Al Locomotiv non c'ero mai stato, ma si è rivelato essere un ottimo club, inserito in un bel contesto sportivo/ricreativo in un parco tra campi di calcetto, tennis, bocce, bar/osteria.
E' domenica sera ed è tutto sommato abbastanza pieno e i Lemonheads alle 22.00 salgono sul palco.
Le prime dieci canzoni son puro powerpop americano /indie, un suono molto chitarroso e con melodie superbe, suonate con attitudine scazzata slacker.
"It's a Shame About Ray", l'album del 1992, racchiude tutto questo in maniera eccellente, è un disco che incontrai ancora da adolescente e che non ho mai abbandonato dai miei ascolti.
Di Evan Dando, cioè il solo intestatario della ragione sociale Lemonheads, se ne sentono dire di tutti i colori: è in terapia, è esaurito, ha preso troppe droghe e via dicendo.
Il primo impatto che ho nei suoi confronti è di una sorta di componente dei Beach Boys esaurito mentalmente, un bravo ragazzo che nella sua vita ne ha viste di tutte i colori e non si è mai del tutto ripreso.
Fisicamente appare in forma, indossa una t shirt dei Jerry's Kids, storico gruppo hardcore di Boston (città dello stesso Dando). E' lo sguardo stanco e di ghiaccio che lascia presagire scenari ignoti.
Questi si paleseranno soprattutto nel finale dell'esibizione quando il nostro prima si incazza con uno del pubblico (a due metri da me) per motivi ignari a comprensione umana, poi butta per terra l'asta, quasi sfascia la chitarra, lava il pubblico con una bottiglia di Jameson, fa un pezzo in cui canta e basta senza l'ausilio di alcun accompagnamento musicale e, dulcis in fundo, si siede alla batteria e per cinque minuti inizia a suonarla da solo. Delirio totale. Però bello, punk: eccola qua la vera Generazione X! Che palle quando le cose diventano stantie e spente.
Evan Dando ha fatto una grande performance. Personalmente avrei tolto qualche canzone acustica dal set però stiamo parlando di cavilli perché quel che conta è il complesso e devo dire che è stata una grande serata.
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