DINOSAUR JR - MIV PORDENONE - 04/06/2022
LUCIANO BIANCIARDI E il 1968
La celebre idiosincrasia di Luciano Bianciardi verso il sistema milanese, la città in cui si trasferì da Grosseto nel giugno del 1954, prese forma anche nei confronti dell'apparato culturale, nello specifico verso gli intellettuali di sistema: quelli visti da vicino, facenti parte della "grande iniziativa", la nuova casa editrice Feltrinelli, dove Bianciardi fu chiamato a prestare servizio.
Nello specifico la critica che viene mossa dal nostro riguarda l'essere apparato chiuso, corpo estraneo nella realtà sociale specifica. Milano nel 1954 è ancora piena di operai, è una città industriale. Bianciardi si chiede: non ho mai visto un operaio in un anno che sono a Milano, sono immerso nella mia bolla. Quantomeno si pone il problema; va considerato che in Maremma, Bianciardi seguì da vicino la vita e le lotte dei minatori: il suo trasferimento a Milano fu conseguente allo scoppio della miniera di Ribolla, una crisi che lo portò ad avventurarsi verso altre strade lontane dal luogo natio.
Con Milano però il feeling non scatterà mai.
In questo senso, nella critica all'apparato, Bianciardi è un precursore di certe istanze sessantottine, vedi l'importanza data al realismo sociale e alla sua narrazione. Bianciardi realista sociale? Si e no, nel senso che l'opera dello scrittore è varia, così come il pensiero. Nel 1968 comunque non era più a Milano, ma a Sant'Anna di Rapallo. Lontano, con altre storie e con corrispondenze secondarie, "Executive", "L'Automobile". In anticipo e tagliato fuori quando sarebbe stato il momento. Bianciardi non fu un simbolo del '68 pur avendo fatto critica al sistema sociale e lanciato specifiche invettive in tempi non sospetti. L'alienazione della città, il rapporto capitale / lavoro, i rapporti sociali conseguenti.
"Sono un anarchico individualista, ma la mia è una predisposizione d'animo, non ideologica" diceva.
"I Minatori della Maremma" è comunque puro realismo, una specie di George Orwell meets Ken Loach.
La trilogia "La Vita Agra", "L'integrazione", "Il Lavoro Culturale" mantiene degli elementi a proposito, una certa visione di fondo popolare, ma non si tratta di testi ascrivibili al realismo tout court.
In Bianciardi contano anche e soprattutto il carattere, l'essere figlio del suo tempo, il non essere mai integrato da nessuna parte e sotto nessuna bandiera: tutto quello che lo porterà ad un finale solitario e tragico.
LE COVER DEI QUEERS NEGLI ANNI '90
Ancora sotto effetto dalla strabiliante serata Manges + Queers di sabato al Bloom di Mezzago, mi dedico a questo articolo che prende in esame le cover registrate dai Quers negli anni '90. Buon viaggio.
Assemblato nel 1990 ed uscito per la Shakin' Street Records, "Grow Up" contiene due differenti session di registrazione datate 1986 e 1988.
L'unica cover presente è "I'll be true to you", titolo che in realtà non esiste: si tratta di "Yes I Will" degli Hollies, gruppo beat inglese, datata 1965.
"Love Songs for the Retarded" tecnicamente non contiene cover: certo, c'è "I Can't Stand You" che è scritta da Ronnie Parasite dei Parasites ma non è mai stata incisa dal suo gruppo.
Su "Beat Off" del 1994 troviamo una cover: "Mirage" del gruppo bubblegum 60s Tommy James & the Shondells.
PAUL WELLER: OUR FAVOURITE BOOKS
Smash Hits, 1982
Il libro: The Collected Essays, Journalism and Letters of George Orwell
"Mi piace la sua idea di socialismo, penso che abbia un bel po' di senso comune, di senso pratico."
1987
I libri
Xavier Holland - Magic Mushrooms
Robert Tressell - Ragged Trousered Philanthropists
D.H. Lawrence - Lady Chatterley's Lover - L'amante di Lady Chatterley
Alberto Moravia - Two Women - La Ciociara
Brendan Behan - Borstal Boy - Ragazzo del Borstal
Kurt Vonnegut - Slaughterhouse 5 - Mattatoio n. 5
Wienkel - Diary Of My Bottom (?)
Diostchekov - Plums From Heaven - (?)
George Orwell - Lion and the Unicorn - Il leone e l'Unicorno
Xavier - If You Do It Anymore I'll be Sick - (?)
Il libro: Absolute Beginners - Colin MacInnes
"Un libro che ha ispirato un'intera generazione"
CAMPO DI CONCENTRAZIONE - L' ARTE DI MANUEL COSSU
Manuel Cossu, “Manuel dei Manges”, nato nel 1976 a La Spezia: batterista e songwriter di una delle più fighe punk rock band al mondo ed artista figurativo.
Il 12 febbraio a Cittadella abbiamo organizzato una personale dei suo lavori, “Campo di Concentrazione”: un periodo di attività intenso per il nostro che negli ultimi mesi ha esposto una personale su Lilli Carati a Bergamo (pubblicando anche un numero unico di art magazine dedicato alla tormentata figura dell'attrice), a Roma e in una farmacia di La Spezia.
Si, in una farmacia perché da un po' Manuel dipinge sui bugiardini dei farmaci: “Soffro di deficit di attenzione, i bugiardini rappresentano l'essenza di quello a cui devi stare attento, tutte quelle istruzioni in bianco e nero che ti dicono cosa devi fare per curarti. Così si è venuta a creare una sorta di contrapposizione.”
Gli chiedo come ha iniziato a disegnare, come si è avvicinato a questa forma di espressione: “Molto semplicemente negli anni '90 capitava di registrare delle cassette TDK per gli amici, solitamente ci facevo un disegno in copertina, qualcosa sui Ramones. La prima tela di una certa dimensione la feci nel 1996 dietro il tavolo da Subbuteo e ci disegnai Dee Dee Ramone con scritto “I remember you”, è esposta alla Skaletta (storico club r'n'r di La Spezia attivo dal 1994). Dee Dee è uno dei miei miti in assoluto.” L'hai conosciuto? “Negli anni '90 andai appositamente a New York per poterlo incontrare. Non ci riuscii ma incontrai Arturo Vega (visual artist dei Ramones) ad un semaforo a cui diedi i miei disegni. Arturo Vega è stato importante per me perché mi ha spinto a continuare a disegnare, mi apprezzava, mise i miei disegni sul sito dei Ramones. Dee Dee l'ho visto live e incontrato poi diverse volte. Il concerto più bello in assoluto della mia vita è stato per me Genova 1994, il tour di “I hate freaks like you”,ancora meglio di quelli dei Ramones. A Dee Dee una volta in Germania diedi i miei disegni e lui mi regalò la sua tshirt.”
Dee Dee, Lilli Carati, raffiguri spesso vite non pacificate, figure tragiche: “Si, tragiche ma non patetiche.” Cosa ti attrae di tutto questo? “Una sorta di resistenza nei confronti delle avversità della vita, vite incasinate, gente che pativa. Io non sono legato a concetti come “la vita è un sogno”, per far andare una vita ci vuole che tante cose vadano per il verso giusto, non è facile. Mi attrae l'idea di non mollare, di fare a pugni con la vita per non soccombere.”
Il fatto di dipingere spesso anche Santi e Madonne in maniera non conforme è in qualche maniera collegato a questo? “Sono immagini che da sempre fanno parte di una certa realtà, quando sei talmente incasinato da affidarti ad un qualcosa di superiore: “Gesù Gesù aiutami tu”. Pensa alla galera, ai tatuaggi con Santi, Madonne e Croci. La voglia di iniziare a disegnare, oltre ai Ramones, me la diede proprio i tatuaggi di un mio caro amico che si era fatto la galera e che ora non c'è più. Erano imperfetti, ma non significa non avessero passione, che non fossero vivi e reali.”
Mi sembra di notare un certo richiamo nelle tue opere a certa Italia anni '80, Alfredino Rampi, Ranxerox, Pertini: “Io sono del 1976, ero bambino e ragazzino negli anni '80. Era un Italia densa, dura, certe immagini me lo porterò dietro per sempre. Le nostre città erano piene di tossici, le curve straboccavano di ragazzi, gli stili giovanili, le compagnie di irregolari. Sono legato a tutto quel mondo.” Uno che è cresciuto quegli anni o che comunque ne è affascinato, come si trova ad affrontare un presente che sembra milioni anni luce distante? “Male, io non c'entro niente con tecnologia e derivati, son rimasto tagliato fuori da tutto questo, sono un analfabeta digitale. Fortunatamente ho gente che mi segue nella promozione, io non saprei da dove iniziare.”
La tua passione per l'Atalanta? “Arriva dalla stagione 1987/88, semifinale di Coppa delle Coppe con il Malines con l'Atalanta in serie B. L'ho seguita poi per parecchio tempo, quando si poteva decidere il giorno prima se andare alla partita, adesso per andare ad una partita devi programmare come si fa con le ferie, non ha più senso. Ho fatto anni in Curva Nord, partivo da La Spezia in treno e via. Uno dei miei più cari amici è uno dei fondatori del Wild Kaos. Credo di aver seguito più l'Atalanta in serie B che non in serie A.”
GLI ESORDI DELLA NEW WAVE FIORENTINA
BAND AID 2020
LO SMALL CLUB DI PIEVE DI CENTO
JESUS AND MARY CHAIN PUNK ROCK MIXTAPE
TONDELLI, IL NEW COOL E IL RITORNO ALL'ORDINE
MAXIMUM ROCKNROLL E I RAMONES
RAMONES - SUBTERRANEAN JUNGLE (1983)
RAMONES - TOO TOUGH TO DIE (1984)
RAMONES - ANIMAL BOY (1986)
RAMONES - HALFWAY TO SANITY (1987)
LE INFLUENZE DI RAY DAVIES
In un'intervista a "la Repubblica" del 1993 Ray Davies dei Kinks citò le sue influenze culturali, così descritte nell'articolo:
"Tra le sue influenze culturali cita alla rinfusa, con molta nonchalance: Rembrandt, Big Bill Broonzy, Piero della Francesca, Kandinsky, il Modern Jazz Quartet, Muddy Waters, Noel Coward, Stanley Matthews, Alfredo Di Stefano e Bob Beaumont. Come dire musica, pittura, arte e sport mixati insieme con sommo snobismo."
Rembrandt - Pittore olandese
Big Bill Broonzy - Chitarrista Chicago blues
Piero della Francesca - Pittore rinascimentale italiano
Kandisky - Pittore astratto, nato russo e naturalizzato francese
Modern Jazz Quartet - Fondati nel 1952, attivi fino ai primi anni settanta, un nome storico.
Muddy Waters - Bluesman e grande ispirazione del giro British Invasion.
Noel Coward - Commediografo, attore e regista britannico. Presente con un ruolo di rilievo in "The Italian Job" del 1969.
Stanley Matthews - Calciatore inglese, Stoke City e Blackpool, primo vincitore del Pallone d'Oro nel 1956.
Alfredo Di Stefano - Millonarios e soprattutto Real Madrid, dove vince consecutivamente le prime cinque edizioni della Coppa dei Campioni.
Bob Beaumont - Il fondatore della Sebring - Vanguard, l'azienda che produsse la Citicar, l'auto elettrica.
LA CARRARESE E LA FERRIERA DI CITTADELLA
MASSIMO ZAMBONI A CHIUPPANO (VI) - 27/08/2021
L'idea di andare a vedere Massimo Zamboni ci è venuta venerdì mentre stavamo facendo aperitivo: "Hey, c'è Zamboni stasera a Chiuppano", "Dai? Si, potremmo andare!".
C'è anche da dire che giusto un anno fa partimmo con le stesse modalità improvvisate alla volta di Rovigo per i Tre Allegri Ragazzi Morti: potrebbe diventare una buona consuetudine quella dell'ultimo venerdì di agosto, trovarsi all'aperitivo e partire per un concerto.
Raggiunta la zona dell'Alto Vicentino ed entrati a Chiuppano abbiamo seguito l'indirizzo segnalato sulla pagina facebook del festival: ci siamo ritrovati a piedi nel buio in una stradina bianca di collina che costeggia un cimitero. C'era anche un bosco tutt'attorno e, in lontananza, si sentiva qualche ululato.
Preso atto dell'evidente errore (dopo circa un km su questa stradina: "No, direi che è abbastanza improbabile che ci sia un concerto in questa zona" cit. Paglione) abbiamo iniziato a girovagare per la deserta Chiuppano e delle macchine posteggiate in piazza ci hanno trasmesso l'esistenza di una qualche forma di vita. L'ingresso del Festival era praticamente impossibile da vedere anche a distanza di 50 m, nascosto com'era in un angolo buio. Vabbè, in qualche maniera siamo arrivati.
Strano questo festival: 50 persone, di cui una buona metà residui scoppiatoni alternativi del luogo. C'è anche da dire che la sera stessa si esibiva Ferretti a Pordenone, quindi magari una decina buona di persone è stata persa per strada. Zamboni sul palco con un intervistatore che parlava del suo libro e inframezzava con qualche canzone del repertorio.
Il libro sembrerebbe interessante, parla di Cavriago, paese nelle vicinanze di Reggio Emilia. La prima volta che lo sentii nominare fu nella famosa canzone degli Offlaga Disco Pax, poi mi capitò di dormirci per lavoro una sera di qualche anno fa e colsi l'occasione per visitare il busto di Lenin.
Ha detto delle belle cose Zamboni, tra cui: "Bisogna aver cura del proprio paese". Perché è di quello che in sostanza scrive il libro, dell'amore verso la propria terra, di circoli, cooperative, valori.
Quindi che differenza sostanziale c'era tra un sistema relazionale basato sul voto al PCI come in Emilia e un altro basato sul voto alla DC come in Veneto? Secondo me, al netto delle differenze ideologiche, poche.
Prima di un pezzo Zamboni ha ricordato quando si esibirono a Bassano del Grappa con i CCCP nel 1986; finito il concerto volevo saperne di più da lui, in realtà qualcosa già sapevo perché un mio conoscente a quel concerto c'era. Gli ho anche mostrato la foto che ho scattato sabato scorso a Santarcangelo di Romagna, la foto del terrazzo dove i CCCP si esibirono nel 1983 in occasione del Festival del Teatro di Piazza. Ho visto che gli si è illuminato qualcosa, mi ha fatto davvero gran piacere.
ECHI DAGLI ANNI OTTANTA: I MODERN MODEL E LA NEW WAVE VENEZIANA
Sto leggendo in questi giorni il bel libro di Stefano Gilardino, “Shock Antistatico”, dedicato alle varie scene regionali italiane in ambito post punk 1979/1985. Nella sezione veneta viene tributato il giusto riconoscimento ai Frigidaire Tango di Bassano del Grappa, si parla in maniera esaustiva dei Wax Heroes di Treviso e un buon capitolo è dedicato al giro veneziano. Una piccola scena, magari non così pubblicizzata o idealizzata, ma in grado di lasciare valide testimonianze, vedi la compilation “Samples Only”, la vitalità della fanzine “Rockgarage”, i Death in Venice: “Siamo anche stati contattati dall’etichetta di Samples Only ma eravamo su due orizzonti diversi, loro erano orientati all’elettronica e non se ne fece niente. I Death in Venice erano dell’area veneziana, che noi dalla periferia non frequentavamo, già arrivare a Mestre era una cosa sporadica, ne sentivamo parlare ma non siamo mai stati in contatto. Il collettivo di Rockgarage credo sia stato un gran esempio di autoproduzione, autogestione della creatività. Era uno dei loro obiettivi, gestire totalmente la produzione e la comunicazione artistica, tramite il giornale, i dischi, la gestione di un locale. Andrebbe analizzato e studiato ancora oggi.”
E’ stato tutto molto veloce: in un anno abbiamo formato la band, trovato una rivista che ci ha fatto fare concerti e stampato un disco.”
La nuova onda che fa breccia in provincia attraverso i canali mediatici del periodo: “Io ascoltavo le radio private/libere della fine degli anni ’70, in gran parte passavano “mainstream”, quindi rock e discomusic.
Ho un ricordo nitido però: dopo che la parola “punk” iniziava a girare ma era indefinita, in una trasmissione di una radio di Mestre, un dj mise Satday night in the city of Dead degli Ultravox presentandola appunto come un brano punk.
Mi risuonò in testa per giorni e giorni ma solo dopo arrivarono i Sex Pistols, Patti Smith etc etc. Sono ancora grato per quella canzone.”
Si innesca così quel meccanismo comune a migliaia di adolescenti: l'entusiasmo e l'eccitazione verso il nuovo, l'interiorizzazione, che ti spingono a metterti in gioco in prima persona, a cercare di replicare quell'energia con una tua band: “Siamo stati tutti autodidatti, c’erano altri gruppi che si stavano formando tra le nostre conoscenze e prendendo inizialmente degli strumenti a noleggio abbiamo provato anche noi. Loro cercavano di fare la cover di More than a feeling dei Boston, noi I don’t care dei Ramones… I gruppi che ci piacevano/ispiravano erano i Cure, i Ramones, i Jam, ma soprattutto i Clash.”
Un punto che mi interessa approfondire è quello legato alla possibilità di esibirsi che queste band della nuova onda avevano: le nuove sonorità attecchirono si nel mondo giovanile, ma immagino che la realtà esterna non fosse sempre compiacente, soprattutto in contesti periferici non caratterizzati da uno sviluppo organizzativo diffuso. La Pordenone del Great Complotto fu un caso anche e soprattutto per questo motivo: una piccola realtà di provincia con peso cittadino e riconoscimento sociale. Si riusciva a suonare in maniera continuativa o solo esibizioni sporadiche? “Alla fine in tutto, con la formazione del disco, abbiamo fatto 4 concerti; devo dire che siamo stati sempre contattati tramite Rockgarage, non eravamo noi gli organizzatori. Non era così facile fare concerti, soprattutto se suonavi new wave. Ho in mente due episodi: al 1° concerto al cinema Dante di Mestre (maggio 1982) dopo 3 o 4 canzoni uno dello staff, tra un brano e l’altro, si avvicina al palco a mi chiede per quanto ancora dobbiamo suonare…(si erano già stufati?).
Ricordo anche che ad Oriago (Ve) prestammo gli strumenti ad un gruppo hardcore di Chioggia, gli Antisbarco, che si erano presentati, non invitati e chiesero di suonare.”
Rapporti con altre band venete? “I Wops erano nostri amici e ci abbiamo suonato assieme in due occasioni. C'era anche un legame con i Plasticost di Marostica; avevamo inviato una cassetta a Fox, il cantante/deus ex machina che teneva un programma new wave in una radio di Bassano, mi pare, e anche con loro abbiamo suonato assieme.” A proposito, i tuoi 5 pezzi wave italiani preferiti? “Eptadone / Skiantos, Vita di strada / Take Four Doses, Better days / The Wops, Plateau Rosa / Matisse, Il mondo di Suzie W./ Underground Life.”
La meteora dei Modern Model, dalla provincia veneziana, brillati lo spazio di qualche stagione. Imbracciano gli strumenti mossi da un bisogno, da una canzone, dal contesto sociale musicale che ti forma e spinge in quella direzione. Due canzoni in una compilation, qualche concerto, tutto veloce. E poi come finiscono queste situazioni? “Nel nostro caso con il servizio militare, prima il batterista e dopo il disco partii io. Al ritorno avevamo perso le motivazioni, capita. Tieni presente che eravamo tutti compagni di banco dalle elementari e quindi soprattutto amici. Siamo sempre stati in contatto e nel 2009 abbiamo riformato i TMM (vedi pagina FB), riarrangiando pezzi vecchi e componendone di nuovi con altri componenti; con questa formazione ho suonato fino al 2015 poi basta. Oggi loro continuano ancora e ci frequentiamo.”
Grazie a Giuseppe Chinellato per la disponibilità