lunedì 22 maggio 2017
SENZABENZA - POP FROM HELL
I Senzabenza ritornano con un nuovo album dopo ben quattordici anni e lo fanno in grande stile.
"Pop from Hell" è cool a partire dalla splendida copertina con Topolino (con tanto di apparecchio dentale) disegnata da Manuel Manges; poi dentro ci sono quindici canzoni una più bella dell'altra.
La band di Latina, storicamente, non si è mai limitata a svolgere il compitino, e pur avendo solide basi nel suono "punk rock" ha sempre percorso delle varianti concettualmente e musicalmente affini.
Fondamentalmente "Pop from Hell" è un disco power pop: ci sono le chitarre e ci sono delle melodie perfette. C'è punk rock, beat, garage, brit pop ("Chinese Takeaway") e un pezzo che sembra uscito dai migliori Stranglers ("Do you wanna bring me down").
Insomma, un gran bel disco che, se ce n'era il bisogno, testimonia come i Senzabenza siano una delle cose migliori di sempre collocabili nell'ambito della musica indipendente italiana in senso lato.
Quindi che non si pensi solo ai Marlene Kuntz, ai Csi o agli Afterhours quando si guarda agli anni '90 italiani: si guardi anche un po' più in là, ai Senzabenza, a quella compilation che si chiamava "Flower Punk Rock" e al riscontro internazionale di alcune tra queste band (Senzabenza stessi, Manges).
giovedì 4 maggio 2017
DENIZ TEK @ VINILE - ROSA' - 28/04/2017
Deniz Tek al Vinile, a quindici km da casa mia, e vuoi che non vada a vederlo?
Cazzo, ci fossero ogni weekend sti concertini che non caga nessuno. Mi piacciono sempre un sacco.
Zero moda, zero hype, solo cuore.
Infatti dentro al Vinile saremo in cinquanta e tocca anche sorbirsi due gruppi spalla che non c'entrano una sega, quindi ci si butta a pesce sui beveraggi della casa.
Poi inizia Deniz Tek: fa un sacco di pezzi del suo nuovo album che sta portando in tour, niente di malaccio, e ci mette dentro qualcosa dei Radio Birdman che quello ci sta sempre.
Roba come "Love Kills", "Snake", "Breaks my Heart", tutto materiale da 10 e lode.
A dire il vero se ne facesse anche qualcun'altra non è che ci offendiamo, anzi.
Però vabbè, i Birdman veri e propri li avevo già visti due anni fa e per stasera va bene così.
Poi a fine concerto ci facciamo anche una foto assieme, lui ha due occhi di ghiaccio, mette un pò di soggezione, come tutti quelli provenienti dal '77 per quanto mi riguarda.
Gente che c'ha la scritto in faccia, mica palle.
lunedì 6 marzo 2017
GIUDA @ BENICIO LIVE GIGS - GIAVERA DEL MONTELLO (TV) - 04/03/2017
La cosa che mi ha colpito di più durante il concerto dei Giuda è stata la "pulizia" del suono: mi è successo gran poche volte di udire un suono così perfetto a concerti legati in qualche modo al mondo rock/punk.
Questo mi ha fatto capire quanta poca importanza si da solitamente a questo aspetto che invece è ultra fondamentale per una buona riuscita dell'esibizione.
Non sono mai stato un audiofilo, è un mondo che non conosco anche se un po' mi affascina.
I Giuda hanno dimostrato cosa vuol dire dove può arrivare la passione, la costanza, l'impegno: sono sostanzialmente una garage band di quartiere, amici che si conoscono da una vita, che si impegnano quotidianamente per portare avanti il loro sogno.
E allora vai di prove mattutine, esperimenti con gli ampli per trovare il suono maggiormente adatto, prove di mini mosse coreografiche da realizzarsi durante il live (e funzionano!).
Beh, il concerto è stato perfetto.
Sono tra i migliori in Italia, in Europa e nel Mondo.
Mi ha fatto piacere vedere tanta gente che quando gli parlavi della commistione tra football/musica/sottoculture ti rideva in faccia e adesso è la che sbava per loro.
giovedì 26 gennaio 2017
STEVE DIGGLE - INNER SPACE TIMES
Intanto c'è da dire che è vergognoso che Steve Diggle debba ricorrere al crowfounding per poter registrare un album.
Ho capito tutta la pippa sul fatto che questo sia il nuovo diy e un modo nuovo (?) per fare le proprie cose in libertà, ma a me sa da fine dell'impero.
Nel 1977 c'era la corsa da parte delle etichette discografiche per accapparrarsi i gruppi disponibili sulla piazza, c'erano sia i colossi che le nuove indie come Rough Trade o Beggars Banquet: adesso cos'è rimasto? Che uno come Steve Diggle, dopo quarant'anni di onorata carriera, deve ricorrere al finanziamento preventivo da parte degli ascoltatori per poter registrare un album.
Vuol dire che il sistema è proprio morto: sarebbe stato bello se questo disco fosse uscito su Rough Trade, invece dell'ultima nuova band che tra un anno avrà già cambiato genere e fra tre non esisterà più, ma tant'è.
Uno può dire: alt, se ci pensi il primo singolo dei Buzzcocks era autoprodotto. Verissimo, rispondo, ma ci sono dei distinguo da fare: innanzitutto era il loro debutto e poi evidentemente gli aprì le porte per poter registrare i successivi con la Ua Records.
Senza i successivi dischi non avremmo avuto tutto il percorso post "Spiral Scratch" dei Buzzcocks.
Comunque questo disco è meraviglioso.
Quando uno come me che ama i Buzzcocks acquista il disco di un loro membro sa che dovrebbe andare abbastanza sul sicuro.
Eppure devo ammettere che avevo qualche titubanza: il titolo, "Inner Space Times", mi lasciava presagire sconosciuti scenari psichedelici; inoltre, una volta arrivatomi il disco, la foto interna del libretto in cui Steve è in posa con una chitarra acustica alimentava qualche dubbio a proposito.
E' bastato mettere il cd nel lettore perchè questi dubbi venissero spazzati via.
Le canzoni sono tutte ottime, ognuna con una propria particolarità: il punk rock di "Bang Apocalypse" arricchito dai fiati, il power pop di "Kaleidoscope Girl", i Ramones 80's di "Holding On", l'acusticheggiante "Way Too Far" che richiama gli episodi migliori dei Rem e la splendida "The Weathermen Say" che starebbe bene su "Definitely Maybe" degli Oasis, che con il buon Steve Diggle condividono la città natale.
Mi piacerebbe se anche Paul Weller facesse un disco così ogni tanto, semplice ma genuino, di qualità.
giovedì 12 gennaio 2017
MARKY RAMONE - PUNK ROCK BLITZKRIEG
La lettura di "Punk Rock Blitzkrieg", autobiografia di Marky Ramone, si è rivelata un bel viaggio letterario che mi ha tenuto compagnia durante le lunghe giornate di ferie natalizie di fine 2016.
Devo confessare che, nel corso degli anni, ho cambiato svariate volte opinione su di lui: da neofita lo consideravo un grande a prescindere in quanto uno dei Ramones, tempo dopo un mezzo furbacchione perché mi sembrava volesse mangiare un po' troppo sopra il vecchio nome, pur non essendo Joey, Johnny o Dee Dee.
Una sintesi finale che mi accompagna da un paio d'anni è quella di farsi meno paranoie in merito, e se c'è l'occasione di un concerto in zona ci vado con gioia, perché alla fine sentire quelle canzoni suonate da uno dei pochi che può annoverarsi l'onore di essere stato nei Ramones non è cosa da poco.
Il libro percorre approfonditamente tutta la vita del nostro, dall'infanzia tutto sommato tranquilla in quel di Brooklyn alla scoperta della passione per il rock e la batteria.
L'esperienza hard rock con i Dust nei primi anni '70 e quella fondamentale con i Voidoids di Richard Hell, gruppo fondamentale della scena newyorkese sono il prodromo alla chiamata alle armi ramonica che arriva per mano di Johnny, che in un incontro apposito al Max's Kansas City gli elenca le varie regole per poter far parte della band.
Ovviamente interessantissimo il racconto delle varie esperienze con i Ramones, le pagine scorrono veloci, c'è sempre voglia di leggerne ancora ed ancora, praticamente è lo stesso effetto che la loro musica ha in me.
Mi ha fatto inoltre molto piacere leggere di album come "Pleasant Dreams" e "Subterranean Jungle", sono dischi che mi sono sempre piaciuti, mi affascina quel periodo duro per la band di inizio anni '80.
Mi ha colpito una certa maturità spirituale in Marky dopo la disintossicazione da alcool avvenuta a metà anni '80, lo stesso problema che aveva portato al suo allontanamento dai Ramones.
Insomma, mi è piaciuto tutto di questo libro.
domenica 20 novembre 2016
CASUAL FRIDAY
Alle 19.40 sono partito da casa, in macchina avevo l'ultimo dei Madness che mi prende bene, soprattutto "Mr Apples", che mi ha accompagnato mentre mi avvicinavo a Cittadella.
Parcheggiato nelle stradine residenziali, incontro con i soci davanti al cancello della tribuna est e via dentro al Tombolato: Cittadella - Verona!
Squadre come l'Hellas fanno bene al calcio, muovono tifosi, creano l'atmosfera giusta per approcciarsi nel migliore dei modi alla partita.
Ti capitano tutte 'ste partite contro squadre mai sentite prima che non hanno un briciolo di storia, miracoli sportivi dei miei coglioni con dietro presidenti dal portafoglio gonfio. Per me questo non è calcio: non c'è sugo nel vederti una partita senza tifoseria avversaria, senza la minima atmosfera, con poca gente silenziosa sugli spalti.
Stasera al Tombolato è una partita di vertice, dovrebbe essere una bolgia: invece i tifosi locali cantano quasi sottovoce per non disturbare, i veronesi non si sentono causa acustica inestistente dell'impianto.
Comunque è bello anche così, chè il gioco in campo è di livello, e solo nel primo tempo vediamo 5 gol totali, 4 per il Cittadella e uno per il Verona.
Mi arriva voce che i veronesi sono arrivati in treno e allora penso che, finita la partita, mi piacerebbe andare in piazzale della stazione e vederli tornare in corteo.
Secondo tempo tranquillo, mezza rissa in gradinata vicino a noi, un altro gol Cittadella, una sigaretta e quattro risate.
Poi tutti al Cetra, pinta di Guinness, molti saluti, c'è gente che canta per la vittoria.
Facciamo un salto al Circolo Quadro, scendo le scale e c'è un gruppo reggae che sta suonando "Marcus Garvey" dei Burning Spear, pezzo della madonna, ho comprato una compilation della Trojan Records a Londra proprio due mesi fa, dove c'è anche questo pezzo che mi prende un sacco.
Ci beviamo un sacco di birre, i discorsi scivolano via tra calcio, cibo, musica, politica, la notte è giovane, è il nostro "casual friday".
Parcheggiato nelle stradine residenziali, incontro con i soci davanti al cancello della tribuna est e via dentro al Tombolato: Cittadella - Verona!
Squadre come l'Hellas fanno bene al calcio, muovono tifosi, creano l'atmosfera giusta per approcciarsi nel migliore dei modi alla partita.
Ti capitano tutte 'ste partite contro squadre mai sentite prima che non hanno un briciolo di storia, miracoli sportivi dei miei coglioni con dietro presidenti dal portafoglio gonfio. Per me questo non è calcio: non c'è sugo nel vederti una partita senza tifoseria avversaria, senza la minima atmosfera, con poca gente silenziosa sugli spalti.
Stasera al Tombolato è una partita di vertice, dovrebbe essere una bolgia: invece i tifosi locali cantano quasi sottovoce per non disturbare, i veronesi non si sentono causa acustica inestistente dell'impianto.
Comunque è bello anche così, chè il gioco in campo è di livello, e solo nel primo tempo vediamo 5 gol totali, 4 per il Cittadella e uno per il Verona.
Mi arriva voce che i veronesi sono arrivati in treno e allora penso che, finita la partita, mi piacerebbe andare in piazzale della stazione e vederli tornare in corteo.
Secondo tempo tranquillo, mezza rissa in gradinata vicino a noi, un altro gol Cittadella, una sigaretta e quattro risate.
Poi tutti al Cetra, pinta di Guinness, molti saluti, c'è gente che canta per la vittoria.
Facciamo un salto al Circolo Quadro, scendo le scale e c'è un gruppo reggae che sta suonando "Marcus Garvey" dei Burning Spear, pezzo della madonna, ho comprato una compilation della Trojan Records a Londra proprio due mesi fa, dove c'è anche questo pezzo che mi prende un sacco.
Ci beviamo un sacco di birre, i discorsi scivolano via tra calcio, cibo, musica, politica, la notte è giovane, è il nostro "casual friday".
venerdì 7 ottobre 2016
LONDON WEEKEND
L'Half Moon a Putney, appena a sud del Tamigi, zona sud ovest, ci accoglie con le sue luci esterne e la lavagna "The Members live tonight" chè sono quasi le 20.00 di un giovedì di fine settembre.
La zona è bellissima, il locale anche: pub arredato bene, accogliente e caloroso davanti con spettacolare sala concerti nel retro.
Dei Members avevo preso proprio a marzo il loro ultimo disco, "One Law", lavoro davvero ben riuscito sicuramente tra i miei dischi preferiti di questo 2016.
Li avevo scoperti nei primi anni 2000 con la loro hit "The sound of the suburbs", praticamente il loro pezzo più celebre, dentro ad una tripla compilation acquistata ad Amsterdam durante una gita scolastica memorabile.
Memorabile sarà anche questo concerto all' Half Moon per il sottoscritto: alle 20.40 (qua in Italia, il regno della musica, a quell'ora deve ancora arrivare la band al locale) sale sul palco il buon Jc Carroll, chitarrista e anima della band che ha raccolto il testimone di vocalist dopo la dipartita di Nicky Tesco qualche anno fa, ed esegue due canzoni in acustico tratte dall'ultimo "One Law"; nello specifico "Robin Hood in reverse" e "Here comes the big black dog".
Poi viene raggiunto sul palco dai tre sodali e partono in elettrico con "The Model" dei Kraftwerk in versione reggae, una connection personale visto che ho visto i quattro tedeschi all'Arena di Verona quest'estate.
Su Facebook veniva spiegato come questo sia uno show particolare: una prima parte con pezzi meno noti, qualche cover e chicche varie, piccola pausa e seconda parte con concerto "serio" vero e proprio.
Nella prima parte c'è spazio anche per una "Baby, Baby" dei Vibrators ben riuscita, "Waiting for my man" dei Velvet Underground e "Free at Last" di Al Green.
Mi salta all'occchio subito che i Members sono quattro ottimi musicisti, molto bravi aldilà dei classici schemi punk rock, e questo in un certo senso emergeva già ai tempi d'oro della loro carriera quando flirtavano parecchio con il reggae, cosa che comunque non si improvvisa senza certi fondamenti.
Il pubblico è composto da circa una cinquantina di persone: età media bella alta, vecchi punk rockers cresciuti, gente che ha visto che da vicino il punk '77 e tutto quello che è venuto dopo, gente che mi mostra la foto che ha con Paul Cook dei Pistols fatta fuori da Stamford Bridge prima di una partita del Chelsea. Fantastico.
Pausa sigaretta in strada e vai di seconda parte, caraterizzata da grandi classiconi tipo "Solitary confinement", "Soho a go go", "Flying again", una bella ripresa di "Radio" loro singolo commerciale del 1982 che sfondò in Australia, e "Working Girl" che sembra un pezzo power pop dei Beat di Paul Collins.
London reggae con "One Law", punk rock hooligan con "Chelsea Aggrro" (ascoltare canzoni che parlano di Shepherd's Bush, dei Chelsea, di King's Road a Londra non ha proprio prezzo) e gran finale con "Sound of the suburbs".
Mi faccio una foto con Jc, conosco uno dei Vibrators, insomma seratine che ti mettono in pace col mondo.
Il venerdì vado alla British Library di King's Cross dove c'è una mostra, "Punk 76-78".
Pannelli fotografici, memorabilia, postazioni audio, fanzine esposte, quaranticinque giri: un tuffo al cuore, andrei a vederla ogni giorno.
Alla sera ci sono i Lurkers a Stockwell, zona dura vicino Brixton.
Il "Cavendish Arms" è dignitoso, sicuramente meno figo dell'Half Moon, i tavolino sono simili a quelli che mettono alle sagre.
Concerto in apposita saletta appartata (faccio ancora paragoni con l'Italia ma qua da noi di salette collegate al pub ne ho vista solo una in quindici anni di concerti) e bell'ambientino prettamente punk.
Qualche '82, skinheads, punk rockers: insomma pubblico decisamente sottoculturale, il che mi piace.
I Lurkers sono diversi dai Members: in realtà della formazione storica è rimasto solo il bassista Arturo Bassick e gli altri due sono un nonno punk e un tipo con i capelli a punte metà gialli e metà neri.
Fanno un ora di punk rock spedito e senza fronzoli: in mezzo c'è anche del buon pop punk, tipo "Miss world" che sembra uscita da un disco targato Lookout!, dinamite come "Ain't got a clue", "New guitar in town", "I don't need to tell her", "Shadow".
Arthuro Bassick tiene molto bene la scena, colloquia col pubblico, un vero istrione che fa andare la serata per il verso giusto.
Si ok va bene, il punk rock originale è una faccenda per inguaribili nostalgici, è roba di 40 anni fa, ma sai che frega a me dopo un weekend a Londra di questo spessore?
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