ALBERTO CAMERINI @ PERAROCK - PERAROLO (VI) - 23/07/2015
Ho il culto di Alberto Camerini dai primi anni zero, tempi di piena adolescenza; non mi ricordo bene come lo conobbi, probabilmente scavando a fondo nella notte musicale come si fa tra appassionati.
Negli anni acquistai un paio di suoi vinili, qualche cd ed ebbi anche modo di vederlo live due volte: entrambe quantomeno strane, in quanto il nostro Arlecchino metteva su un cd con le basi e ci cantava sopra, qualche volta prendendo il tempo, altre volte no.
Invece ieri sera a Perarolo (Colli Berici a sud ovest di Vicenza, da cui si può godere di uno stupendo panorama sulla città del Palladio) è stato diverso, più bello, degno della gloriosa storia del nostro Alberto.
Si è presentato con una band a supporto e insieme hanno macinato un'ora di good vibrations, con tutte le hit al loro posto ed altri pezzi punk meno conosciuti (provenienti dagli anni zero) ma non per questo meno efficaci.
Rock'n'Roll Robot, Computer Capriccio, Maccheroni Elettronici, Kids Wanna Rock.
Poi lui è un personaggio inafferrabile, non sai mai dove lo potranno portare i voli pindarici della sua mente: così tra una canzone e l'altra c'è tempo per ridere, per stupirsi di certe spiegazioni dettagliate a presentazione dei brani, per una citazione degli Sham 69, insomma per riconoscere che Alberto Camerini è un artista personale ed unico.
Una meteora nello star system italiano (che frequentò con profitto ed ottimi risultati nei primi anni '80), ma un punto fermo per coloro che lo apprezzano.
E allora in alto i calici e cento di questi concerti Mr. Camerini!
DICTATORS - ALTROQUANDO - ZERO BRANCO (TV) - 05/06/2015
Dopo una lunga assenza si torna all'Altroquando di Zero Branco, mitico locale incastonato tra le provincie di Treviso, Padova e Venezia.
L'occasione è di quelle ghiotte: ci sono i Dictators, storico gruppo di culto formatosi a New York nel 1973 e arrivato al debutto con lo splendido album "Go Girl Crazy" nel 1975, in anticipo su tutti i gloriosi esponenti della scena newyorkese.
Rock stradaiolo dai ritmi medi, rock'n'roll scarnificato, proto punk, suonato da una band vestita con jeans, maglietta e sneakers; c'erano anche altri quattro ragazzi, a pochi isolati di distanza, che iniziavano a fare qualcosa di simile a modo proprio, i Ramones.
Insomma c'è attesa, e intorno alle 22.30 la band sale sul palco; la prima parte di show è tutto sommato noiosa, contrassegnata da uno scialbo hard rock e da un suono generale che sembra non rendere al meglio.
Ci si inizia a muovere giusto con "Who will save rock'n'roll", che fa battere il piedino ed agitare le gambe.
Nel frattempo studio un pò il quintetto, il cantante Handsome Dick Manitoba con capellino in lana del Bronx anche se ci sono 40 gradi, il capellone Ross the Boss e la seconda chitarra Daniel Rey (in sostituzione del membro originario Andy Shernoff), produttore di alcuni album dei Ramones (nonchè co-compositore di alcuni pezzi degli stessi).
Forse una band un pò tamarra, ma un amico mi fa notare che se non fossero così non si chiamerebbero "Dittatori".
La seconda parte dello show va decisamente meglio, le canzoni iniziano ad essere di un certo livello ("Cars and Girls", "Faster and Louder") e contribuiscono decisamente ad alzare la media voto finale.
Un concerto onesto, dai; fosse per me avrei preferito che mi suonassero quasi interamente "Go Girl Crazy", aggiungendo i pezzi migliori dagli altri tre album e buonanotte ai suonatori, però ci si accontenta e ci si diverte comunque in questa calda serata di inizio giugno, e quindi va bene così.
LEONI
Quando ho sentito parlare per la prima volta di "Leoni" non nego di aver pensato: "Sarà il solito film che spara a zero sugli stereotipi veneti".
Poi è arrivata l'occasione di vederlo, in un cinemino di campagna con la presenza del regista in sala, e devo dire che invece mi ha colpito positivamente.
Niente stereotipi, niente denigrazione gratuita, solo uno spaccato tipico e caratteristico di una famiglia veneta.
C'è la crisi, ci sono gli intrighi della provincia, c'è una splendida Treviso; viene spontaneo, almeno per le ultime due voci, pensare a quel "Signore e Signori" di Pietro Germi che proprio a Treviso fu ambientato alla metà degli anni '60, oppure a certe opere del compianto Carlo Mazzacurati e al suo sguardo umano su questa terra.
Ecco, sarebbe bello che il regista Pietro Parolin continuasse sul solco tracciato proprio dal Mazzacurati, perché di quelle storie se ne sente ancora il bisogno.
PYJAMARAMA + MULETA - RICKY'S PUB - ABBAZIA PISANI (PD) - 09/05/2015
Metti una sera in provincia, Milan - Roma sul divano di casa e poi via al Ricky's Pub di Abbazia Pisani.
Stasera suonano le due incarnazioni dei Melt post scioglimento, i Pyjamarama e i Muleta: sono curioso, soprattuto dei primi che non ho mai visto.
Nei Pyjamarama ci sono Teo e Diego, basso/voce e batteria di casa madre Melt, nei Muleta Teno, l'ex chitarra.
I Pyjama, in termini sonori, sono praticamente la continuazione degli ultimi Melt, forse solo un attimo più diretti. Rock punk cantato in italiano, melodico e non banale.
Bevo una birra e penso ai Melt, al fatto che anni fa emergevi se eri valido senza tanta fuffa promozionale, c'erano ragazzi che seguivano il genere e in qualche modo ti premiavano con il passaparola, passando la cassetta all'amico e roba così.
Succede ancora qualcosa di simile là fuori? Non saprei.
I Muleta li avevo visti tempo fa e stasera li ritrovo più compatti, un bel suono elettrico dato dalle due chitarre e caratterizzato dall'assenza di basso: punk scarno e sonico, legato all'urgenza espressiva con un attitudine che mi piace.
I presenti apprezzano e si godono le vibrazioni.
TONY FACE - "PAUL WELLER - L'UOMO CANGIANTE"
Ho letto il nuovo libro di Mr. Tony Face, "Paul Weller - L'Uomo Cangiante": beh, devo dire che Paul Weller lo metto proprio lì, sul piedistallo dei miei preferiti.
I Jam in sette-anni-sette di carriera fecero un percorso straordinario, roba che adesso è impossibile fare, non so neanche se una band del nostro presente ce la fa in vent'anni a fare le cose che i Jam fecero dal 1976 al 1982.
I Jam, per certi versi, sono simili ai Clash: pochi anni di carriera, primo album al top, secondo un po' meno, e da li un crescendo entusiasmante fino alla prematura fine.
Weller con i Jam era sostanzialmente un arrogante coglione, permeato da una retorica working class inglese decisamente sulla difensiva, frasi forti e verità assolute in tasca a vent'anni circa.
Poi l'illuminazione con gli Style Council, si cambia: quello che si pensava prima non andava più bene, via le chitarre rumorose, dentro la contemporaneità (estetica e anche sonora se vogliamo).
I concetti forti rimangono, però quasi diametralmente opposti rispetto ai Jam: proclami anti Thatcher, il conservatorismo sociale inglese che ora va stretto, uno sguardo all'Europa, addirittura proclami a diventare "Internazionalisti" (chissà cosa ne pensavano i Clash, con i quali ai tempi dei Jam ci fu maretta per opposte visioni politiche).
Sono gli anni del Weller champagne socialist: curato, elegante, alla moda però con visioni politiche di estrema sinistra.
Gli Style Council implodono nel 1989, e da li inizia l'avventura solista di Weller che continua fino al giorno d'oggi e che io sto continuando a scoprire, nel senso che non ho ascoltato proprio tutti gli album come fatto con i suoi due gruppi precedenti.
Sono gli anni della maturità, permeati da una visione disincantata del presente rispetto ai furori e alle esaltazioni di Jam e Style Council.
Insomma, in Paul Weller i cambiamenti di direzione sono una marchio di fabbrica imprescindibile, da qui il titolo del libro.
Possono risultare patetici? Forse, però alla fine siamo tutti in movimento in cerca di qualcosa, e Weller in questo è uno di noi, un uomo.
UB40 - GRAN TEATRO GEOX - PADOVA - 28/03/2015
Non sapevo bene cosa aspettarmi dal concerto padovano degli UB40, però a fine serata sarò ben contento di aver partecipato ad una bella serata.
Le incognite potevano riguardare l'effettivo status di cui gode la band nel suolo italico e il particolare percorso che l'ha vista protagonista dagli esordi ad oggi; mi spiego bene: pur provenendo da un periodo storico sociale contemporaneo a quello che prenderà il nome di "suono two tone" (seppur basandosi sul reggae che non sullo ska) e pur abbeverandosi, a grandi linee, dalle stesse fonti musicali dei sopraccitati, è lampante che gli UB40 non godono del culto che possono avere i Madness o i Selecter presso i seguaci di questi suoni a queste latitudini.
Sostanzialmente in quanto poco ortodossi, troppo poco legati ad un immagine particolare e caratteristica, ma comunque in grado di scrivere una propria storia personale quantomeno fascinosa e con un successo di pubblico neanche paragonabile a quello degli eroi two tone.
L'idea alla base della band di Birmingham era quella di prendere i ritmi ballabili e cool del reggae e vedere cosa succedeva se a farlo era una band inglese con quattro bianchi e quattro neri: ne sono usciti album memorabili e altri meno, sicuramente abbastanza buone canzoni per riempire un live set e regalare un'ora e mezza di gran spettacolo al numeroso pubblico accorso al Geox.
Una scaletta che nel complesso li ha visti pescare lungo trent'anni di carriera, alternando brani autografi a famose hits reggae che gli UB40 incisero nella serie di album di cover "Labour of Love".
"Present Arms" e "Cherry oh Baby" hanno lasciato un segno sulla primissima parte del concerto, che complessivamente ha mostrato una band in ottima forma, dal suono ricco, preciso ed elegante, aiutata da una sezione fiati in gran spolvero.
L'ottima acustica della sala ha sicuramente giovato ad un esibizione che avuto il proprio culmine nella seconda parte: "One in ten" è pura Inghilterra 1981, Thatcher al potere, disoccupazione imperante (al cui modulo per la richiesta di sussidio gli UB40 devono il proprio nome), deindustrializzazione e futuro grigio, "Food For Tought" è il primo storico singolo datato 1980, "Red Red Wine" e "Kingston Town" sono due reggae songs immortali; entusiasmo che è continuato anche durante la finale e conosciutissima "Can't help falling in love" e che penso sia rimasto ai presenti a ricordo di questo sabato primaverile.
JIMMY'S HALL - KEN LOACH
Ieri sera ho visto Jimmy's Hall di Ken Loach al cinema; un cinema di periferia, di quelli piccoli distanti anni luce dalle grandi catene tipo McDonald's del cinema, il che non può che essere un bene.
Mi sono venute in mente un po' di considerazioni di cui vorrei scrivere qua:
1- Che Ken Loach è un lusso che ci sia ancora e in splendida forma come sempre: un film all'anno di media è veramente oro colato (sicuramente per me).
2- Che la sala che Jimmy apre nella campagna irlandese, una volta ritornato dagli Stati Uniti, è quanto di più simile ci sia ad un moderno centro sociale o Circolo Arci, di quelli caldi, accoglienti e funzionanti, con mille idee e la voglia di realizzarle, non di quelli stantii che puzzano di fermo.
3- Che i rapporti con la Chiesa, la quale nel film è decisamente mal disposta verso la socialità e l'attivismo della Jimmy's Hall, almeno nella mia esperienza sono stati decisamente diversi: prove con i gruppi in sale parrocchiali, concertini in patronati, insomma il famoso "punk parrocchiale" decantato da un famoso romanzo di Enrico Brizzi.
Ovviamente non esiste una risposta univoca: un po' sono cambiati i tempi, un po' nella Chiesa il '68 fece qualche sconquasso, un po' ci sono diversi tipi di preti e diverse maniere di interpretare il mondo giovanile.
Comunque gloria a te Ken Loach, per sempre!
EX CSI - NEW AGE - RONCADE (TV) - 31-01-2015
Circa un paio di anni fa, il buon Massimo Zamboni ha deciso di richiamare a sé i compagni musicisti con i quali condivise l'esperienza Csi (compresa l'epoca tardo Cccp) e insieme hanno ricominciato a girare la penisola con frequenza, inizialmente concentrandosi maggiormente sul repertorio della band madre ("30 anni di Ortodossia"), spostandosi ora sulla continuazione Csi.
Ovviamente non è
presente Giovanni Lindo Ferretti, sostituito nel ruolo da Angela
Baraldi; Ferretti con cui c'è stato si un riavvicinamento di
recente, ma evidentemente i tempi sono poco maturi per una reunion
completa del Consorzio (ammesso che ci sarà mai).
I Csi, storicamente,
iniziavano laddove terminavano i Cccp, solcarono tutti gli anni '90
pubblicando tre album di studio e raggiungendo un ampio consenso di
pubblico e critica, per terminare poi la corsa nel 2001, con
Ferretti che darà vita ai Pgr mentre Zamboni proseguirà da solista.
Fuori fa freddo, il
New Age è bello pieno e alle 23 circa sale sul palco la band
tosco-emiliana; "A tratti" è il primo brano in scaletta,
ritmo circolare e declamazioni mantriche, seguita dall'esplosione
rock elettronica di "Forma e Sostanza" con una Baraldi in
grande forma.Rispetto alla quasi caotica esibizione che avevo avuto modo di vedere al Festival di Radio Sherwood nel 2013, basata perlopiù sul repertorio Cccp, noto subito un paio di concetti: che l'esibizione in un posto chiuso giova al suono e alla compattezza del tutto e che forse, nell'insieme, le canzoni dei Csi meglio si adattano ad una riproposizione live con strumentario classico (chitarre/basso/batteria/tastiera), rispetto allo scarno punk di scuola Cccp.
In un abbondante ora e mezza, il pubblico del New Age ha modo di esaltarsi con tutti i grandi classici, da "Unità di Produzione" a "Linea Gotica", "Annarella" e "Depressione Caspica" recuperate dagli ultimi Cccp prima del gran finale affidato a "M'importa una sega", rock punk quadrato che scatena l'entusiasmo dei presenti.
I bis non vengono concessi, o meglio Canali dice che non gradisce "la farsa che noi usciamo e voi ci richiamate, così questi sono i bis!": una nuova composizione, "Il nemico", legata al nuovo progetto Ex-Csi "Breviario Partigiano" (libro+cd+dvd legati al tema della Resistenza) e una dilatata "Buon anno ragazzi" chiudono il sipario su una serata davvero riuscita. "Nessuna garanzia per nessuno".
RICHIE RAMONE @ GRINDHOUSE - PADOVA - 01/12/2014
Alla fine il buon Richie Ramone ha deciso di prendere l'aereo e di venire a fare un bel pò di date in Europa, e ciò non può che essere un bene per qualsiasi fan dei Ramones; ovviamente parlo dei veri fan, quelli che conoscono a memoria la sequenza degli album dal 1976 al 1996, che sanno come sono andate le cose e tutto il resto, gli altri si ascoltino pure Virgin Radio.
Detto questo, il Grindhouse è in una zona di Padova che non conosco, periferia est della città, zona di grigi uffici e strade deserte; è lunedì sera e fa freddo.
In compenso dentro il locale siamo quasi un centinaio e passata la mezzanotte Riccardo si concretizza nel piccolo palco: capelli tinti di nero, chiodo, all star rosse.
Tre album a metà degli anni '80 per lui, forse il periodo più duro per i Ramones, ma tutto sommato tre buoni dischi, tosti e diretti.
Ovvio che si pensi che la scaletta vada a pescare principalmente da quel trittico, considerando che Richie scrisse anche alcuni pezzi durante la sua permanenza in terra ramonica, ed effettivamente si vedrà giusto con somma gioia per le orecchie.
"Somebody put Something in my drink", "Animal Boy", "Smash You", "I Know better now" è davvero un piacere sentirle, materiale non scontato che un seguace snob dei Ramones come il sottoscritto non può che apprezzare di brutto.
Qualche pezzo del suo album solista, "Entitled" (2013) che mi ricorda paurosamente Iggy Pop e qualche classicone dei fratellini fa si che l'esibizione scivoli liscia e senza sbavature.
A dire il vero l'unica virgola è che forse si poteva trovare un buco per "Bonzo goes to Bitburg", ma tant'è, forse Richie è repubblicano mi dico tra me e me.
Un' occhio alla band: il chitarrista sembra provenire dall'oltretomba, mentre la bassista sembra una che frequenta rave e mangia pastiglie (il che mi mette addosso un pò di inquietudine, come certi estremi avventori del locale).
In confronto Dee Dee e Johnny sembravano bravi ragazzi.
Comunque nel complesso serata positiva: forza Richie!
JULIE'S HAIRCUT - CINEMA TEATRO LUX - PADOVA - 21/11/2014
Il Cinema Lux si trova in quartiere Santa Croce, Padova: è qui che si esibiranno i Julie's Haircut con una formula innovativa e, finalmente, al passo con i tempi multimediali; suoni e immagini. Un accoppiata apparentemente banale ma che in tempi di post.postmoderno e di "tutto già vissuto, nulla ci emoziona più" è in grado di risultare comunque efficace.
All'ingresso la tizia della biglietteria mi informa che stasera non ci sarà cinema, bensì un concerto: evidentemente il mio aspetto ordinario/casual gli trasmette ascolti riprovevoli (cit.).
Non è che siamo in tantissimi dentro la sala, però si sta belli comodi e non ci sono i rompicoglioni che sgranocchiano patatine e muovono sacchettini (cosa che odio dei cinema).
Davanti al palco scende un telo bianco che lo copre per intero e verso le 22.30 dietro ad esso si presenta il quintetto emiliano in camicia e pantaloni bianchi.
L'esibizione prevede la riproposizione per intero dell'ottimo "Ashram Equinox", l'ultimo disco dei nostri uscito nel 2013; pezzi totalmente strumentali tra dub, Can, krautrock e psichedelia, musicalmente di sicuro impatto e in grado di prestarsi con efficienza all'ondata di immagini che vengono trasmesse nel telo.
Ragazze, montagne, boschi, funghi, flora.
Ogni tanto mi perdo nelle immagini e ogni tanto nella band che ci suona dietro e che intravedo, e poi tutto si mescola e avanti così fino alla fine.
Musica che ci sta da colonna sonora sia mentre pedali in campagna, sia mentre giri con la macchina in periferia a Milano.
Ai bis viene tirato su il telo e la band propone un paio di inediti di ultima realizzazione, questa volta con il cantato, una delle quali mi sembra arrivi spedita dai solchi di Tago Mago.
All'uscita compro una bella stampa del gruppo, mi infilo la sciarpa e mi immergo nel freddo della notte veneta.
MORRISSEY - GRAN TEATRO GEOX - PADOVA - 23/10/2014
Se dovessi scegliere, meglio vedersi un concertino giù al club in 50 persone che non al Palasport in 5.000; però non è che Morrissey possa venire al Baluba Club e passare inosservato, quindi tocca organizzarsi, tirare fuori un bel cinquantone, farsi un tre ore piene in piedi come un idiota e aspettare l'inizio del concerto.
Prima dell'ora X, Morrissey si improvvisa vj vecchio stampo e proietta su di uno schermo video di Ramones, Brian Eno, Nico, Penetration, proteste anti-Thatcher: un bel mix che serve a dirci qualcosa di lui e del suo mondo interno.
Alle 22.00 cala il sipario e via: "Hand in Glove", singolo di debutto degli Smiths datato 1983, è la prima freccia scoccata, seguita da "Everyday is like Sunday", una delle più conosciute ed apprezzate canzoni del Morrissey solista.
La band è composta da sei elementi, un sound bello pieno e caldo, aiutato anche dall'ottimo impianto audio del Geox (che avevo già avuto modo di constatare tempo addietro).
Praticamente del recente "World peace in none of your business" le fa quasi tutte, contribuendo anche a farmi ricredere su qualche pezzo che dai primi ascolti scroccati nella macchina della mia ragazza non è che mi si appiccicassero proprio addosso, ecco.
Tipo, "Instanbul" con una voce diversa starebbe bene in mezzo al secondo album degli Stone Roses, "The Bullfighter Dies" potrebbe starci su "The World Won't Listen", "Staircase at the University", invece, è proprio bella.
Da segnalare il siparietto in cui dice al pubblico: "Non ho visto la vostra città. E' bella? Bah, non credo".
Il finale è affidato alla declamatoria "Meat is Murder", accompagnata da un durissimo video riguardante violenze sugli animali perpetrate nei macelli, una posizione che mi fa tornare in mente certo estremismo punk da squat del tipo Crass/Discharge che con Morrissey non c'entra apparentemente niente.
Con il pubblico praticamente ancora sotto shock, e sulle note di "One day Goodbye..", si conclude l'ultima data italiana di questo tour, con Morrissey che si strappa la camicia e la lancia al pubblico (poi mi è giunta voce che i tizi dello staff la rivolessero indietro..).
All'uscita acquisto un bel poster e la maglietta con la copertina di "Meat is Murder", il primo album che abbia mai ascoltato degli Smiths.
EDDIE & THE HOT RODS - FESTA RADIO ONDA D'URTO - BRESCIA - 15/08/2014
Sempre carina la festa di Radio Onda d'Urto a Brescia; parcheggio gratis, ingresso gratis dalle 19.00 alle 20.00 (dopo 5 euro), prezzi onesti di cibo e bevande.
Unico appunto il terreno ghiaioso in cui si svolge il tutto: anche se preferisco il verde, questa volta tiferei asfalto.
Sono a Brescia per gli Eddie & the Hot Rods, band leggendaria dell'epoca immediatamente precedente all'esplosione del punk inglese, anche se poi lo cavalcò con eccellenti risultati (l'album "Life on the Line" ad esempio).
Alle 21.00 salgono sul palco i Mugshots, band bresciana che mi sembra influenzata da Alice Cooper, quantomeno nel trucco del cantante: non mi prendono e ne approfitto per fare un giro tra le bancarelle.
Seconda band spalla sono gli Apers, quartetto olandese che conosco marginalmente dall'epoca in cui Screeching Weasel e Queers erano il mio pane quotidiano. In realtà gli Apers sono una brutta copia delle band in questione, non so neanche perchè riescano a suonare frequentemente in Italia quando è chiaro che ci sono parecche band italiane pop punk/punk rock più interessanti di loro. Esterofilia allo stato terminale? Probabile. A me sembrano scontati e noiosi, magari ad un sedicenne sembreranno imprescindibili.
Verso le 23.00 salgono sul palco Eddie & the Hot Rods: sono in quattro e il sessantenne Barrie Masters alla voce mi sembra bello in forma, un gentleman inglese che sembra aver studiato qualcosa alla scuola di spettacolo "Rod Stewart".
I pezzi storici ci sono tutti, "Teenage Depression", "Quit this Town", "Life on the Line", inframezzati dalle cover storiche suonate dai nostri, "Gloria" e "The Kids are Alright".
Si divertono e fanno divertire i presenti, compreso il solito gruppo di punkabbestia che farebbe casino anche se ci fosse una motosega amplificata, aiutati da superalcolici mal miscelati.
Finale con l'hit "Do anything you wanna do" e l'inaspettata cover di "Born to be Wild". Ai bis la sola "Steppin' Stone" dimostra che quelle sono le canzoni in scaletta, e bisogna accontentarsi.
Nel complesso promossi, me li vedrei bene in un bel pub in autunno.
CONSIDERAZIONI A MARGINE DEL CONCERTO DEI TELEVISION – SESTO AL REGHENA (PN) - 05/08/2014
Television a Sesto al Reghena, grazioso borgo appena aldilà
del confine veneto/friulano, vicino Portogruaro e comunque provincia di
Pordenone, grande capitale musicale italiana dei tempi che furono.
Posti a sedere e alla fine questa si rivelerà una mossa
discutibile: non è che mi dispiacciano i concerti da seduto, anzi quando mi
capitava di vedere gli Offlaga Disco Pax avrei pagato di tasca mia perché qualcuno
riempisse la pista di sedie (e questo avrebbe alzato la qualità della
performance).
Con i Television, invece, direi che viene a meno l’empatia
che intercorre tra pubblico e band; ecco, dei Televison da freezer che però con
un pubblico più partecipe forse avrebbero cambiato un attimo marcia.
Che poi comunque la loro parte la fanno bene e in scaletta
piazzano praticamente tutto “Marquee Moon”, canzoni immortali, “See no Evil”, “Venus”,
“Elevation” o la stessa titletrack.
Però sembra di assistere ad una partita di tennis, oppure ad
una recita scolastica, guai a chi parla!
Il bassista sembra un po’ Andrea Mingardi e Verlaine da
lontano sembra Fiumani dei Diaframma.
Alla fine, con un amico, riusciamo ad aggirare il palco e a vedere due minuti del concerto da praticamente il backstage, finchè un buttafuori ci dice di sloggiare.
BUZZCOCKS - THE FALL - INSPIRAL CARPETS @ FIERA DELLA MUSICA - AZZANO DECIMO (PN) - 18/07/2014
Serata davvero imperdibile per gli appassionati di suoni britrock quella organizzata all'interno della rassegna "Fiera della Musica" di Azzano Decimo, paese della provincia pordenonese, terra del Great Complotto e non solo.
Tre gruppi da Manchester, da una scena cittadina che dal punk in poi ha prodotto materia musicale/sociale di primissima qualità.
Buzzcocks, Joy Division, la Factory Records di Tony Wilson, Fall, New Order, l'Hacienda, Smiths, Madchester, Oasis. Dite che può bastare?
Il clima è gradevole e alle 21.15 salgono sul palco i Buzzcocks, con sorpresa per il sottoscritto che se li aspettava per ultimi.
Attaccano subito con "Boredom", seguita da "I don't mind" e "Autonomy", tre istantanee del periodo '76/'78 giusto per mettere le cose in chiaro.
Sono belli carichi e nei 50 minuti circa a disposizione sparano tutte le cartucce migliori della collezione: "Promises", "Love you More", "Ever Fallen in Love", praticamente quasi tutto "Singles Going Steady" (disco da isola deserta) con l'aggiunta di "Why she's a girl from the chainstore" (singolo del 1980) e "Sick city sometimes", unica concessione alla produzione relativa alla seconda parte di carriera dei nostri (dal 1989 ad oggi).
Tra l'altro so che sono in uscita con un nuovo album e sicuramente non mancherò nell'acquisto e nell'ascolto.
Concludono con "Orgasm addict" e, in definitiva, soddisfano per intensità e scelta dei brani. Sempre un piacere vederli.
Tempo di un Cynar al Bar Sport e tocca ai Fall: gruppo storico della scena inglese, trentasette anni di carriera, circa trenta album prodotti, insomma un istituzione anche se non sempre così accessibile come altre proposte proveniente dal Regno Unito.
Il suono del live è un sunto degli anni '80 di Manchester: A Certain Ratio, New Order, primi Happy Mondays, con una doppia batteria (da una parte set completo, dall'altro solo i fusti) che crea un sound di base quasi industriale ma al contempo bello caldo.
Mark E. Smith, più che cantare,declama frasi che sarebbe bello poter comprendere a pieno, così si avrebbe una visione più completa del tutto; perchè il set dei Fall si rivela ostico e non così immediato, con il telaio strumentale che praticamente gira su se stesso per quaranta minuti e con la mancanza di melodia vocale che rende il tutto decisamente complesso all'ascolto.
Un set difficile ma non per questo poco interessante.
Sicuramente più accessibili gli Inspiral Carpets, a cui è affidata la parte conclusiva della serata.
Puro Madchester sound: indie dance, con il Farfisa che gioca un ruolo decisivo nell'economia di casa.
Vestìti bene, tutti in camicia, risultano davvero piacevoli; vengono da sempre considerati uno scalino sotto ai pesi massimi Stone Roses, Happy Mondays e Charlatans e forse ci stà, però hanno davvero belle canzoni in scaletta.
"This is how it feels", "She comes in the fall", oppure la conclusiva "Saturn 5" stanno li a dimostarlo.
Poi, dopo un concerto così, farsi un dritto Pordenone-Treviso-Cittadella è un attimo.
DAMON ALBARN - TEATRO DEL VITTORIALE - GARDONE RIVIERA (BS) - 14/07/2014
Ha dato spettacolo Damon Albarn, nella splendida cornice del Teatro del Vittoriale di Gardone Riviera (Bs), quasi nel mezzo della sponda ovest del Lago di Garda.
Biglietti sold out già da tempo e attesa crescente per una data che verrà ricordata a lungo dai presenti.
Alle 21.15 precise è salito sul palco con la propria band ed ha invitato subito i presenti in platea ad alzarsi in piedi e ad avvicinarsi al palco. Addio posti numerati, quindi. Ovviamente ne ha guadagnato l'intensità dello show, composto da un programma interno davvero ricchissimo, e che ha smentito quanti, tra cui il sottoscritto, si aspettavano una scaletta dal mood malinconico, com'è appunto la linea dell'ultimo (splendido) lavoro del nostro, "Everyday Robots".
Oltre a tutte le canzoni presenti in quest'ultimo, infatti, Albarn ha riproposto pezzi della sua produzione non-Blur a firma Gorillaz e The Good, the Bad & the Queen, episodi dal tono generale dub ("Kids with Guns"), resi perfettamente da una band con una sezione ritmica che sembrava uscita da un'istantanea Two Tone e un chitarrista e un tastierista in tenuta mod.
Gli amori musicali di Albarn li scorgi tra le linee, anche dove non te li aspetti: vaghe melodie Kinksiane filtrate da suoni quasi di scuola Clash ("Slow Country", "Kingdom of Doom"), profondità stile "Ghost Town" degli Specials.
Un coro composto da sei persone ha fatto capolino in "Three Changes" (replicando poi dove ce ne fosse la necessità), offrendo un valore aggiunto ad una prestazione già curatissima in ogni dettaglio.
La conclusione della prima parte lo ha visto riprendere due canzoni dei Blur (complessivamente poco spazio alla band madre, indicati come "la mia band precedente"), "Out of Time" e "All your life", quest'ultima in versione T-Rex drogati di punk.
Tempo di una sigaretta dietro il palco ed è tornato per il gran finale, che ha visto passare in rassegna una "End of the Century" di Parklifiana memoria rivisitata in solo al piano, seguita da una "Clint Eastwood" che ha fatto muovere le gambe a tutti.
La primaverile "Heavy Seas of Love" ha chiuso il sipario su un concerto sfavillante, ricco di emozioni e senza punti deboli.
Quasi due ore di live set: il campanile del borgo dove controllare l'ora, il Garda dietro il palco e ricordi memorabili nelle orecchie e negli occhi.
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