Quando vado a vedere i Manges c’è sempre un buon profumo:
non so se siano loro che usano qualcosa di speciale, o il pubblico che si tira
a lucido, però è una cosa che noto dal primo loro concerto che vidi ai Cantieri
di Montecchio Maggiore nel lontano 2005.
E il profumo c’è anche in questa data mantovana del tour a
supporto del nuovo album “All is well”, impeccabile come al solito, a discapito
delle polemiche puriste circa l’abbassamento della manopola della distorsione
della chitarra: questo per capire a che livello ci si trastulla mentalmente in
certe sette.
Aprono i Leeches e mi sembrano in buona forma: una
mezzoretta di rude punk rock in cui svettano i loro classici testi in inglese
che parlano di cibo sotto svariate forme.
I Manges fanno il check praticamente prima di suonare,
scendono un attimo dal palco per poi risalire con la classica tenuta composta
da jeans e maglietta a righe orizzontali bianca e blu.
Aprono con “Plan Hololulu” e, una dopo l’altra, scaricano
addosso al centinaio di persone presenti il loro monolite punk rock
ramonesiano.
Tra me e me penso che sarebbe bello alternare ogni tanto i
pezzi più veloci con qualche pezzo un attimo più lento (e i Manges ne avrebbero
in repertorio); Manuel Manges alla batteria picchia il suo 4/4 iperveloce in
stile ”Loco Live” più che “It’s Alive”.
Del nuovo album fanno la già citata “Plan Hololulu”, “My Bad”,
“Panic at the Ice Rink”, “I tried to die young” e “Lone Commando”; il resto
della scaletta è preso da “Bad Juju”, “Go down” e “Good Enough”, con gli anni ’90
che vengono saltati in tronco.
Tre cover
dei Ramones (tra cui l’ottima “Somebody put something in my drink”).
Fanno in tempo a finire con “Say goodbye to your generation”
(cover dei Methadones) e a raccogliere i meritati applausi che inizia a
piovere; prendo la macchina e guido a zonzo per due ore per la bassa padana,
mentre fuori piove. Fantastico.
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