Gang of Four!
IL MEGLIO DEL 2012 - DISCHI
Anno che volge al termine e quindi tempo di stilare liste.
Ecco un elenco, senza pretese classificatorie, di dischi usciti nel 2012 che ho apprezzato particolarmente.
Dischi Italiani
Diaframma – Niente di Serio
Decisamente un buon album per una band che rappresenta la storia del rock italiano.
Nel disco in questione vengono rappresentate alla perfezione le due anime del gruppo fiorentino, quella più rock e quella più riflessiva.
Offlaga Disco Pax – Gioco di Società
Oramai sono una certezza del panorama italiano.
Immaginario forte e dischi sempre ben fatti.
Karibean – Andersen
Italiani, scoperti quest’anno, stupiscono per il pregevole incrocio tra Ramones/Beach Boys/ Pastels, il tutto suonato come lo suonerebbe una misconosciuta band inglese epoca C86.
A Classic Education – Call it Blazing!
Un disco perfetto. Qua dentro ci sono canzoni che suonano decisamente senza tempo, pregne di melodie indimenticabili.
Un gruppo bolognese che se la gioca in tutto il mondo.
Dischi Stranieri
New Wave cupa, glaciale e stilosa; da ascoltarsi in cuffia mentre si attraversano a piedi deserte ghost towns post industriali.
Jah Wobble. Keith Levene – Yin & Yang
Parecchio solido quest’album dei due ex Pil.
Atmosfere Dub Rock metropolitane.
Jake Bugg
Sorprende in positivo l’esordio di questo sbarbato diciottenne inglese.
Canzoni classicissime che odorano di Beatles e Brit Pop.
Paul Weller – Sonic Kicks
La aspettavo attentamente questa nuova uscita di Paul Weller; risultato che convince per metà, visto che all’interno qualcosa di buono c’è, ma spesso è accompagnato da esperimenti non all’altezza della situazione.
Da segnalare anche:
Bruce Foxton (l'ho ordinato e sto aspettando di riceverlo, ma da quel poco che ho sentito sembrerebbe parecchio interessante), Madness (album carino ma non memorabile), Tre Allegri Ragazzi Morti (buon album, a metà tra lo stile classico della band e cose più nuove), Cribs (qualche pezzo britpop degno di nota, altri meno), Vaccines (mi piacciono a sprazzi).
ENRICO BRIZZI - L' INATTESA PIEGA DEGLI EVENTI
E' il secondo libro di Enrico Brizzi che leggo: il primo, "La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco", pur essendo un excursus per lo scrittore bolognese, lo avevo trovato divertente ed interessante.
Qui siamo nel 1960: la seconda guerra mondiale è terminata in un altro modo rispetto alla versione originale e il fascismo persiste, seppur con modalità leggermente meno totalitarie.
Il buon Lorenzo Pellegrini, trentenne giornalista sportivo bolognese, viene inviato nelle Repubbliche associate Africane (nello specifico Etiopia ed Eritrea) per seguire da vicino la Serie Africa, campionato calcistico locale.
Lo attenderà una realtà a suo modo moderna, vivace, attiva.
Aregai è un basettone, me lo vedrei bene a ballare Ska e Rocksteady con gli Skinheads a Londra nel '69, mentre Cumani è un giocatore working class che raffigurato sulla copertina mi ricorda vagamente Roberto Pruzzo.
TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI – VINILE – ROSA’ – 29/11/2012
STADI D'ITALIA
NORTHERN UPROAR - TRATTORIA ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 3/11/2012
E' autunno inoltrato e i concerti estivi hanno lasciato posto da un mesetto abbondante ai live al chiuso.
Nello specifico questo dei Northern Uproar si tiene presso la Trattoria Altroquando di Zero Branco, ambiente raccolto e casalingo nel bel mezzo delle provincie di Treviso, Padova e Venezia.
Chi si ricorda della band mancuniana?
Beh probabilmente qualche fan del Britpop minore anni novanta; fecero uscire un paio di album notevoli sulla scia dei primi Oasis proprio nella seconda metà dei 90's e poi sparirono nel nulla.
Peccato.
Succede spesso nel Regno Unito, dove band apprezzabili durano l'arco di un paio d'anni e poi vengono inghiottiti dallo stesso sistema che aveva provveduto a darli un minimo di notorietà.
Cambiano le mode di stagione e arrivano altre band che faranno esattamente lo stesso percorso dei Northern Uproar.
Ad ogni modo nel 2007 i nostri si riformarono e pubblicarono un nuovo disco passato sotto silenzio praticamente ovunque; da allora sono attivi in maniera sporadica con qualche live all'anno come qualsiasi band da cantina insegna.
La serata alla Trattoria Altroquando me l'ero segnata sul taccuino da un bel pezzo e non volevo perdermela per nessuna ragione.
Tre date italiane in acustico per gli inglesi, un mini tour decisamente di culto, con la band ridotta a un duo che alle 23.30 prende in mano le chitarre acustiche e per mezz'ora buona intona canzoni in cui risaltano a pieno melodie brit spolpate dall'elettricità dei dischi.
Il cantante ha la stazza più del magazziniere che del cantante rock: capelli corti, un bel pò di chili sovrappeso, abiti informali e un paio di adidas ai piedi.
Odio lo stereotipo di musicista rock tutto capelli lunghi/tatuaggi e i Northern Uproar sembrano rispondere a questa mia esigenza.
Non gliene frega nulla di apparire per quello che non sono: sono solamente due lads inglesi che pigliano la chitarra e cantano una decina di canzoni che parlano di vita di periferia e aspettative.
Che poi lo sappiano fare ancora particolarmente bene e che le canzoni suonino splendidamente a quindici anni di distanza, beh, questo non fa altro che aggiungere un bel pò di rimpianto per quello che poteva essere e non è stato.
ASOLO FREE MUSIC FESTIVAL – VENERDI 14 SETEMBRE - 2012

La serata di venerdì dell’Asolo Free Music Festival si colloca a chiusura di una primavera/estate che dal punto di vista concertistico mi hanno dato molte soddisfazioni.
C’ero già stato lo scorso anno ad Asolo per gli Skatalites e già allora mi sorgevano spontanee alcune considerazioni, del tipo: come fanno questi ragazzi a permettersi di organizzare un festival che ogni anno riserva in programma bei nomi, non facendo sborsare un euro al pubblico?
Siamo fortunati ad avere ancora situazioni tipo l’Asolo Free Festival ad ingresso gratuito, con la possibilità di trascorrere un paio d’ore al top.
Location importante e livello qualitativo sempre medio alto.
Poi, personalmente, sono contro la totale gratuità; o meglio, sarei a favore, ma a determinate condizioni che denotino un minimo di coscienza da parte del pubblico.
Sei consapevole dello sforzo organizzativo fatto per darti la possibilità di entrare gratis?
E allora spendili qualche euro al bancone delle birre.
Ti piace il gruppo? Allora prenditi il cd o la maglietta.
Cose del tipo portarsi le birre da casa ad un concerto gratuito sono mosse da avvoltoi, poi se le cose andranno male ci rimetterà chi è realmente interessato a questi eventi.
Detto questo, il primo gruppo che mi becco sono i Jennifer Gentle con un paio di membri dei Verdena: la serata non inizia sotto ai migliori auspici, per il sottoscritto, se per un’ora mi tocca sorbirmi canzoni in cui non trovo nessun motivo perché mi piacciano almeno un po’.
Mi sembra che sotto il palco ci siano ragazzine più interessate al fatto di trovarsi davanti qualcuno dei Verdena piuttosto che altro; addirittura una tipa che avrà vent’anni sale sul palco dal retro e si agita tutta con i soliti gesti da ragazzina perché emozionatissima di stare vicina ad uno dei Verdena.
“Cioè, non ci posso credere, è stupendo, cioè”.
L’ambiente è organizzato con due palchi: uno di grandi dimensioni ed uno che ricolloca il tutto ad una dimensione umana che apprezzo, tipo palco da club.
I Vindicators si esibiscono proprio sul secondo palco e danno vita ad un’esibizione davvero coinvolgente.
Riformatasi da poco, la band bassanese nacque nella seconda metà degli anni ’80 dopo l’esperienza dei Frigidaire Tango.
Probabile che dopo gli anni del grande gelo con i Frigidaire Tango i ragazzi volessero solo divertirsi un po’ suonando un rock’n’roll da party band.
E lo fanno molto bene: età media intorno ai cinquant’anni, zero paranoie, pezzi in rapida successione, energia e divertimento.
Il pubblico apprezza l’intensità del sestetto, un crescendo che ha il suo culmine nella parte finale del loro set dove i freni inibitori si sciolgono definitivamente sopra e sotto il palco.
La parte finale della serata è affidata a Pete Best e al gruppo che lo accompagna:
una band onesta, da pub, da ascoltarsi preferibilmente un venerdì sera d’autunno/inverno in un Irish Pub di provincia.
Rock’n’roll di prima mano, quello suonato dai Beatles nelle serate trascorse nei bassifondi di Amburgo, per sbarcare il lunario ed accumulare esperienza.
Sulla vicenda di Pete Best sono state scritte migliaia di parole; posso solo dire che bisogna essere bravi ad incassare il colpo di un allontanamento da una band, che poi sarebbe diventata la più famosa al mondo, un attimo prima che esploda.
Il buon Pete probabilmente se n’è fatto una ragione anni orsono; la storia sa essere crudele e richiede pure i suoi personaggi minori.
I GIORNI DELLA VENDEMMIA

“I giorni della vendemmia” rappresenta l’esordio in cabina di regia per il ventiseienne emiliano Marco Righi, che si presente al pubblico con un film dalla sceneggiatura decisamente affascinante.
Siamo nella campagna reggiana e l’anno è il 1984.
Il film ruota attorno ad una normale famiglia, composta da madre cattolica, padre socialista e figlio diciassettenne, Elia, un tranquillo ragazzo “di campagna”.
Già con queste caratteristiche Righi riesce a tratteggiare un preciso contesto sociale, nello specifico le due anime dell’Emilia di quegli anni, quella socialista e quella cattolica, entrambe molto presenti ed organizzate nel territorio.
Il ragazzo, Elia, viene rappresentato a metà tra due tendenze: da una parte la voglia di novità e di avventura, dall’altra una mentalità semplice, quasi “ingenua” nel senso positivo del termine, legata al territorio e ai ritmi lenti e pacifici della campagna.
Settembre è il mese di vendemmia, e per la raccolta dell’uva verrà a dar man forte alla famiglia una ragazza, Emilia (presumo intorno ai venticinque anni, nel film non viene mai specificata l’età se non che sta realizzando la tesi di laurea), molto libertina nei modi, che sconquasserà un po’ la vita di Elia.
Ad un contesto che personalmente trovo molto indicato per la sceneggiatura di un film ( e tuttavia non da molti utilizzato nel panorama italiano, se non solamente da Pupi Avati), va aggiunta, come punto di forza del film, la cura dei particolari.
La figura di Pier Vittorio Tondelli (la frase in apertura, “Altri Libertini” sul comodino del protagonista) e l’immersione stilistica nel bel mezzo degli anni ’80 appaiono sicuramente come ben riusciti.
A questi, però, vanno contrapposti quelli che ho trovato essere i punti deboli della pellicola.
Un’eccessiva lentezza nella parte iniziale (non sopperita, peraltro, dalla qualità dei dialoghi, decisamente basilari) e una staticità generale che poche volte viene interrotta.
Inoltre trovo che un maggior approfondimento di alcuni personaggi, come il padre oppure il ritorno estemporaneo del fratello maggiore, avrebbero sicuramente fatto bene all’insieme.
Nel complesso, comunque, non c’è motivo di essere eccessivamente critici: è il primo lavoro di un giovane regista ed è assolutamente giusto concentrarsi sul bicchiere mezzo pieno e su quanto di positivo emerge dal tutto.
LE MAGLIE DELLA SERIE A - 2012/13

Nuova stagione e nuove divise da gioco, andiamo a vederle nel dettaglio.
Atalanta: decisamente brutta, con tre strisce verticali davvero troppo larghe e quadrato dello sponsor principale che occupa molto spazio. Nella parte superiore stemma sociale posto al centro, scelta che giudico sempre negativamente, dato che dovrebbe stare a sinistra come tradizione vuole, però, guarda caso, a sinistra c’è posto per un altro quadratino con lo sponsor.
Di solito è difficile che la Macron faccia robe carine, non so neanche perché continui ad avere lavoro visto che la qualità estetica non è certo tra i punti cardine dell’azienda, ma forse delle cose fatte bene non frega più a nessuno.
Non bisogna aver fatto un patto con Dio per concepire una maglia decente.
Essenziale e con uno sponsor che con la trovata della P lunga è di per sé una bella cosa da vedere.
Brutto il riquadro nero con lo sponsor della Jeep e brutto lo scudetto al centro.
Lo scudetto va in alto a sinistra con sopra le due stelline.
Marca dello sponsor tecnico e simbolo sociale posti entrambi nella parte centrale superiore, come se si equivalessero.
Però nel complesso è fatta bene, essenziale e classica.
Comunque non male, stemma e sponsor tecnico al loro posto quindi ok.
No perché lo spazio dato allo sponsor sembra davvero spropositato. Brutta.
Questa però è priva di colletto, ha la scritta “Kappa” quasi su una spalla (le abbiamo viste davvero tutte) e inoltre ha uno sponsor che, è proprio il caso di dire, sporca la maglia, nel senso dispregiativo del termine.
Se si alzasse lo stemma sociale, si spostasse la scritta Legea al suo posto (cioè a sinistra) e si riducesse la larghezza della strisce sarebbe decente. Così non la regalerei mai all’ipotetico cugino da Udine.
PIER VITTORIO TONDELLI - RIMINI

L'ho letto proprio a Rimini questo libro.
Ho fatto apposta ad acquistarlo pochi giorni prima di partire in vacanza per la riviera romagnola; era anche un'occasione per leggere qualcosa di Tondelli, un'autore il cui nome mi ero segnato sull'agenda personale come "da provare".
Che dire? Aspettative sicuramente ripagate per quello che è davvero un libro molto ben riuscito, con una scrittura semplice, mai banale e mai noiosa.
Un libro che ti tiene incollato alla pagine, a voler saper come andrà a finire per me è il massimo, non credete?
Cosa cercate da un libro? Io cerco una storia, delle storie, in grado di catalizzare la mia attenzione, di farmi un'attimo viaggiare con la mente.
Missione compiuta Rimini.
Peccato che non sia stata realizzata la versione cinematografica del libro.
Si legge in giro che qualche offerta in merito fu proposta a PierVittorio Tondelli, però non se ne fece niente.
STATUTO - SELECTER @ FESTIVAL RADIO ONDA D'URTO - BRESCIA - 14/08/2012

Arrivo presto in quel di Brescia, intorno alle 19.30.
Parcheggio lungo la strada e attraverso una zona industriale deserta in cui l'unico motivo d'interesse è dato da una ferrovia sopraelevata non utilizzata; ci sarebbe anche una fermata fantasma non aperta, il che rende molto affascinante il tutto e mi fa immaginare che sarebbe bello venire da Cittadella in treno e scendere alla stazione a pochi passi dal Festival.
Avviandomi verso l'entrata noto che l'ingresso è gratuito; strano, penso.
Il concerto veniva segnalato ovunque con ingresso a 8 euro (prezzo onesto).
Così scopro che se arrivi prima delle 20.00 non paghi l'ingresso, mossa decisamente insolita per un concerto.
I miei sensi di colpa per non aver pagato vengono collimati dalla cena a base di panino salamina/patatine fritte e birra che almeno fa si che qualche euro al festival lo dia.
Il festival si svolge in un parcheggio di sassi, forse la location più brutta che abbia visto per un concerto; in confronto al festival di Radio Sherwood sembra di essere in una reggia, e rispetto a quest’ultimo si respira un’aria più “militante”, con tantissimi striscioni scritti a bomboletta pieni della classica iconografia da centro sociale del tipo “No Tav” e altra slogan.
Alle 21.00 salgono sul palco gli Statuto e mi piazzo nelle prime file, sperando che non arrivi il solito gigante che mi ritrovo sempre davanti ai concerti.
Non c’è molta gente, è davvero presto, però con calma l’area si riempie lungo l’esibizione del gruppo torinese.
Gli Statuto sono un gruppo abbastanza unico nel loro genere: un gruppo mod, che nel corso della propria carriera ha toccato varie fasi, dagli inizi underground, al festival di Sanremo del 1991, al ritorno ad una dimensione specifica ma neanche troppo, visto che comunque i loro dischi escono ancora per la Sony.
In quarantacinque minuti di esibizione suonano bene o male tutti i loro classici, anche se con qualche dimenticanza (vedi “Pazzo” o “Ghetto” che, secondo me, non dovrebbero mai mancare in un concerto degli Statuto).
Da notare il ritorno in versione live di un sassofono e di una tastiera che contribuiscono a dare al suono una maggiore fedeltà alla versione studio delle canzoni; l’ultima volta che ebbi modo di vederli, infatti,la line up non prevedeva altro che chitarra/basso/batteria, con le canzoni che assumevano dei contorni più grezzi e quasi punk rock.
Terminano con la cover di One Step Beyond italianizzata (Un passo avanti) e preparano degnamente l’ambiente all’arrivo dei Selecter.
Gli inglesi sono in otto: quattro bianchi e quattro neri, a voler sottolineare il concetto di “melting pot” che da sempre ha accompagnato la band e più in generale il discorso che portava avanti la Two Tone Records, di cui i Selecter furono uno dei gruppi di punta.
Suonano davvero bene i Selecter, con classe, stile ed energia, e le canzoni hanno tutte una resa pregevole.
Pauline Black balla e canta con una vitalità che colpisce; dico alla mia ragazza che la vedrei bene come barista.
Mi piacerebbe arrivare al bar di mattina e farmi servire Brioche alla crema e caffè da Pauline Black.
“Buongiorno”, “Buongiorno”, “Prende il solito?”, “Si, grazie”.
I pezzi forti ci sono tutti: “On my Radio”, “Missing Words”, “Time Hard”.
Su “Murder” io urlo “Merda” come faccio ogni volta che la ascolto in macchina; poco distante da me vedo dei ragazzi che continuano a ridere, forse anche loro la interpretano come me.
Il bis è affidato ad una lunga versione di “Too Much Pressure”, al cui interno si inserisce qualche verso di “Pressure Drop”.
Un bel concerto, davvero.
Vado in cerca del merchandising dei Selecter ma non lo trovo.
Poi usciamo e chiedo al nero che sta all’entrata se posso prendere il manifesto del concerto.
Lui ci dice di seguire i suoi colleghi che stanno andando non so dove, forse nello sgabuzzino in cui sono custoditi migliaia di manifesti da regalare ai fans devoti, penso io.
Dopo un po’ ci rompiamo il cazzo di seguirli e torniamo all’uscita ma il manifesto è sparito.
La gentilezza non paga.
FRIENDS AGAIN
NICK HORNBY - TUTTA UN'ALTRA MUSICA

Un libro piacevole e scorrevole, questo libro dello scrittore londinese tradotto e pubblicato oramai nel 2009.
Leggevo nel web di analogie con "Alta Fedeltà", e qualcosa potrebbe anche rientrare nella similitudine.
La passione per la musica (anche se qui è una passione monotematica verso un preciso autore) e il rapporto con le donne.
Nel complesso comunque "Alta Fedeltà" rimane una sorta di pietra miliare, anche se con quest'ultima lettura Hornby si riscatta dall'ultima prova che avevo avuto modo di leggere, quel "Non buttiamoci giù" che non mi convinse fino in fondo.
Su "Tutta un'altra musica" la storia si svolge per buona parte su due diverse collocazioni geografiche, Stati Uniti ed Inghilterra, per poi completarsi in quest'ultima.
Si parla, tra le righe, del ruolo che vanno ad assumere le nuove tecnologie nell'ambito dei rapporti umani, visto che è proprio grazie ad internet e alla sua capacità di connessione tra le persone che la storia ha modo di svilupparsi come si scoprirà sfogliando il libro.
STONE ROSES - MILANO - IPPODROMO DEL GALOPPO - 17/07/2012

Nella serie di reunion a cui si ha assistito nel corso di questo decennio e poco più dall’inizio del nuovo secolo, quella degli Stone Roses è apparsa oggettivamente come una delle più inaspettate (visto che solamente nell’estate del 2011 il chitarrista John Squire rilasciava dichiarazioni che non prospettavano certamente l’annuncio dell’effettiva riunificazione esternato solamente pochi mesi dopo) e soggettivamente come una delle reunion più gradite, se non la più gradita per il sottoscritto.
Oddio, il rischio che una band del calibro dei Roses corre in questi casi è che presentarsi palesemente fuori forma o, peggio, fuori tempo massimo, come accade a qualche band che ritorna sulle scene, potrebbe essere una parentesi evitabilissima per quello che di buono la band in questione ha costruito durante la propria carriera, ma fortunatamente questo non si è rivelato essere il caso dei mancuniani.
La storia degli Stone Roses appare decisamente curiosa: un album, omonimo, stratosferico nell’anno di grazia 1989, summa ed anticipazione di quello che sara poi noto come Britpop nel corso dei 90’s, una pausa discografica, dovuta a problemi di carattere contrattuale, durata ben cinque anni, e la pubblicazione di un secondo album, “Second Coming”, da molti bollato come poco riuscito e sicuramente inferiore al debutto (si poteva forse fare meglio?) ma pieno zeppo di buone canzoni anch’esso.
Stop.
Lo scioglimento del 1996 metteva la parola fine ad una delle esperienze più influenti della scena britrock tutta, però quello che la band aveva prodotto bastava sicuramente per inserirla di diritto nel club esclusivo delle cose più riuscite a livello musicale.
Il 17 luglio era insomma un giorno che aspettavo da tempo: a marzo, il primo giorno della prevendita, avevo già il mio bel biglietto in tasca per paura di un utopico “tutto esaurito” che ora mi rendo conto aver ingenuamente presupposto solamente nella mia mente; certo, gente ce né all’Ippodromo di Milano, ma siamo molto lontani dai numeri record registrati a Manchester nelle prime due date di questo tour.
Poco prima delle 22.00 i quattro di Manchester salgono sul palco e senza tante parole attaccano con l’intro strumentale di “I wanna be adored”, che è solo la prima tra le ottime cose prodotte dal gruppo che mi sarà dato modo di sentire nel corso dell’esibizione.
Durante il concerto, infatti, mi ritrovo diverse volte a pensare tra me e me che razza di repertorio si può permettere una band come gli Stone Roses; praticamente tutta roba ad alto, se non altissimo, livello di qualità.
Non c’è nulla fuori posto: dalle melodie pure di canzoni come “Sally Cinnamon” o “This is the One”, al groove dance virato Madchester di “Fools Gold” si tratta di un’ora che scorre via liscia che è un piacere.
Da segnalare il “mood” molto tranquillo della band sul palco che si amalgama bene al tiro “pigro” e sognante di molti pezzi della band.
La conclusione affidata a “I am the resurrection” è il perfetto sigillo sulla serata.
Ora, probabilmente vedere un gruppo nel proprio naturale contesto storico, come poteva essere assistere ad un concerto degli Stone Roses a fine anni ’80, resterà sempre di maggior rilievo che non assistere ad un concerto della stessa 20 anni dopo; però c’è da dire che l’ottima esibizione fa si che si esca tutti ben contenti dall’Ippodromo , e che forse bisognava “essere fatti di pietra” (cit.) per non apprezzare quanto visto.