inviava faceva sempre simboli di estrema destra, tuonato totale.
Noi festeggiamo, poi i celerini cominciano a manganellare, "avete rotto i coglioni" "è ora che ve ne andiate", già a 13 anni inizi a capire un po' di cose, erano tempi particolari: l'anno dopo il g8 fu un massacro ma i ragazzi che frequentavano le curve conoscevano già bene quel clima.
Del ritorno mi ricordo che avevo una gran sete, non avevo più soldi e me la dovetti tenere.
Verso Cittadella qualcuno iniziò a devastare il treno, calci sui portacenere, estintori lanciati, non capivo, non mi piaceva quel modo di fare le cose, magari erano gli stessi che volevano "un Italia in ordine" e poi si comportavano così.
Dieci giorni dopo avevo l'esame di terza media, i 2000 erano iniziati..


MANCHESTER NORTH OF ENGLAND

La Cherry Red ci ha preso gusto con i cofanetti celebrativi e caccia fuori questo cofanetto 7 cd dedicato alla scena di Manchester, che io prontamente mi autoregalo per il compleanno.
Il periodo preso in esame va dal 1977 al 1993, un epopea musicale incredibile in cui le parole chiave sono: Buzzcocks, Joy Division, Factory Records, Smiths, Madchester, Oasis (ai primordi).
I Buzzcocks danno via al tutto, organizzando il celebre concerto dei Sex Pistols del 4 giugno 1976, e poi esordendo come gruppo spalla un mese dopo quando la band londinese ritorna al nord.
Il 4 giugno, alla Lesser Free Trade Hall di Manchester, ci sono 42 persone, la metà circa delle quali divenne, di lì a breve, "un qualcuno" nella scena musicale mancuniana e britannica.
Sono stati scritti libri su quel concerto.
Tra il pubblico c'erano i futuri Joy Division, c'era Tony Wilson, Mark E. Smith dei Fall, c'era Morrissey: può bastare?
Non mi va di fare un trattato sui soliti noti, sul cofanetto c'è tanta di quella roba che è bello starsene li buoni e mettersi a studiare la storia, le connessioni, le micro scene.
Mi piacciono molto il power pop di Any Trouble e Distractions, gli Swamp Children, che nei primi '80 pubblicarono un ottimo album jazz funk new wave con la Factory; oppure i Manicured Noise, qui presenti con "Faith", a cui è legata una storia particolare della loro batterista, che successivamente suonò una delle più famose band rock argentine, i Sumo, guidate dall'italiano Luca Prodan.
Mi ci perdo in storie così.
E i Mock Turtles che grandi singoli han tirato fuori in piena era Madchester? E "Box Set Go" degli High che pezzo è? E l'ultimo singolo prodotto dalla Factory, "Camper Van" degli Adventure Babies, come vi sembra? Parliamone, mi prendo tutto il tempo.
Facciamo una serata insieme, qualche birra e magari un dj set "Solo Manchester" a corredo.

SENZABENZA - GROOVE - LUGO (VI) - 09/03/2018

Tutta la settimana che ho in macchina "Gigius" ed è un gran bel ascoltare, disco della Madonna.
Il mio, poi, ha una particolarità: è masterizzato in traccia unica (l'originale gira intorno alle cento bombe..) e non puoi fare skip tra una traccia e l'altra ma te lo becchi tutto dall'inizio alla fine. Nessun problema, le canzoni sono tutte di valore, punk rock melodico direttamente influenzato da Ramones e Hard Ons con l'aggiunta di qualcosina di power pop. Tutto questo nel 1993.
Parlare dei Senzabenza vuol dire parlare di uno dei nomi di punta dell'alternative italiano degli anni '90 in senso lato. Gente che ha suonato in giro per l'Europa, che in Italia trainava la stagione del "Flower Punk Rock", che apriva le date italiane dei Ramones, che nel 1996 volava a New York e si faceva produrre un disco da Joey Ramone in persona.
Pensavo in questi giorni al fatto che non ci sia neanche un libro che racconti quella stagione, ed è un gran peccato perché è una scena nazionale da cui sono emersi bei nomi (Senzabenza, Manges, più tardi Peawees) che un certo riconoscimento internazionale di culto l'hanno ottenuto.
L'anno scorso i Senzabenza han fatto uscire un disco, "Pop from Hell", che è uno dei dischi più belli del genere ascoltati negli ultimi tempi, pieno power pop.
Insomma, è un gruppo ancora vivo, presente, ed è una gran fortuna averli ancora in giro, almeno per me.
A maggio 2017 l'occasione di vederli a Carmignano di Brenta, due passi da casa, quest'anno si organizza una macchinata e si sale fino al Groove di Lugo, alto vicentino.
In apertura gli ottimi Pyjamarama, nuova band messa in piedi da Teo dopo la fine dei gloriosi Melt; punk pop cantato in italiano con testi di valore, roba di qualità.
Poi prendiamo posto in prima fila birre in mano e ci becchiamo un ora abbondante di Senzabenza con tutte le hit al loro posto e i pezzi del nuovo album che riscuotono consensi favorevoli anche da chi non l'ha ancora ascoltato.
Canti, cori, dita al cielo, sorrisi, sguardi, tutto il corollario di sensazioni che le serate come queste sono in grado di darti, tant'è che penso che sarebbe bello seguirli in tutte le date che fanno in giro per lo Stivale ("Molliamo tutto e seguiamo i Senzabenza in giro per l'Italia"cit.).
Li richiamiamo noi sul palco per qualche bis e loro accettano di buon grado.
A fine concerto facciamo due chiacchiere con loro, persone disponibili e alla mano, e in breve tempo ci ritroviamo a fare la serata insieme tra giri offerti, risate, cazzate, aneddoti su Johnny Ramone e annebbiamento alcoolico che coi minuti si fa sempre più invadente. Che serata!


PUNK IN OSTERIA

Il 30 dicembre son stato a Lugo alla presentazione del bellissimo libro di Massimo Fagarazzi, "Il tempo brucia le tappe", incentrato sulla scena underground vicentina degli anni '90.
Oddio, non era una presentazione vera e propria, quella era già stata fatta in maniera compiuta il 7 dicembre a Vicenza; diciamo che si è colta l'occasione della chiusura di un osteria storica legata in qualche maniera alle vicende del libro per tentare di presentarlo anche in quel contesto.
Il luogo in questione è l'Osteria Bidese, adagiata sulle rive del fiume Astico tra le colline dell'Alto Vicentino con le Prealpi a vista d'occhio.
Assume una propria rilevanza nel contesto alternativo/underground vicentino in quanto proprio dietro all'Osteria c'era la vecchia sala prove dei Melt, la fenomenale punk rock band di Lugo con la quale tutti noi siamo cresciuti.
Siamo a livelli di agiografia, un po' come quando a Londra vai in Denmark Street perché sai che ci provavano i Pistols.
Da fan dei Melt può solo che farmi piacere tutto questo, ho sempre pensato a loro come ad una tra le band più sottovalutate dell'intera scena, sebbene abbiano suonato parecchio in giro e i loro dischi li abbiano fatti; potevano davvero diventare i più grandi di tutti, son sempre stati di un livello superiore.
Ad ogni modo intorno alle 17.00 siamo entrati nell'osteria, una stanzetta con bancone e due tavolini, che era già bella piena di una fauna divisa tra frequentatori abituali e gente interessata alla presentazione del libro.
I frequentatori abituali erano lì per rendere il giusto tributo ad un luogo parte delle loro vite: mi metteva tristezza pensare a tutto questo, al fatto che dal giorno dopo là dentro non ci sarebbero più potuti entrare, ai cambiamenti in contesti non portati per i cambiamenti, conservatori di proprio.
Anch'io sono così di carattere, li capivo benissimo.
Si percepiva una bella umanità nella sala, verace, senza compromessi, tra brindisi e frasi scambiate con persone che non conoscevo.
Ho pensato a me, ai posti che frequento di solito, che vorrebbero darsi una patina di verità e autenticità e che in realtà possono solo pulire il culo all'Osteria Bidese e alle vecchie osterie: imborghesimento, incapacità di comunicare in luoghi che dovrebbero essere proprio deputati a socializzare. Ma come ci siamo ridotti?
Mi è salita una gran nostalgia del Bar Company di Sandrigo, dove, quando eravamo ragazzini, facevano concerti punk, e noi tutte le domeniche lì. Poi ci siamo allontanati da questi posti, è vero, troppo estremi  per certi versi, si rischiava di rimanerne intrappolati. E allora siamo andati in quei posti senz'anima che dicevo prima.
Punk in osteria, unione tra outsiders, per un attimo l'ho pensata così.
Poi però è salito su una panchina del Bidese il buon Massimo Fagarazzi e ha iniziato a parlare del libro con un approccio abbastanza colto e pieno di riferimenti letterari che a me piaceva, ma evidentemente non piaceva ai locals, visto che l'hanno interrotto più volte e dopo cinque minuti appena è sceso e ha lasciato perdere.
Gli ho detto: "Potevi continuare! Era una situazione bellissima", uno scontro tra cultura e base popolare che mi ha elettrizzato. Però immagino non fosse facile reggere la situazione.
E allora la magica unione si è dissolta, gli outsider locals sono diventati redneck, sembrava "Easy Rider". Se il branco capisce che potresti non essere come loro ti può anche sbranare.

MADNESS - GRAN TEATRO GEOX - PADOVA - 29/10/2017

Ho aspettato qualche giorno prima di buttare giù qualche riga sul concerto dei Madness e mi ha detto bene, nel senso che certe sensazioni vissute in diretta si sono successivamente un po' smorzate, o quantomeno ho voluto collocarle in un quadro generale.
Quali sensazioni? Beh, semplicemente l'esibizione al Geox non mi aveva pienamente convinto. Atmosfera tutto sommato floscia per gran parte del concerto e suoni provenienti dal palco non in linea con la ricchezza sonora di cui i Madness possono disporre.
Strano, a proposito dell'ultimo punto, che questo accada al Geox, location rinomata per la qualità sonora che avevo già avuto modo di testare in diverse occasioni.
Questo mi va bene che accada al concerto amatoriale sotto casa ma non in un posto dove paghi i tuoi bei 40 euro d'ingresso, ma tant'è.
Dicevo che queste sensazioni si sono un po' smorzate nei giorni successivi, perché comunque poi mi è rimasto un ricordo tutto sommato positivo della serata.
Perché dai, sentire dal vivo certe canzoni è sempre bello e perchè è roba di qualità estrema, curata nei particolari e quintessenzialmente londinese.
Da amante dei Kinks è molto facile vedere nei Madness una prosecuzione di quel discorso, soprattutto nell'immaginario, ma questo non lo scopriamo certo adesso.
Probabilmente, quindi la verità sta nel mezzo: nulla da dire sulla classe della band, in questo caso però penalizzata dai suoni.
In quest'ottica la partenza con il cavallo di battaglia "One Step Beyond" è stata un mezzo passo falso. L'avessero fatta per ultima, dopo che il pubblico si era ben scaldato con la doppietta "House of Fun/ Baggy Trousers" sarebbe stata tutta un altra storia.
Belli i pezzi dell'ultimo album, "Can't Touch Us Now", l'ho ascoltato parecchio nell'ultimo anno.
Pubblico prevalentemente di stampo sottoculturale; in realtà loro in Italia sarebbero abbastanza conosciuti anche dal pubblico generalista, che li ballava nelle discoteche dello Stivale nei primissimi '80. In Inghilterra dire Madness è come dire Lucio Battisti da noi.
In apertura ottimi i Giuda, orgoglio italiano, oramai una garanzia.

PROTEX - FREAKOUT CLUB - BOLOGNA - 20/10/2017

Dopo una giornata di lavoro trascorsa in trasferta a Verona, arriva sera, salgo in macchina e imbocco la Brennero direzione Modena/Bologna.
Cena di gran classe in autogrill e intorno alle 22.00 arrivo comodo al Freakout Club.
L'impatto non è dei migliori: tetra location sotto il cavalcavia di via Stalingrado, graffiti in giro, capannello di alternativi della peggior specie che mi squadrano e addirittura il tipo dell'entrata che si assicura che io sia lì per i Protex.
Adesso, ok tutto, capisco il terzo mondo sottoculturale in cui si trova l'Italia, però questa gente mi ha veramente rotto i coglioni. Che poi suonano i Protex, non gli Exploited e neanche i Punkreas.
E io ho un parka blu, pullover, camicia, jeans e un paio di wallabee, cioè son vestito normalmente, non mi sembra di esagerare.
Ancora una volta questi ambienti si dimostrano di una grettezza unica, chiusi nel loro piccolo mondo alternativo che, sostanzialmente, ha distrutto ogni possibilità di sviluppo in senso lato del mondo sottoculturale.
Per quanto mi riguarda sempre guardia alta verso questi individui, verso la loro ignoranza non giustificata e il loro pressapochismo.
Poi al cesso altro sguardo incattivito di uno skinhead a cui rispondo mostrando i denti.
Che poi il tipo è il cantante del gruppo spalla, tali Zona Popolare, autori di un Oi gutturale, con qualche buona base di stampo punk'n'roll.
In realtà sembrano la cover band dei Nabat. Anzi, in realtà sembrano una specie di progetto sostenuto da una associazione che si occupa del reintegro in società dei ragazzi socialmente disadattati.
Interessante come cosa, ben vengano questi progetti sostenuti dal Comune. Togliamo i ragazzi dalla strada e mettiamoli in sala prove a suonare la musica della strada!
Alle 23.00 salgono i Protex, gente ce ne sarebbe anche, solo che la gran parte preferisce restare fuori a fumare. E qua i conti tornano col concetto che esplicavo poc'anzi circa il sostanziale disinteressamento di questi verso la musica.
Il concerto ce lo vediamo in venticinque persone, con i Protex che probabilmente si saranno chiesti in che razza di manicomio son capitati.
Forse sarebbe stato meglio farli in un bel pub.
Loro comunque danno un ora di lezione magistrale a suon di power pop suonato come Dio comanda.
Mi è sempre piaciuta la scena nord irlandese di fine settanta, loro, gli Undertones, i Moondogs, gli Starjets.
Roba gioiosa, innocente, giovane. Composta e suonata mentre la loro terra aveva ben altri problemi a cui pensare.
Nei Protex c'è il rock'n'roll e ci sono grandi melodie malinconiche, il tutto sostenuto da ritmi medi. Ogni tanto mi perdo ad osservare il batterista, è uno spettacolo, molto sincopato e poco lineare, sostiene tutto il sound.
I pezzi super sono: "I can't cope", "A place in your heart", "Don't ring me up", "I can only dream", "Strange Obsessions".Dai, stiamo parlando dei vertici del genere tutto. Roba per palati sopraffini. E il tipo prima mi chiede se sono venuto per i Protex. Ma nasconditi va e chiedimi anche scusa dell'affronto che hai osato farmi, che i Protex saranno sempre dalla mia parte, non certo dalla tua.
Ne suonano parecchie anche dall'album appena uscito, "Tightrope", gran bel disco.
"Even if I wanted to" è un lentone straordinario, prendetevi tre minuti e ascoltatela nel web, fatevi sto favore.
Io, ad esempio, ho comprato il cd e mi son fatto l'ora e mezza del viaggio di ritorno che l'avrò ascoltata dieci volte. Poi ogni tanto spegnevo la radio e cantavo da me "A place in your heart".



999 - DUBLIN CASTLE - LONDON - 29/09/2017


Mi sparo un bel corso di aggiornamento a Londra composto da musica, football, shopping, pub e club.
Siamo in tre, arriviamo il venerdì ad orario pranzo e dopo il pomeriggio passato a zonzo, alla sera ci dividiamo per qualche ora: i miei due soci vanno al derby di Londra ovest Qpr - Fulham, io vado a vedere i 999 a Camden.
Nel 2016, qua a Londra, mi sono beccato Members e Lurkers in due serate differenti, quest'anno i 999: senz'altro cose di cui andare fieri!
Poi un conto è vederti il gruppo '77 da Londra in tour, che ne so, a Vicenza, in un contesto totalmente avulso da qualsiasi pretesa storico/temporale, un altro paio di maniche è vederseli a Londra.
Capito che siamo nel 2017 e non nel 1977, ma per me ha comunque il suo fascino vedermeli giocare in casa.
Il concerto si tiene al Dublin Castle, il pub dove iniziarono i Madness (spacciandosi come gruppo jazz) e dove, gira voce, potevi trovare frequentemente Amy Winehouse; sopra il bancone campeggiano diversi bei poster dei Nutty Boys.
La sala preposta al live, come da tradizione inglese, è separata rispetto alla zona pub.
Accedendovi mi rendo conto come sia strapiena e faccia un caldo tropicale; la maschera allo strappo-biglietti, capito che sono italiano, mi accoglie con un caloroso "Cassano!" che suscita in me una mezza risata.
Stan suonando i gruppi spalla, dentro si muore e allora preferisco stare al pub ad osservare la fauna e farmi un paio di pinte con pacchetto di patatine a corredo.
Il pubblico è composto da vecchi punk rocker dallo stile pulito, diversi skinheads, parecchie ragazze e qualche tipico coglionazzo "da Camden", quelli che di lavoro reggono i cartelli del negozio di tatuaggi.
Ce n'è uno parecchio ridicolo, con i capelli lunghi ma pettinati all'insù e divisi in una specie di due corna di color rosso. Ovviamente chiodo con borchie a profusione. Cazzo c'entra questa gente col '77 non l'ho mai capito, roba stereotipata condizionata dai mass media, pura spazzatura. Infatti poi verrò a sapere che il tizio è italiano, da Genova, e un po' c'era da aspettarselo.
E' l'ora dei 999 e prendo posto in sala. Nick Cash, cantante e chitarrista, sale sul palco passando in mezzo alla gente e allora ne approfitto per mettergli una mano sulla spalla e fargli un "Hey Nick!" a cui risponde salutando sorridendo.
Attaccano con "Black flowers for the bride", "Inside out" e "Hit me", tre discrete cannonate.
Sempre avuto un proprio stile particolare i 999, '77 molto vicino al power pop ("The biggest prize in sport" è un gran disco power pop), e dal vivo lo ripropongono in maniera sgraziata ed energica senza tanti conformismi.
Ogni tanto Nick Cash tossisce mentre canta, piccoli particolari che me li rendono ancora più simpatici.
Una tipa davanti a me mi sculetta addosso praticamente tutto il concerto, sia ben chiaro che non ho nulla contro e la lascio fare.
Dev'essere una molto appassionata perché sa anche "Really like you", che è si un gran bel pezzo, ma è su "Takeover" del 1998, non propriamente il disco più famoso dei nostri.
L'ultimo è "Death in Soho" del 2007, chissà se ne faranno mai un altro. Con queste band, ormai, siamo in un circuito totalmente slegato dal discorso "album/tour", è solo pura celebrazione e ci sta.
La sequenza finale della scaletta è monstre, con "Emergency", "Nasty Nasty" e "Homicide". Scusa tanto.
I bis ancora meglio, con "My Street Stinks" e "I'm Alive".
Esco bello soddisfatto e al pub trovo i soci post partita, la tipa di prima esce e mi canta "I'm alive", è venerdì, siamo a Londra e tra poco prendiamo e andiamo in un club ad Islington ad una serata britpop. Meglio di così!